VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – parte seconda

5590682
I GIORNI – 1972 PARTE SECONDA

Guardai l’orologio.
E affondato lo sguardo sugli orari esposti alla bacheca dello scalo marittimo di Formia, ci accorgemmo di avere ancora più di un’ora a disposizione.
Così, sotto la canicola, alla ricerca di un parcheggio. Ci indicarono un’autorimessa. Il portiere di un hotel: “Giri di là, vada diritto, poi a sinistra e di lì, dove iniziano i giardini, a destra. Imboccate il Corso e sulla vostra sinistra troverete scritto Autorimessa…”
Ringraziammo. Via. Ma l’autorimessa era chiusa.
Adocchiammo un parcheggio libero lungo la strada. Lasciammo lì l’auto.
Alla biglietteria i primi incontri.
Turisti frettolosi. Ponzesi (certamente ponzesi) pazienti e sicuri anche nel loro particolare dialetto misto di romano e campano, ma più di questo che di quello. E la donna che vendeva i biglietti di viaggio nella sua edicola e che aveva tutta l’aria di conoscere un po’ tutti, tanto trattava affabilmente noi e loro.
I lavoratori del porto, con il loro viso bruciato dalle intemperie e dal sole che dava loro una parvenza di cialtroneria e di impunità contribuendo a contraddire le buone dicerie sul lavoro, bestemmiavano divini ed umani generalizzando accomunando questi a quelli e quelli a questi e rimanendo più all’ombra con le braccia incrociate che sotto il sole a lavorare.
Il nostromo, all’ingresso della nave che ormai era già pronta nel porto, fungendo anche da controllore, verificò la validità dei nostri biglietti e ci squadrò ampiamente da cima a fondo, quasi per dire: “Questi sono nuovi!”.
Ci sistemammo con tutti i nostri bagagli in alto in coperta. Al centro.
Intanto che continuava a salire altra gente la scrutavamo e come per scherzo il mio amico si divertiva a indovinare il loro paese d’origine. Salirono molte donne, di tutte le età e le osservavamo con l’attenzione con cui due giovani le avrebbero potute osservare.
“Lasciamole prima sistemare; poi, partiremo all’attacco”. Maschia ironia, scherzando seriamente.
Guardai il mare. Era sporco. Dove non lo è ormai. Ma, affacciandomi dall’altro lato, lo trovai più pulito, increspato leggermente da una brezza pomeridiana. Scherzi di corrente!
“…Sai, vengo per te, solo per te!”
“Sì, lo so, lo avevo capito, ma dimenticami. Io amo un altero ragazzo”
“Ma me lo dici così!?”
“Cerca di dimenticarmi!”
“Non sarà facile!”
E non lo è stato.
Ho quasi dimenticato ormai…ho quasi dimenticato, ho dimenticato, ho…
Un gabbiano ci volò vicino, librandosi come un velivolo. Senza motore. Senza rumore. Forse qualcuno mi notò pensieroso, forse il mio amico.
“Sai, quello deve essere di Potenza” (una delle sue tante scoperte fisiognomiche “fantastiche” su cui continuava a d esercitarsi!) “il viso rincagnito, lo sguardo truce e miope, se non altro deve essere lucano”
Forse annuii, perché il mio amico non aggiunse altro. Ma io non avevo ben compreso chi fosse “quello di Potenza” e non me ne importava affatto di saperlo.
Salì un gruppo di giovani donne. Ce ne era una dal sorriso dolcissimo di bambina. La guardai intensamente, per attrarre la sua attenzione, più di una volta, palesando sicurezza. Ma di lì a poco, senza aver cavato un ragno dal buco, un ragazzo appena arrivato le si avvicinò e cominciò a parlarle in tono confidenziale.
Ma il fatto non mi scoraggiò, non dovette risultare per me molto importante, ed il mio sguardo andò a dirigersi su un altro gruppo. Erano in costume da bagno, con i loro ragazzi forse, o con i loro fratelli. Avevano aria assonnata, mettevano quasi caldo, più di quanto ce ne fosse, a guardarle.
Era salita tanta gente. Avevamo occupato due posti con i nostri bagagli. Era l’ora di partire. Tolsi una pate dei bagagli e mi accomodai. Più nervoso, il mio amico, preferì passeggiare.
Forse fui colpito dal rosso del vestito, forse dalla signora che c’era dentro, o dalla figlia che aveva accanto.
“Prego, accomodatevi, sedetevi, un posto è libero, il mio. Ma…l’altro non lo so…è del mio amico” ed in parte mentendo o comunque esagerando “ha delle periodiche crisi di stanchezza”.
Dentro di me sorrisi per la parziale bugia.
La signora sorrise anche lei ringraziando.
“Ah, sei il cugino di…. Non lo sapevo, non l’avevo mai saputo”
“E sono anche il cugino di…”
Una risata gentile mi fu da risposta.
“Sì, ma tu sei diverso”
Il pensiero in quel momento volava a quest’ultima.
Raggiunsi il mio amico che stava a dirigere con la fantasia le operazioni di imbarco delle merci e delle auto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *