DONNA CREOLA E GLI ANGELI DEL CORTILE di Floriana Coppola – edizioni “La vita felice”

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Semplice vuol dire lineare, sciolto, chiaro, comprensibile, adatto anche ai giovani lettori. E tutto questo per me che sono stato a contatto con giovani di diverse età e generazioni vale un apprezzamento estremamente positivo. Il libro si legge bene dalla prima all’ultima pagina, anche se a quel punto, quell’ultimo punto, appaiono irrisolte molte delle problematiche avviate e relative a qualche personaggio, ad esempio Ercole, per il quale si avverte la necessità di un ampliamento; non sono affatto un patito della meticolosità e della pignoleria ed apprezzo perciò la sintesi e la possibilità che viene offerta ai lettori di elaborare percorsi personali, ed anche per i grandi personaggi della letteratura la cui vita non si estingua con la parola “fine” non è dato di sapere cosa accada di loro. E d’altra parte trovo doveroso rispettare l’impegno dell’autrice del romanzo (ah, già, sono a commentare “Donna Creola e gli angeli del cortile” di Floriana Coppola, edizioni La vita felice) perché la creazione le appartiene e noi abbiamo il compito di valutare ed apprezzare quel che ci propone. In molte pagine si respira la predilezione lirica di Floriana, che rende fortemente emotiva e gradevole la lettura. La narrazione è diretta e riesce a far emergere una speciale capacità di entrare in sintonia con chi legge. Non conoscendo la prima stesura del romanzo pubblicata dieci anni fa, essendone quest’ultima, a detta della stessa autrice, una riscrittura “più fluida e comprensibile” non sono in grado di darne conto nel commento. Conosco, però, la sua poesia e ne rilevo un assaggio di alto valore nei versi che precedono l’avvio del romanzo, “Dolceamaro / il tuo sapore in me…”, nonché in quelli che ella lesse all’interno della Dragonara il 28 settembre scorso nel reading di poeti in occasione di “Letteraturainfestival Libri di mare libri di terra”. Ricordo anche di averla incontrata in una delle mie prime re-incursioni partenopee ad “Evaluna – Libreria delle donne” in Piazza Bellini in occasione della presentazione del libro “Le donne della cattedrale” e di averne scritto come di autrice di versi poetici e collage di poesia verbovisiva. “Donna Creola” è un personaggio centrale in questo percorso di formazione che vede protagonista il piccolo Lino alle prese con gli interrogativi esistenziali tipici dell’età post-infantile e pre- adolescenziale. E’ Lino il narratore delle vicende che coinvolgono ed intrecciano le “storie minime” di un comune condominio; sono storie di solitudini tragiche, che noi tutti cogliamo nelle nostre osservazioni, inserite in un tempo indefinito e fuori da contesti storici evidenti. Insieme a lui troviamo mamma Rosa, levatrice, che custodisce terribili segreti sul concepimento del figlio Lino; la signora Gina che vive con il marito Agostino, ubriacone e traditore con un debole verso donna Creola, ed il rozzo figlio Beppe; il professor Farnese, misogino assoluto ed intransigente; l’avvocato Ettore Siano, bello ed elegante, e l’infelice moglie Concetta con le figlie gemelle Elisa ed Elvira; Tina Sacchi , altra donna infelice ed insoddisfatta, ed il marito, disoccupato che si dà da fare in mille mestieri, e le loro figlie Titina e Melina, amiche di Lino (in questo contesto all’improvviso appare un nuovo “angelo”, Cesarino). Le vicende si snodano e si intrecciano contribuendo a creare un “idillio” complessivo all’interno del quale si compone la “Storia” di una piccola comunità, che metaforicamente ne rappresenta la Forma universale della Vita, la nostra Vita, quella che più di tutti conosciamo.

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TRAMEDIQUARTIERE E METANARRAZIONE – mettiamoci alla prova!

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Pubblico solo un avvio della “cronaca di una giornata di lavoro”, quella del 19 gennaio 2015 come esempio di “metanarrazione” a partire da fatti reali o “presunti tali”.

1920 gennaio – “un po’ per celia, un po’ per non morire”
Quella parte della macchina fotografica che inquadra il soggetto – o l’oggetto? – che decidi di riprendere collocandolo in un suo attimo eterno di fissità assoluta non poteva essere chiamato in maniera così distante dalla sua concreta essenza. L’ “obiettivo” è infatti ciò che più lontano non può essere rispetto alla reale “obiettività”. Tutto è fuorché “obiettivo”!
E, pur volendo rappresentare la realtà, la verità, non può che rappresentarne, sulla linea infinita del tempo, una minima minuscola infinitesimale parte di esso.
La dimostrazione pratica di quel che si scrive è data dalla impossibilità di fornire un’unica spiegazione logica “obiettiva” di qualsiasi fotografia.
Ecco, dunque, quel che accade quando ci troviamo, come persone comuni, di fronte agli oggetti che vogliamo fotografare: anche l’attimo che scegliamo e che riusciamo ad ingabbiare, che impropriamente chiamiamo “istantanea”, è inevitabilmente successivo a quello che avremmo voluto fermare. In questo caso l’obiettività ricercata sfugge a noi stessi che la intendevamo invece accogliere come unico ed essenziale punto di vista.

I ragazzi hanno percorso le strade di San Paolo. I ragazzi – ma sono soprattutto ragazze – che seguono il Progetto delle Trame li abbiamo indirizzati ed accompagnati ed hanno così potuto interrogare le varie realtà del quartiere con i loro strumenti, a partire da quelli fisiologici, gli occhi e le menti. Tutto è, dunque, relativo: al momento, alla persona che inquadra ed a ciò che viene inquadrato. Il momento della giornata, delle stagioni e del clima diverso, della luce che cambia. Ed anche le contingenze storiche e sociali di una minima realtà condizionano sia i risultati che le loro interpretazioni in modo emotivo. Diversamente.
Dal Circolo di via Cilea partiamo e chissà perché mi vengono in mente Pirandello ed Imperiali, in particolar modo quella storia “pirandelliana” che quest’ultimo narra ne “La fontana del Comune”. Sarà un presagio? Sarà un presagio!
Un gruppo va verso il “pallaio”, luogo di incontro soprattutto di anziani ( ma i giovani non mancano anche se sono una eccezione)che giocano o solo osservano giocare a bocce e mentre trascorrono il loro tempo al coperto ed al riparo dalle intemperie discorrono sulle malefatte dei Governi e su qualche maldicenza locale.
Accompagno Valeria alla CONADDE mentre Gino e Siria con gli altri, una parte se ne è già andata subito dopo pranzo, va verso l’area Baldassini. C’è un grande giardino attrezzato ed una quinta di archeologia industriale di esaltante bellezza, tanto è che l’urbanista, lo storico ed il costruttore difficilmente condividerebbero un unico pensiero.
Con Valeria corriamo, le chiedo se il mio passo sia troppo rapido per lei: lo faccio anche per marcare il mio segreto desiderio di non essere considerato quel che oggettivamente sono, un anziano troppo spesso rammollito e pantofolaio. Parliamo; in verità parlo soprattutto io per tutto il tempo, chissà che non annoi come fanno con me alcuni. Ma siamo veloci a ritornare dopo pochi minuti. E ci ricongiungiamo al gruppo, dopo aver scartato , solo in parte, l’incontro con uno strano tipo che, chissà perché, aveva sbagliato il tempo di un appuntamento con Saverio, il nostro coordinatore di Circolo Piddì, e mi tampinava. Bye Bye, gli dico, e fatti rivedere un altro giorno. Mi sento un verme, ma non sono in grado di essere migliore se mi si limita.

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