PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – settima parte

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PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – settima parte

prosegue e si conclude la testimonianza di Armida Gianassi la protagonista del film

“Poi abbiamo lasciato la campagna. Con tanto rimpianto. Per chi nasce in campagna è difficile vivere nella città. Firenze la conoscevo fin da bambina, perché mio padre qualche volta mi ci portava. Prato invece era una città anomala, si lavorava, si lavorava e basta. L’unico respiro era salire su un autobus e andare a Firenze, lì c’era un’altra atmosfera. Poi sono passati gli anni, mi sono abituata a Prato. Era la città che mi aveva accolto, che mi aveva dato da vivere, che mi aveva fatto crescere, in cui avevo mosso i primi passi nella vita, e sono sempre pieni di entusiasmo e di sogni. Quindi sono riconoscente a questa città, e qui sono ritornata a vivere dopo averla lasciata. Però è una città che mi ha fatto anche soffrire.
Io non ho vissuto l’esperienza della grande fabbrica. Quando mi proposero di fare Giovanna lavoravo alla ditta Suckert, in via S.Silvestro all’angolo di Piazza Mercatale. Ho lavorato lì perché conoscevo i proprietari, la famiglia Suckert. Li avevo conosciuti nel Mugello quando ancora stavo lassù. Era una piccola ditta che fabbricava corde per filature, con poche persone a lavorarci. In tutto, al completo, eravamo sette o otto. Era una ditta a dimensione familiare in cui si stava bene, se c’era qualche problema ci aiutavamo, se c’era qualche rivendicazione da fare al titolare parlavamo una per tutte e la cosa veniva definita.
Mi ricordo che quando ho avuto l’occasione di Giovanna non sapevo come fare, perché in ditta c’era molto lavoro. Chiesi il permesso al titolare, vennero sia Montaldo che Pontecorvo a chiedere se poteva concedermi i permessi per girare il film. Durante la lavorazione non ho mai smesso completamente di lavorare in fabbrica. C’erano giorni in cui dovevo essere tutto il giorno sul set, altri in cui ci stavo mezza giornata, e mezza giornata andavo a sbrigare il mio lavoro in fabbrica. I proprietari non mi crearono problemi, anzi furono quasi contenti di darmi i permessi.
Dopo il film Giovanna ho continuato a lavorare, ho fatto le stesse cose che facevo prima, anche se c’era qualcuno in più che mi salutava per strada o mi riconosceva. Poi mi hanno invitata a Roma, ho visto il film. Ho anche avuto qualche proposta, però l’ho rifiutata perché già a quel tempo avevo conosciuto mio marito, e quindi…. Insomma, avevo preso un’altra strada.
Ho continuato a lavorare nella stessa ditta, nell’attesa di farmi poi una famiglia. Poi mi sono sposata e ho lasciato Prato per andare a vivere a Firenze, e così ho fatto la vita di tante donne che si sposano, che lasciano la propria città, le amicizie, e ho ricominciato daccapo. Ho avuto i miei figli, la prima una bambina, e per guardare mia figlia ho rinunciato a lavorare. Così la mia vita è continuata come quella di tante e tante altre donne. Poi ho avuto un’altra figlia, ho cambiato ancora città, ho lasciato Firenze. Insomma un susseguirsi di cose, cose normali di una vita normale. Ho cercato di trasmettere alle mie figliole i sogni che io forse non avrei realizzato, ma il cammino continuava e sarebbe continuato con loro, e forse in parte i miei sogni gli avrei realizzato attraverso di loro. Ho sempre insegnato alle mie figlie che, pur essendo nate donne, non per questo non dovevano avere la loro vita. Dovevano cercare soprattutto di studiare. Io ho sempre avuto il pallino dello studio, forse perché, quando ero giovane, non ho potuto realizzare questo desiderio.
Confesso che soltanto quando vidi il film tutto montato ho capito l’importanza della cosa, più grande di quella che mi era sembrata durante la lavorazione; ho capito che valeva la pena averlo fatto, perché Giovanna rappresentava nel film il problema di tante donne, specialmente a Prato dove le fabbriche erano così tante: rappresentava la sofferenza della donna nella fabbrica, la fatica della donna che lavorava e che aveva il doppio lavoro, in fabbrica e alla sera in casa, in famiglia. Quando vidi il film mi sono detta che era proprio quello che pensavo, che intuivo ma non riuscivo ad esprimere con tanta chiarezza.”

G.M.

MCM20027

—prosegue….

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