DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – OTTAVA PARTE – 4

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DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – OTTAVA PARTE – 4

Il cinema ungherese è stato il protagonista assoluto dell’edizione di quest’anno alla Mostra di Pesaro. Chi ha avuto la possibilità di seguire le proiezioni sin dal primo giorno, sarà stato colpito favorevolmente da un’antologia di cortometraggi, “A piacere” di Zoltàn Huszàrik. Non lo conoscevamo questo autore e abbiamo saputo molto su di lui in quel di Pesaro. Disegnatore e pittore, membro fondatore dello Studio Béla Balàzs, aiuto regista e scenografo, Huszàrik è morto prematuramente l’anno scorso, lasciando diverse opere, alcuni cortometraggi e due lungometraggi, “Szindbàd” (1971) e “Csontvàry” (1979). I cinque cortometraggi presentati ci offrono un assaggio molto squisito della capacità del loro autore nel costruire “arte filmica”. Dice Huszàrik: “L’essenza del cinema…è “pictografia” scrittura con immagini. Questa scrittura non rinuncia alla verbalità, ma fa un uso economico dei dialoghi. La pictografia è ancora al livello della formazione dell’alfabeto”. A dire il vero, le immagini che appaiono susseguirsi sullo schermo, anche nella loro sequenza, non hanno bisogno di un commento verbale, si esprimono così come sono: è il loro ritmo, la durata, il movimento e la staticità naturale di cose, uomini ed animali, a rendere il senso voluto dal suo autore. Così “Elègia” (1965), con i suoi bei cavalli in libertà, simbolo dell’angoscia e della sofferenza di chi, amando e vivendo la vita liberamente, è destinato invece alla sconfitta del compromesso e della morte, in particolare quella civile, non ha bisogno di parole: è sufficiente il martellio incalzante degli strumenti e delle immagini a palesare, esprimere, trasmettere pensieri, anche astratti come questi. Stupendo, anche nel suo silenzio ovattato è “Capriccio” (1969), una fantasmagorica coreografia di pupazzi di neve e paesaggi, fotografati con rara ed elegante padronanza del mezzo da Jànos Tòth, un altro eccellente autore del cinema ungherese dei nostri giorni. Più sul tono documentaristico è invece il terzo, “Amerigo Tot” (1969), che è dedicato a un maestro scultore di origine ungherese, il quale viene ripreso nel pieno della sua attività a Roma, in via Margutta. E, dopo “Angelus” (1972), interessante e calligrafica prova di bravura sugli angeli, più estetizzante nel senso puro che pregno di significati reali, c’è il bellissimo “A piacere” (1974) che dà il titolo all’Antologia; è un film documentario sui pericoli che ha corso l’umanità e che incombono tuttora su di essa: la guerra, la morte, la perdita della libertà. Abbiamo parlato di questi cortometraggi e scriveremo fra poco anche di “Szindbàd”, perchè siamo abbastanza sicuri che il pubblico bellunese potrà vedere questo e quelli grazie all’impegno del Circolo di Cultura Cinematografica “La Grande Bouffe” che li presenterà quest’anno all’interno di un corposo ciclo sul cinema ungherese.
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Nota dell’autore: In un prossimo post riporterò la seconda parte dell’articolo datato 28 giugno 1982. Aggiungo tuttavia una nota intorno al Circolo “La Grande Bouffe” che fondai a Feltre insieme a Francesco Padovani. Molte furono le iniziative che proponemmo, anche se quella sul “Cinema ungherese” non fu realizzata a Feltre ma un paio di anni dopo a Prato dove ero arrivato in modo provvisorio alla fine del 1982 e stanziale dall’anno successivo. A Prato contribuii in modo diretto e corposo alla fondazione del Cinema “TERMINALE Movies” tra via Frascati e via Carbonaia. E fu lì che la vedova di Zoltàn Uszàrik ci inviò tutti i materiali filmici del coniuge per una personale che ebbe grande successo.

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