“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo dodicesima parte

No alla pena di morte

PACE E DIRITTI UMANI – dodicesima parte
(vedi post 25 aprile per undicesima parte)

…se invece fosse morto impaurito spaventato trascinato a forza, avrebbe dato l’idea di un vigliacco e quindi avrebbe perso la sua aureola ed, infatti, l’attore, il gangster irlandese in omaggio alla vecchia amicizia con il prete si fa trascinare, muore in maniera molto vile, fa forza a se stesso che avrebbe voluto morire spavaldamente ma lo fa appunto proprio per evitare che il suo esempio venga assunto da altri delinquenti e per altre carriere delinquenziali.
Il comportamento eroico sul patibolo è frequente soprattutto all’epoca dei supplizi pubblici ed è secondo Beccaria giustamente negativo, perché invece di invitare al timore nei confronti della pena in realtà lo rende quasi un atto di valore, un atto di sfida nei confronti della società costituita.

L’animo nostro resiste più alla violenza ed agli estremi ma passaggeri dolori, che al tempo ed alla incessante noja: perchè egli può, per dir così, condensar tutto se stesso per un momento, per respinger i primi; ma la vigorosa di lui elasticità non basta a resistere alla lunga e ripetuta azione dei secondi.

Cioè gli uomini soffrono maggiormente della noia e della incapacità di impiegare il proprio tempo piuttosto che di dolori o di sofferenze che possono essere rapidi e condensati. Con la pena di morte ogni esempio che si dà alla nazione suppone un delitto.

Nella pena di schiavitù perpetua un sol delitto dà moltissimi e durevoli esempi. E se egli è importante che gli uomini veggano spesso il poter delle leggi, le pene di morte non debbono essere molto distanti fra di loro: dunque suppongono la frequenza dei delitti; dunque perché questo supplizio sia utile, bisogna che non faccia su gli uomini tutta l’impressione che far dovrebbe, ciò che sia utile, e non utile nel medesimo tempo. Chi dicesse che la schiavitù perpetua è dolorosa quanto la morte, e perciò egualmente crudele, io risponderò, che sommando tutti i momenti infelici della schiavitù, lo sarà forse anche di più: ma questi sono sparsi sopra tutta la vita, e quella esercita tutta la sua forza in un momento. Ed è questo il vantaggio della pena di schiavitù, che spaventa più chi la vede, che chi la soffre: perché il primo considera tutta la somma dei momenti infelici; ed il secondo è dalla infelicità del momento presente, distratto dalla futura, tutti i mali si ingrandiscono nell’immaginazione e chi soffre trova delle risorse e delle consolazioni non conosciute e non credute dagli spettatori che sostituiscono la propria sensibilità all’animo incallito dell’infelice.”

Ora per motivi di lunghezza e per impedire che voi siate sottoposti al pesante arbitrio della noia, io mi avvio verso la conclusione.

Avvio alla conclusione leggendo un ultimo passo di Beccaria e commentandolo.
C’è un’altra cosa che Beccaria dice, che se effettivamente la pena di morte fosse una cosa che ciascuno di noi accetta, se ci fosse qualcosa che veramente noi giudichiamo giusta, perché tanto discredito sul boia, quali sono i sentimenti di ciascuno sulla pena di morte leggiamoli negli atti di indignazione e di disprezzo con cui ciascuno guarda il carnefice, che pure è un innocente esecutore della pubblica volontà, un buon cittadino che contribuisce al bene pubblico, lo strumento necessario alla pubblica sicurezza al di dentro, come i valorosi soldati al di fuori.

…XII….