CINEMA – una storia minima – quarta parte

CINEMA – una storia minima – quarta parte

Dopo le prime prove, molto spesso di carattere volontariamente o involontariamente sperimentali, il Cinema subisce un periodo di crisi, di disaffezione da parte del pubblico. Bisogna dire che questo era formato quasi esclusivamente da persone che appartenevano ad un ceto medio alto (gli stessi ambienti descritti nel cinema “documentario narrativo” provenivano da quel blocco cetuale) e le proiezioni erano infatti programmate in spazi medio piccoli come sale da conferenza attigue ad alberghi di lusso, dove si svolgevano convegni professionali.

Il cinema era ancora un fenomeno che poteva rimanere semplicemente un diversivo, più o meno come quello che caratterizzava le riunioni di famiglia allargate ad amiche ed amici per rivedere le foto (o i filmini) delle vacanze o del matrimonio o del viaggio di nozze. Più o meno accadeva la stessa cosa all’inizio della storia del cinema: qualcuno dei proponenti si impegnava a spiegare cosa rappresentassero quelle scene.

In questa fase non si può parlare ancora di “industria”, ma nella prima parte del secolo nuovo sia negli Stati Uniti che in Francia si fecero strada alcuni imprenditori come Mayer e Gaumont che decisero di allargare gli spazi a disposizione del pubblico ed abbassare il prezzo per la fruizione popolare. Per avvicinarsi al popolo occorreva tuttavia che fosse più semplice per tutti la comprensione delle storie narrate e che si rifacessero a temi attrattivi.

Ecco dunque che negli Stati Uniti si affaccia una delle figure che trasformerà decisamente la concezione dell’arte cinematografica, apportando delle sostanziali modifiche,caratteristicamente – oggi diremmo – “americane”. Si tratta di David Wark Griffith che dopo una iniziale esperienza di attore ed una di regista iniziata nel 1908 con “The Adventures of Dollie”, un filmetto nel quale egli mise in evidenza le sue qualità narrative di tipo letterario (avido lettore si impadronisce in modo efficace della costruzione narrativa e la trasporta nell’arte cinematografica).

Ma anche Griffith all’inizio realizza esclusivamente film corti, fin quando non arriva dall’Europa ed in particolar modo dall’Italia la proposta di impostare grandi narrazioni colossali che propongano l’amor di patria e il riferimento ai grandi valori religiosi.

E’ questo in primo luogo il caso di “Cabiria” di Giovanni Pastrone del 1914; ma lo stesso regista aveva dato grande prova di sè in opere come “Giulio Cesare”, “Giordano Bruno”, “La caduta di Troia” dal 1908 al 1910.

Nel 1911 Bertolini, Padovan e De Liguoro girano “L’Inferno” mentre tante altre figure eccezionali si aggirano tra Torino, Roma e Milano, grandi personalità della Cultura che si appassionano a questa nuova forma d’arte. A questo punto è del tutto evidente che si parli di una vera e propria industria ricca di personaggi che girano intorno all’arte cinematografica: uno di questi è Gabriele D’Annunzio che scrive i testi per “Cabiria”. Ma ci sono anche registi come Mario Caserini che nel 1913 gira “Gli ultimi giorni di Pompei” e Enrico Guazzoni che sempre in quell’anno realizza “Quo vadis?”.

E’ a costoro che dunque si ispira l’americano Griffith quando, dopo aver girato un primo lungometraggio biblico nel 1914 (“Judith of Bethulia”) si lancia nell’epopea de “La nascita di una nazione” del 1915 e subito dopo in “Intolerance” (1916) dove mette in mostra la costruzione di storie parallele in tempi molto lontani tra loro, trattando un tema, l’intolleranza, purtroppo sempre attuale.