CINEMA – Storia “minima” 8 – gli anni Trenta (per la parte 7 vedi 10 settembre)

CINEMA – Storia “minima” 8 – gli anni Trenta (per la parte 7 vedi……)

8.
Il cinema Americano, come abbiamo potuto intravedere dalle vicende che coinvolsero tanti talenti, giovani o meno giovani, europei (tra tutti ricordiamo appunto Fritz Lang e Alfred Hitchcock, oltre che, per un breve intervallo, una sorta di gita fuori porta, Sergei Eisenstein), in quegli anni cominciava a dettar legge soprattutto per la parte che riguardava il cinema di evasione, la commedia soprattutto, diventando punto di riferimento dello show-business. Una di queste da segnalare per l’anno 1934, fu “Accadde una notte” di Frank Capra, che segna – oltre alla consacrazione divistica della mascolinità di Clark Gable – l’avvio di quel cinema buonista, paternalista ottimista che interpreta una parte importante del mito americano.

Tra il 1933 ed il 1935 Jean Renoir dopo i primi successi apre un percorso di capolavori, come “Madame Bovary” una rilettura meno rigorosa del capolavoro di Flaubert e più condizionata dalla sua visione sociale contemporanea. Il film che lo consacra definitivamente al Paradiso cinefilo sarà “Toni”, una storia drammatica incentrata nel mondo del sottoproletariato degli immigrati italiani nel sud della Francia. Renoir fu ispirato da fatti realmente accaduti (alla fine dell’Ottocento, da quelle parti, in Provenza, ad Aigues Mortes c’era stata una strage “razzista” che aveva visto coinvolti alcuni immigrati italiani) anche se ne volle raccontare solo alcuni aspetti legati a storie intime e personali di amore e morte. E’ molto importante sapere che su quel set operò come aiuto regista il giovanissimo Luchino Visconti (nel suo primo vero grandissimo film, “Ossessione”, prototipo della stagione del Neorealismo italiano,riconosceremo gli stilemi del suo maestro, Jean Renoir).

Non possiamo dimenticare di segnalare che in quegli stessi anni prosegue la splendida carriera documentaristica di Robert Flaherty, che coglie il segno ancora una volta dopo “Nanook”, “L’ultimo Eden” e “Tabu” con un nuovo capolavoro di documentazione drammatica, “L’uomo di Aran” che narra il rapporto dell’uomo con le forze della Natura, utilizzando una tecnica fotografica di grande livello artistico. Il film che venne premiato al Festival di Venezia come miglior film straniero nel 1934, si incentra appunto su una famiglia di pescatori alle prese con la durezza del lavoro in una realtà nordirlandese impervia e ventosa.

Certamente meno problematica dal punto di vista antropologico e sociale narrata da Lubitsch nella ripresa della famosa operetta di Franz Lehar, dopo la prima edizione che nel 1925 era stata proposta da Erich von Stroheim, in una sorta di “allegra” vacanza dopo Femmine folli e Greed. Ma il successo per Lubitsch – visto che per la prima volta si poteva utilizzare il “sonoro” (che per un’operetta è essenziale) – fu assicurato. Si tratta ovviamente de “La vedova allegra” di cui riporto la colonna sonora originale.

Affacciandoci poi sul nostro palcoscenico nazionale, quello italiano, il 1934 è anche l’anno dell’epopea garibaldina, unitaria, antiborbonica e inevitabilmente sabauda del film “1860” di Alessandro Blasetti. Il film racconta la preparazione dell’impresa dei Mille e il suo regista fu certamente condizionato dal periodo storico nel quale egli viveva, il Ventennio fascista.


Del 1935 segnaliamo l’uscita del primo film con persone in Technicolor, “Becky Sharp” di Rouben Mamoulian, ispirato al romanzo “La fiera delle vanità” di William Makepeace Thackeray. Questa tecnica era stata utilizzata prima di allora per alcuni film di animazione della serie “Silly Symphonies” di Walt Disney, come quello dal titolo “Fiori e alberi” del 1932.

Fine parte 8