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anticipazione di un evento – TERZO INCONTRO del DOMINO LETTERARIO – I VETRI SUI MURI di Fabio Panerai MERCOLEDI’ 29 APRILE – circolo arci san paolo via cilea 3 Prato – UN’INIZIATIVA DI ADSP – CIRCOLO DELLE IDEE

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anticipazione di un evento – TERZO INCONTRO del DOMINO LETTERARIO – I VETRI SUI MURI di Fabio Panerai MERCOLEDI’ 29 APRILE – circolo arci san paolo via cilea 3 Prato – UN’INIZIATIVA DI ADSP – CIRCOLO DELLE IDEE

Venerdì scorso (10 aprile) si è svolto l’incontro con Riccardo Cammelli, autore de “Tra i panni di rosso tinti – Appunti di storia pratese 1970-1992” nell’ambito del DOMINO LETTERARIO organizzato da ADSP – CIRCOLO DELLE IDEE che agisce all’interno del Circolo ARCI San Paolo di via Cilea 3. Il libro edito da ATTUCCI Editrice è stato presentato da Giuseppe Maddaluno e Manuele Marigolli.
Sono state trattate storie della nostra gente, di carattere economico, urbanistico, politico. Si è voluto scorrere la parte di Storia che maggiormente ha riguardato il nostro territorio (le battaglie per un ambiente migliore, la presenza della comunità cinese) con uno sguardo anche alle problematiche che si riferiscono alla vicenda “Aeroporto di Peretola”. Il pubblico presente è intervenuto con passione.

Al termine dell’incontro come di consueto Riccardo Cammelli ha indicato libro ed autore che saranno presentati nel prossimo incontro che si svolgerà mercoledì 29 aprile p.v. sempre al Circolo ARCI San Paolo di via Cilea 3 ore 21.00. Il libro è “I vetri sui muri” di Fabio Panerai edito da Sarnus.

Gli organizzatori stanno verificando la possibilità di costruire un’Appendice al “DOMINO” per consentire la presentazione di altri autori ed altre opere.

Un invito ai miei amici campani – al PAN di Napoli – mercoledì 15 aprile ore 17.30 – TODO CAMBIA di Gennaro Carotenuto

Un invito ai miei amici campani – al PAN di Napoli – mercoledì 15 aprile ore 17.30 – TODO CAMBIA di Gennaro Carotenuto

Interverranno il Sindaco di Napoli Luigi De Magistris, il prof. Marco Meriggi e la prof.ssa Gabriella Gribaudi dell’Università Federico II, la prof.ssa Raffaela Nocera dell’Università Orientale

Breve introduzione dell’autore dal suo Blog
http://www.gennarocarotenuto.it/


È in libreria la mia terza monografia: Todo cambia. Figli di desaparecidos e fine dell’impunità in Argentina, Cile e Uruguay, Le Monnier 2015. Todo cambia, è un titolo che non ricorda solo la negra Mercedes Sosa, ma ancora di più, per chi avrà l’amabilità di leggere, testimonia che non ci sia un destino segnato né nel bene né nel male e come la Storia ci insegni che dalle più angosciose tragedie, la vita, la verità e la giustizia, possano tornare a fiorire facendo del passato e della memoria il seme del futuro.

Voglio lasciarvi alle righe della Scheda editoriale e poi alla mia Introduzione come invito alla lettura. Dovrei fare una lunga lista di ringraziamenti, li tengo nel cuore, di qua e di là dell’Oceano e mi limito a quelli istituzionali, non meno sentiti, Fulvio Cammarano, curatore della Collana e l’editor, Alessandro Mongatti.

nei prossimi giorni aggiungerò le righe della Scheda editoriale

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TRA I PANNI DI ROSSO TINTI – al Circolo ARCI San Paolo di via Cilea 3 a Prato l’ADSP – Circolo delle Idee presenta il libro di Riccardo Cammelli – con l’autore ne parlano Giuseppe Maddaluno e Manuele Marigolli

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Tre protagonisti della vita sociale e letteraria pratese
Durante il primo incontro al Circolo ARCI San Paolo
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TRA I PANNI DI ROSSO TINTI – al Circolo ARCI San Paolo di via Cilea 3 a Prato l’ADSP – Circolo delle Idee presenta il libro di Riccardo Cammelli con l’autore ne parlano Giuseppe Maddaluno e Manuele Marigolli

Il terzo, quarto e quinto capitolo del libro di Riccardo Cammelli “Tra i panni di rosso tinti – Appunti di storia pratese 1970-1992” Attucci Editrice si sofferma sulla vita “politica della città attraverso le vicissitudini trattate con meticolosità certosina delle principali forze politiche della prima Repubblica, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano ed il Partito Comunista Italiano. Siamo come tutti sanno in un momento estremamente decisivo per le sorti della politica italiana e delle stesse tre forze politiche che di lì a poco, tutte, si sarebbero sciolte (a dire il vero il PCI si era trasformato in PDS già nel febbraio 1991), sotto i colpi di Tangentopoli e di Mani Pulite. La storia delle forze politiche locali viene studiata seguendo le cronache locali e spulciando gli archivi.
Questa sera, insieme a Riccardo Cammelli, con l’aiuto di un testimone di primo piano di quegli anni (soprattutto gli Ottanta e i seguenti) come Manuele Marigolli al Circolo ARCI San Paolo di via Cilea 3 alle ore 21.00, tratteremo alcuni aspetti che potrebbero essere ulteriormente approfonditi, a partire da quelli locali territoriali di San Paolo e del Macrolotto Zero. Soprattutto gli aspetti economici nei rapporti fra le categorie imprenditoriali, produttive ed artigianali ed il mondo del lavoro.

Il libro si conclude poi con un “Epilogo, cioè Prologo” che è tutto un Programma. Alla prossima pubblicazione, dunque!

“PICCOLO E’ BRUTTO!”

“PICCOLO E’ BRUTTO!”

Ci sono giorni in cui poco o nulla sembra accadere e giorni pieni, allorquando non sai davvero più in che mondo vivi. Facciamo solo un piccolo esempio: l’abbinamento tra tessera PD e biglietti Expo. Lo trovo umiliante, mortificante, perfettamente in linea con la deriva populistica demagogica e di cattivo gusto che viene rappresentata da Renzi. Non mi sorprende nemmeno il commento (“L’abbiamo trovata una scelta carina”) di qualche dirigente nazionale: anche questo è perfettamente in linea. Chi si sorprende è persona dabbene, che non ha ascoltato finora le critiche degli oppositori, soprattutto di coloro che non hanno mai avuto interessi personali (costoro non hanno diritto di appartenere ad un gruppo dirigente, sono senza ambizioni) ma hanno sempre lavorato per il bene comune. Ecco, se devo pensare a me ed a chi come me ha immediatamente criticato i metodi decisionisti, eccessivamente decisionisti, dell’apparato filorenziano, non posso che riconoscermi fra coloro che hanno creduto e credono ancora, nello svolgimento della propria azione culturale sul territorio, nel perseguimento del bene comune. Questa scelta di abbinare tessera PD all’Expo si profila ulteriormente come reato, soprattutto laddove si afferma che il Partito Democratico “è l’unico ad essere rivenditore ufficiale”. A quale “gara” ha partecipato? E perchè gli altri Partiti non lo sono?
Nelle prossime ore tratterò di altre “piccolezze”, ponendomi in contrasto con chi abbina il piccolo con il bello. Quelle di cui parlerò sono vere e proprie “bruttezze” di cui non abbiamo affatto bisogno.

La Repubblica Milano 8 aprile 2015
“Il Pd -spiega il segretario milanese Bussolati- è l’unico partito a Milano ad essere rivenditore ufficiale dei biglietti per Expo 2015, questo perché crediamo fortemente nel successo della manifestazione e vogliamo, come è nel nostro dna, metterci a disposizione della città anche in questa importante occasione”. “Vogliamo che tanti milanesi visitino Expo. Per questo -si legge ancora- abbiamo deciso di acquistare e rivendere i tagliandi ai nostri iscritti con una promozione dedicata. E per i giovani under 30, che si iscriveranno al Partito Democratico di Milano, un’opportunità in più: con 25 euro riceveranno tessera 2015 e un biglietto per visitare Expo”.

TRA I PANNI DI ROSSO TINTI – Riccardo Cammelli al Circolo ARCI di via Cilea a Prato – venerdì 10 aprile ore 21.00 – UN’INIZIATIVA DI ADSP – CIRCOLO DELLE IDEE – Il Domino Letterario secondo incontro

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TRA I PANNI DI ROSSO TINTI – Riccardo Cammelli al Circolo ARCI di via Cilea a Prato – venerdì 10 aprile ore 21.00 – UN’INIZIATIVA DI ADSP – CIRCOLO DELLE IDEE – Il Domino Letterario secondo incontro

Nel secondo capitolo del libro di Riccardo Cammelli “Tra i panni di rosso tinti – Appunti di storia pratese 1970-1992” Attucci Editrice dal titolo “Un vestito per la città” l’autore tratta le problematiche legate alle complesse e difficili questioni urbanistiche, da sempre terreno di compromessi e di scontri feroci fra diverse sensibilità ed interessi.
Si parte dal Piano Marconi, che nel gennaio 1968 venne bollato in modo negativo dall’allora Sindaco Giorgio Vestri. Era, in effetti, un Piano che si basava su calcoli di crescita demografica “infinita” e completamente fuori dalla realtà. Il Piano Marconi quindi viene bloccato e si passa alla fase del Piano Sozzi-Somigli, sul quale forte ed intenso fu il dibattito politico in una città che aveva bisogno di trovare il giusto equilibrio fra esigenze abitative e sviluppo industriale, in un tempo (fine anni Settanta-anni Ottanta) nel quale emergevano, accanto alle giuste esigenze ambientali, i primi segni di crisi.
Ed infatti molto spazio e tempi lunghi vennero impiegati per discutere sui Macrolotti da utilizzare per il trasferimento delle attività industriali dai centri abitati alla perfieria Sud, e sugli interventi “ambientali” (inceneritore – sistema integrato di raccolta differenziata – depuratore). Ovviamente viene trattato il tema dell’espansione edilizia “improvvisa ed improvvisata” assumendo a simbolo due luoghi: il Cantiere ed il Guado. Molto interessante è il pragrafo dedicato alle “Grandi manovre alle porte di Prato” che interroga anche il nostro presente: si parla della partita Fiat-Fondiaria, con i primi accenni alla questione sviluppo aereoporto di Peretola e ad una grande colata di cemento che avrebbe invaso l’area di Novoli-Castello. Il Piano Sozzi-Somigli (pensato nel 1977 e varato nel 1985) come quello precedente del Marconi ma per motivi ben diversi ebbe vita breve e si passava al nuovo PRG, quello a firma Bernardo Secchi.
Venerdì 10 parleremo di questi temi con Riccardo Cammelli, approfondendoli e corredandoli della memoria di Manuele Marigolli; l’appuntamento è alle ore 21.00 presso il Circolo ARCI San Paolo di via Cilea a Prato.

Cammelli

MELANIA PETRIELLO a Prato – Circolo “Matteotti” – venerdì 17 aprile ore 18.00 – MANIPOLATI storie violente di Melania Petriello

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Venerdì 17 alle ore 18.00 parleremo anche di questo Progetto al quale sta lavorando Melania Petriello

MANIPOLATI
storie violente

di Melania Petriello

Reading a più voci
con l’accompagnamento di Luca Aquino alla tromba
3 novembre 2014 – Teatro Eliseo di Roma
Una produzione Alt Academy

Manipolazioni della coscienza e del consenso, violenze urbane palpabili e sanguinamenti familiari, solitudini grevi nella centrifuga dal tempo, sogni e segni corrosi, il peso dell’incuria sulla prepotenza dell’oblio.
I fatti raccontano di un paese ferito e stanco, nelle cui pieghe si dipana il colore delle resistenze.
Dietro le storie, ci sono le donne e gli uomini che ne muovono l’epilogo. Vite abortite o consegnate, rinascimenti privati e silenzi affollati, memorie rapite dalla chiamata al racconto. Identità che appartengono alla storia comune, nelle quale ci sono colpevoli e vinti, carnefici mascherati e morti senza giustizia. Ci sono le città che viviamo e la città che siamo. C’è, anche, il non essere mai del tutto.
Con una sola, forte responsabilità che chiede riscatto: allargare la parentesi del bene.
Certe parole hanno ragione, e quando ci chiediamo che fine fanno le abbiamo già condannate.
Salvarle è provare a salvarsi.

prologo

Ci sono donne e uomini che fanno un mestiere complicato: costruiscono parole.
Assistono ogni giorno al miracolo del foglio bianco che prende a macchiarsi, si contamina, scalpita, grida, dissente, riempie di senso.
Le parole non sono segni ma percorsi: indicano, chiara, la direzione. E detengono il potere assoluto: avere torto o essere nella ragione. Ma è come nella commedia dell’arte: i figuranti prendono a moltiplicarsi, il gioco si fa duro, ha diritto la finzione, perdura il mascheramento, fluttua l’inganno.
Chi dice la verità? Sono i fatti a costruire il torto e la ragione, o le parole a dare ai fatti il beneficio del vero e il fardello della bugia? In un Paese preso, o perso, a rammendare brandelli di necessità sono utili entrambi.
Il dubbio fortifica, la giustizia cementa.
Sono tanti i punti interrogativi che la storia affigge. Come cemento cadono gli interrogativi, ma non restano i punti.
Chi ha ucciso Pasolini il primo novembre del ’75, cosa di fatto si è dissolto a Capaci, quante parole buone c’erano nell’agenda rossa di Borsellino e su quale comodino questa si trovi dal ’92, a chi ha fatto comodo la stagione delle stragi, quale meccanismo si sia innescato nella palestra Diaz di Genova, cosa abbiano ordito le sacche estremiste lente a svuotarsi, chi ha segnato gli 81 morti di Ustica e perché era troppo facile uccidere Mino Pecorelli o Giancarlo Siani, se la massoneria è morta o ha solo completato il disegno, in quanti stiano guadagnando dal crac del 2009.
L’Italia è quel paese nel quel si moltiplicano le commissioni d’inchiesta senza la conseguente moltiplicazione di riposte.
I costruttori di parole hanno la grande responsabilità di scegliere se mettersi a spolverare le storie sospese o ritenere la sospensione una imperdonabile, ma imprescindibile, matrice delle cose.
Non siamo noi ad interrogare il passato, è lui in carne e ossa che, quando ancora insoluto, ritorna su nuove gambe e con occhi nuovi.
Cambia nome e si mimetizza nella modernità.
Più stiamo zitti, più aumenta la sua capacità polmonare.
La radiografia di quello che siamo porta in sé i segni della lotta alla quale siamo sopravvissuti.
Le mafie, come le dittature, hanno più paura delle parole che della bomba atomica o del 41 bis. Perché le parole liberano dalla manipolazioni o stringono al collo come la corda del suicida.
Sono maldestri e a volte ingannano, ingenui o impazienti, ma i costruttori di parole ci servono più del pane. Perché le persone, anche a pancia vuota, possono scegliere da che parte stare.

…continua…

reloaded “I giardini di via dell’Alberaccio”

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reloaded “I giardini di via dell’Alberaccio”

“Sì, in quella foto che ti ho mostrato ieri ero proprio in questo giardino! Ma, e tu lo hai visto, non c’era ancora. C’era un cantiere e, senza il nostro impegno, in questo posto ci sarebbe stato un altro palazzo….Erano altri tempi, ero giovane, lo hai visto no? Avevo ancora tanti capelli! Incazzato sì! Forse più di ora, anche se oggi non ho più la “speranza”.”

Chissà perché ma pochi giorni prima mi ero arrampicato sull’alto della libreria “Antica Venezia” con una scala, uno “scaleo” di legno, molto incerta e traballante e ne avevo estratto una vecchia cartella arabescata ricolma di vecchie fotografie. Qualche giorno prima avevo partecipato ad un work shop con Enrico Bianda e ne avevo tratto lo stimolo per fotografare il territorio ma anche per recuperare quel che avevo nei cassetti o nelle parti alte dei mobili antichi. Chissà perché i nostri ricordi li collochiamo così fuori dalla nostra portata; non ho soffitte in casa: da quaranta anni vivo in un condominio di sei piani ma abitiamo solo al quinto. Forse sarà una forma di difesa o la volontà di allontanare da noi il passare del tempo, la volontà di contrastare in modo infantile i segni che il tempo ci infligge.
Ho provato poi a metterle in ordine… le avevo lasciate lì da un po’ di anni in maniera confusa… ma sentivo da tempo una formidabile esigenza di riordinarle ed il lavoro comune al Circolo l’aveva moltiplicata… foto senza date, di difficile collocazione all’interno di un diagramma cronologico… E così, mentre ero sul tavolone nella stanza luminosa della mia casa abbastanza alta sui tetti di San Paolo con centinaia di fotografie buttate a casaccio in ogni suo angolo è venuta a trovarmi come fa ogni fine settimana mia figlia Arianna con il mio nipotino Andrea che ha cinque anni ma è un ragazzino in gamba che dimostra di essere ben più maturo di quelli della sua età, un ometto, un uomo in miniatura con un’esuberante curiosità. Ed è così che tutta quella roba, forse anche lo stesso disordine lo ha attratto immediatamente.
Avevo poco più della sua età quando sono arrivato in questa periferia di Prato; con la mia famiglia abitavamo nelle “baiadere” in una zona di confine oltre la quale ampi erano gli spazi verdi quasi tutti coltivati. Venivamo da un’altra periferia, quella non troppo lontana di Firenze e trovai qualche difficoltà ad inserirmi fra i miei coetanei a scuola perché, a volte può apparire ben strano, non parlavamo proprio la stessa lingua.
Tardai anche per questo ad inserirmi in uno dei gruppi di ragazzi che in San Paolo erano nati, tranne che con Ginotto, la cui famiglia era venuta già da qualche anno prima della mia giù dal Mugello: il padre lavorava come stalliere in una importante Fattoria ai piedi del Monteferrato e la madre andava a servizio in una casa signorile appena fuori delle Mura di Prato.
Di quegli anni e di quelle avventure non ho foto; non le facevamo mai e quelle che ho conservato riguardano solo la mia famiglia. Non so cosa sia stato di Ginotto… e non ho nemmeno una sua foto.

“Vedi, Andrea, il più della volte i territori sono il risultato della volontà delle comunità che le abitano. E questo accade anche quando la volontà è debole e vi prevalgono interessi di pochi. Questo giardino non ci sarebbe stato senza l’impegno di alcuni di noi”.

…Il quartiere fra gli anni Sessanta e i Settanta si era affollato a dismisura; vi erano arrivati nuovi immigrati – molti dal Sud altri dal Centro e dal Nord, i primi soprattutto i primi qui li chiamavamo “marocchini”. L’affluenza era stata così massiccia in un periodo di tempo molto limitato al punto che il Comune non ebbe modo, in effetti non volle, di verificare e seguire progettazioni e realizzazioni urbanistiche e i “palazzoni” sorsero come funghi, senza criteri prestabiliti e senza alcun controllo. Era tutto necessario ma ovviamente qualcuno ne approfittò.
A quel tempo ero ormai adulto; avevo altri amici con i quali ero cresciuto, Giuseppe, Vincenzo, Elda, Sirianna, Michelangelo e con loro si andava a ballare nei Circoli e nelle Case del Popolo; ce n’era uno al Centro ben frequentato, il Circolo “Rossi”, a due passi dal Castello dell’Imperatore e proprio sotto la sede del Partito Comunista. Con loro ero anche iscritto al Partito, tutti lo eravamo ed io insieme a Giuseppe ero nel Direttivo locale; e c’era anche una struttura di Quartiere con un Presidente ed un Comitato tutto di non eletti. in tutta quella confusione innescata da quegli arrivi “di massa”, nessuno – nemmeno noi che eravamo nel Quartiere e lavoravamo nelle Sezioni – sapeva quel che stava per accadere. In verità nessuno aveva mai saputo molte delle non-scelte urbanistiche che l’Amministrazione aveva attuato nel corso degli ultimi anni.
E così una mattina… ero appena rientrato dal turno di notte della tessitura che fu proprio Michelangelo a scampanellare dal portone. Mi affacciai per vedere chi fosse il disturbatore mattutino: “Oh vieni giù! ci sono già le ruspe…” Non capii bene cosa volesse dirmi ma mi riaggiustai i pantaloni alla meglio ed ancora in pantofole e con la tazzina di caffè tra le mani scesi per le scale e rapidamente, senza nemmeno badare alle ultime gocce la lasciai sul bordo del primo finestrone, fui giù. “Che succede, Michelangelo?” In effetti non ci avevo capito granché anche se mi ero reso conto della gravità della situazione. “Là in quello spiazzo dove noi abbiamo sempre pensato di farci un giardino ci sono le ruspe e gli operai lo stanno transennando…Saranno arrivati con il buio!” Rientrai in casa con la stessa velocità con cui ero sceso, misi le scarpe senza nemmeno allacciarle e volai giù. “E allora, andiamo!”
“Il sonno, Andrea, mi era passato ma allora non ci pensavo nemmeno. Lungo il percorso ci si fermò a chiamare altri compagni, altri amici cui spiegavamo il motivo della nostra concitazione: ed in men che non si dica anche questi ne chiamarono altri. Le donne accorsero con i bambini che avrebbero dovuto accompagnare a scuola, gli anziani sollecitati dalle donne informate da un tam tam mediterraneo erano confluiti tutti davanti a questo spiazzo, proprio qua dove ora ci troviamo, caro Andrea. E proprio io, insieme a Michelangelo ed Elda che ci aveva raggiunti, con questa folla alle spalle – più di centocinquanta forse duecento persone – andai a parlare con il capomastro, chiedendogli di sospendere i lavori. Era a tutta evidenza che volevano tirar su un altro “palazzone”! Lui però ci disse che non ci poteva fare nulla.
La gente diventò irrequieta e ci toccò calmarla facendo ragionare quelli che sembravano più agguerriti ma anche capaci di comprendere. Poi io e Elda andammo a casa del Presidente del Quartiere che dopo una nostra breve illustrazione ci accompagnò al Palazzo Comunale dove, grazie soprattutto a lui, al suo credito, fummo subito ricevuti dal Sindaco che, informato delle intenzioni “ragionevoli” della gente, telefonò ai vigili chiedendo che facessero sospendere, perlomeno in quella giornata, i lavori. Noi, però, chiedemmo al Sindaco di venire ad ascoltarci; mentre con la 500 del Presidente andavamo verso il Centro avevamo concordato con lui di convocare un’Assemblea urgente; ed era giusto che vi fosse invitato il Sindaco…. E tu lo vedi, come è andata a finire. I lavori non ripresero, anche se per più di un mese le ruspe ed altri attrezzi per gli scavi delle fondamenta e materiali vari rimasero minacciosi sul posto difesi da un doppio recinto di metallo e di legno.
A quel tempo Ginotto era andato già via, credo in Belgio ma non ne ho più avuto notizie ed alcuni dei miei amici sono partiti per sempre. Tu, Andrea, ricorda che gli interessi dei poveri come noi che pure stiamo ancora bene non sono quasi mai gli stessi dei ricchi, soprattutto quelli che hanno il brutto difetto di volere sempre di più, perché hanno una gran paura di diventare come noi o peggio di noi. E per noi un giardino conquistato ci fa stare bene, ci fa vivere meglio. Loro non ne sentono il bisogno o, forse, e questo è triste, non sanno nemmeno più di cosa hanno bisogno”.

FINE

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PERCHE’ “JOSHUA MADALON” E NON GIUSEPPE MADDALUNO – 2a parte

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Helsinki 1975

PERCHE’ “JOSHUA MADALON” E NON GIUSEPPE MADDALUNO – 2a parte

Astratti furori erano in me in quel periodo; non avevo ancora prospettive chiare sul mio futuro. A pensarci ora mi vien da sorridere: avevo venticinque anni, ero laureato ed avevo appena finito di svolgere il mio noioso “dovere” militare…. Di questo poi scriverò se ne avrò voglia e tempo. La combriccola di amici l’ avevo un po’ lasciata da parte ma già allora la mia “testa” non dormiva nemmeno di notte, allorquando mi svegliavo e mettevo ordine alle mie giornate future. Uno strano “ordine” possiamo chiamarlo senza alcun dubbio un disordine, un caos, dal quale riuscivo però a cavare linee più o meno rette. Mi era sempre piaciuta la musica, anche se non ci capivo granchè, ma mi era balzato in mente di poter organizzare qualcosa che avesse a che fare con la musica. Come potevo? Da solo al massimo potevo mettermi a cantare nel chiuso delle mie stanze anticipando quella modalità “karaoke” che non avevano ancora inventato oppure fare come quel mezzo matto che a Pozzuoli chiamavano “Celentano” sia perché gli somigliava, e lui faceva di tutto per imitarne le smorfie, sia perché tentava pure di cantare come lui. Cioè avrei dovuto per strada cantare imitando qualche altro astro nascente della canzone italiana. Ma a me piacevano “I Gufi” (sarà stato anche questo un “segno” del destino?) e la Nuova Compagnia di Canto Popolare, della quale avevo seguito sin dagli inizi il percorso ed avevo organizzato un loro Concerto alla Cittadella Apostolica di Pozzuoli; e non era facile mettermi a cantare da solo per la strada canti come quelli. E proprio a quel concerto della NCCP avevo incrociato altri ragazzi come me entusiasti di quel particolare genere musicale. Li avevo incrociati appena, mentre ero preso dagli impegni organizzativi ma mi ero ripromesso di ricontattarli. E fu così che quando mi capitò di vedere Salvatore gli chiesi se era interessato ad occuparsi della costituzione di un Gruppo che facesse “musica popolare”; fu entusiasta dell’idea e mi propose di contattare Enzo. Con lui non parlammo molto, l’idea era chiara a tutti e ci piaceva: decidemmo così di rivederci per concretizzare il progetto: avremmo cantato tutti e tre, ma a suonare bastavano loro, anche se ci mancava un vero e proprio percussionista. “Joshua Madalon Group” era nato. Non sarebbe durato molto ma intanto il nome era stato inventato; riconoscevano in me l’ideatore.
In un prossimo post, andando indietro nel tempo, vi chiarirò il motivo per cui pur chiamandomi Giuseppe all’anagrafe, la maggior parte dei miei amici di adolescenza (quelli d’infanzia mi chiamano “Peppì”) mi chiama ancora adesso “Giosuè”. Anche mia moglie e i miei figli mi conoscono per Giosuè. A presto, amiche ed amici!

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PERCHE’ “JOSHUA MADALON” E NON GIUSEPPE MADDALUNO – 2a parte

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PERCHE’ “JOSHUA MADALON” E NON GIUSEPPE MADDALUNO – 2a parte

Astratti furori erano in me in quel periodo; non avevo ancora prospettive chiare sul mio futuro. A pensarci ora mi vien da sorridere: avevo venticinque anni, ero laureato ed avevo appena finito di svolgere il mio noioso “dovere” militare…. Di questo poi scriverò se ne avrò voglia e tempo. La combriccola di amici l’ avevo un po’ lasciata da parte ma già allora la mia “testa” non dormiva nemmeno di notte, allorquando mi svegliavo e mettevo ordine alle mie giornate future. Uno strano “ordine” possiamo chiamarlo senza alcun dubbio un disordine, un caos, dal quale riuscivo però a cavare linee più o meno rette. Mi era sempre piaciuta la musica, anche se non ci capivo granchè, ma mi era balzato in mente di poter organizzare qualcosa che avesse a che fare con la musica. Come potevo? Da solo al massimo potevo mettermi a cantare nel chiuso delle mie stanze anticipando quella modalità “karaoke” che non avevano ancora inventato oppure fare come quel mezzo matto che a Pozzuoli chiamavano “Celentano” sia perché gli somigliava, e lui faceva di tutto per imitarne le smorfie, sia perché tentava pure di cantare come lui. Cioè avrei dovuto per strada cantare imitando qualche altro astro nascente della canzone italiana. Ma a me piacevano “I Gufi” (sarà stato anche questo un “segno” del destino?) e la Nuova Compagnia di Canto Popolare, della quale avevo seguito sin dagli inizi il percorso ed avevo organizzato un loro Concerto alla Cittadella Apostolica di Pozzuoli; e non era facile mettermi a cantare da solo per la strada canti come quelli. E proprio a quel concerto della NCCP avevo incrociato altri ragazzi come me entusiasti di quel particolare genere musicale. Li avevo incrociati appena, mentre ero preso dagli impegni organizzativi ma mi ero ripromesso di ricontattarli. E fu così che quando mi capitò di vedere Salvatore gli chiesi se era interessato ad occuparsi della costituzione di un Gruppo che facesse “musica popolare”; fu entusiasta dell’idea e mi propose di contattare Enzo. Con lui non parlammo molto, l’idea era chiara a tutti e ci piaceva: decidemmo così di rivederci per concretizzare il progetto: avremmo cantato tutti e tre, ma a suonare bastavano loro, anche se ci mancava un vero e proprio percussionista. “Joshua Madalon Group” era nato. Non sarebbe durato molto ma intanto il nome era stato inventato; riconoscevano in me l’ideatore.
In un prossimo post, andando indietro nel tempo, vi chiarirò il motivo per cui pur chiamandomi Giuseppe all’anagrafe, la maggior parte dei miei amici di adolescenza (quelli d’infanzia mi chiamano “Peppì”) mi chiama ancora adesso “Giosuè”. Anche mia moglie e i miei figli mi conoscono per Giosuè. A presto, amiche ed amici!

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