RELOADED “GIOVENTU’ BRUCIATA: NICHILISMO, ABBANDONO, DECADIMENTO ESISTENZIALE E MANCANZA DI APPARTENENZA” di Federica Nerini

di Federica Nerini

Federica Nerini

Nell’attesa del prossimo prezioso intervento di Federica su “La solitudine” vi riproponiamo un suo intervento apparso su politicsblog.it lo scorso 6 giugno dal titolo
“GIOVENTU’ BRUCIATA: NICHILISMO, ABBANDONO, DECADIMENTO ESISTENZIALE E MANCANZA DI APPARTENENZA”.

FEDERICA NERINI
“Ettore e Andromaca” è uno dei quadri più belli del periodo metafisico di Giorgio De Chirico ed ha come tema preponderante l’abbandono e l’intangibilità spaziale. Entrambi i manichini sognano e desiderano un abbraccio impossibile, visto che il loro sadico e crudele disegnatore li ha creati senza gli arti superiori. De Chirico utilizza simboli allegorici per esprimere l’inesorabile destino perturbante a cui nessuno può sottrarsi e nello stesso tempo l’accettazione, rassegnata e melanconica, da parte dell’eroe Ettore, che preferisce una morte mitica rispetto ad una vita vile ed inutile come la nostra. L’artista greco si sarà sicuramente ispirato al sesto libro dell’Iliade: gli automi privi di anima, esistenza, fisionomia ed espressione sentimentale simboleggiano immobilismo, l’innata propensione al rigetto dell’essere e il male di vivere nei confronti degli avvenimenti giornalieri, che si succedono nel “teatro irreale” del quotidiano, alludendo allo stesso spazio fantastico in cui sono avvolti i due manichini.
In realtà parte della gioventù di oggi è propensa all’ “abbandono” più che al vivere secondo “ambizione”. Ci facciamo trasportare dall’estrema relazione dell’altro, non riusciamo ad accettare, e lasciarci attraversare da essa, la penetrante ed imperitura solitudine: ci leghiamo alla personalità estranea con pulsione ambivalente, per la paura di essere soli. Allora il soliloquio dell’esistere diventa dialogo decadente e senza senso. La nostra sfera personale è altamente limitata, nessun giovane si conosce, vive e comunica con gli altri e con se stesso, ispirandosi inconsciamente all’isolamento psicotico. Ed è proprio questa “incomunicabilità” di fondo, che ci fa pensare a come ogni individuo sia un’eterna landa desolata, rispetto a questo “sputo” di universo. La solitudine sta nell’accettazione del vivere secondo consapevolezza dell’abbandono. Noi giovani d’oggi affrontiamo la vita passivamente, senza essere noi padroni del tempo interiore, non cavalcando i secondi, i minuti, gli anni: con gli occhi bendati, non percepiamo il flusso vitale che ci accarezza i capelli e ci “abbandona” crudelmente. Sì, lo scirocco è come l’eroe troiano di De Chirico, che lascia per sempre la moglie, il figlio e la vita pur di salvare il suo popolo; la torre dove incontra la sua consorte verrà distrutta, così come il “pneuma” vitale neutralizza il precipitato delle molecole metafisiche, appartenenti all’ “animus” interno ed insondabile.
Il “nulla” ci appartiene, angosciandoci di ogni sensazione materiale, non riuscendo a reagire ci inabissiamo in una realtà distorta ed aleatoria senza via di fuga. Il futuro è un’immagine lontana ed oscura, nessuno può visitare l’isola deserta della verità mai solcata dall’ombra dell’uomo. I valori sono giunti ormai al crepuscolo, vengono bistrattati, sono sconosciuti, inariditi ed inesplorati senza l’evidente conoscenza affermata. I sentimenti che sono alla base dell’abitudine umana non sono realmente personificati, e rappresentano l’anello debole del decadimento generale. Trovare un’amicizia con basi profonde è come trovare un senso all’inutilità della guerra: impossibile. Dell’amore non si conoscono le radici profonde: la sensualità viene utilizzata come mercificazione, l’attrazione come inganno, l’adorazione come opportunismo, il piacere come desiderio; così si nasconde la vera essenza della vita amorosa, la corrispondenza sensoriale non diventa il risveglio della “joie de vivre”, tanto decantata dal francese Émile Zola e dall’espressionismo di Matisse.
La vita è una malattia senza speranza: più si pensa di guarire l’incurabile, più c’è il senso di colpa legato alla condizione di malessere giornaliero. La “gioventù bruciata” odierna non pensa al senso della vita, all’insensata vuotezza umana, all’imprescindibile fato del volere divino, all’incomunicabilità generale e all’ “eterno ritorno” del nichilismo crudele. Non è il tempo di mangiare le fragole, di contemplare il cielo azzurro senza nuvole, o di assaporare il profumo dei mandorli in fiore, non dobbiamo lasciarci assoggettare passivamente dalle bellezze effimere, dalle felicità soporifere, poiché si finisce per accettare l’oblio.
Siamo una gioventù apolide, senza meta e bandiera, senza il ricordo ineffabile del passato, che ci può far rivivere momenti estremi ed emozionanti: seppellite la speme morente! Ma dopo tutte queste analisi disfattiste, ciò che manca al mondo giovanile è un punto di riferimento, un “mito” su cui confidare le proprie ispirazioni ed aspettative; eppure qualcuno ce l’ha, ed è anche evidente, solo che prima o poi farà decostruire tutte le certezze dilaganti, e adotterà come tutti la pratica dell’abbandono. Ed ecco che l’immagine del fanatismo mitico, è in analogia con il “panegirico”, pedante ed esaltato di Ettore, l’eroe del distacco familiare. E’ come osannare un assassino: chi abbandona è reo di ogni suo peccato.
In conclusione, spero solo che questa favola: brutta, apocrifa e melensa finisca, poiché non c’è niente di più malvagio di essere illusi fino alla fine. “D’altronde tutto incomincia, perché deve finire”.
Federica Nerini

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