di Federica Nerini
Cinque anni, cinque lunghissimi anni, passati senza nemmeno accorgermi di un istante. Purtroppo, nella vita, il difetto più grande che colpisce l’uomo è quello di “raccontare ciò che ha vissuto” e “non di vivere ciò che è stato”. Vivere non è questo: “essere indifferenti”. Noi siamo sempre grandi “narratori vanagloriosi” e mai “eroi sopravvissuti”. Ora, finalmente da diplomata tirerei le somme, non per rivelare ciò che è accaduto, ma per mostrarvi come ho vissuto e imparato. Molti docenti insegnano soltanto per fluttuazione repressa, ossia proiettando ansie, delusioni e propri rimpianti verso quelli che sono gli studenti, dimenticando in maniera evidente coloro che hanno di fronte. Pensano soltanto a come possono metterti in difficoltà, per mero e semplicistico “sadismo impellente”, sintomo di una vita piena di insoddisfazione. Gestire medie, numeri e voti, come se fossero formule magiche provenienti da chissà quale libro sconosciuto di stregoneria: è sbagliato, altamente sbagliato. “Valutare” non significa deridere, ma dare un “valore” in base ad una prestazione compiuta. Se il risultato non è sufficiente, non bisogna screditare il ragazzo colpendo la sua autostima, bensì fargli capire di dover procedere diversamente nella sua tecnica di studio. Gli insegnanti sono prima di tutto degli educatori, che mostrano allo studente il “come” affrontare il “domani” negli anni venturi.
Non bisogna utilizzare tutta la scala di valutazione, i voti bassi sono sconfortanti e destabilizzano l’alunno rendendolo incapace. Al contrario se lo studente merita di essere premiato, bisogna dargli una valutazione alta, non per “illuderlo”, ma per fargli capire di essere capace, per poi far coltivare i propri sogni. Se non c’è talento, e non ci sono basi, dare “false speranze” è come indurlo a vivere all’interno di una nuvola pesante che ridiventerà leggera, solo quando le goccioline d’acqua precipiteranno sull’asfalto; tutto prima o poi si distrugge e cade, non rimarrà niente. Ecco, noi alunni mal indirizzati siamo quegli atomi di vapore acqueo: faremo una brutta fine.
Nella scuola ci sono i “docenti” che insegnano in maniera sistematica e impersonale ciò che hanno studiato (la preparazione non è mai ovvia), e poi ci sono gli “insegnanti”, coloro che ti “segnano” nell’anima e nelle esperienze. I primi sono dei casi clinici, e sono come le passioni: “malattie incurabili ”; i secondi sono essenziali per l’esperienza scolastica, sono quelli che ti danno “speranza”, sono la luce verde tanto bramata e raccontata da Fitzgerald, che con ardore manieristico pulsa all’altro capo della baia. Purtroppo “gli Insegnanti” sono rarissimi, e ti passano di fronte quanto una cometa di periodicità millenaria, proveniente dalla Nube di Oort. Però, quando la stella passa, “vive” dentro di te, poiché il giorno insegue la notte in qualunque momento, senza stancarsi mai.
Bisogna ascoltare ogni alunno, accettando ogni punto di vista, anche se è sbagliato, correggendo senza ferire: il ragazzo dà fiducia solo se c’è rispetto. Ma cosa significa “rispettare”? “Rispetto” non è né timore né terrore; esso denota, nel vero senso della parola (respicere=guardare), la capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. C’è qualunque esclusione di sfruttamento. Esso sta alla base di ogni relazione professionale, amicale e amorosa; senza di esso il terreno è arido, ci sarà un’imminente siccità.
Ma allora qual è la via attraverso cui è possibile cambiare il “Liceo” in un’istituzione degna del suo nome, magari ricordando il significato creato e adottato da Aristotele in tutta la complessità della conoscenza? Puntando, plasmando e scommettendo sui talenti dotati di quell’ “effervescente creatività” e voglia di vivere. Solo stimolando la creatività individuale è possibile produrre un “effetto”: nuovo, diverso, convincente e proveniente in maniera diretta dall’ “onnipotenza del pensiero”. Quest’ultima appartiene per istinto della psiche in ognuno di noi, ma solo chi ha un’anima nobile riesce a sfruttare queste determinate qualità fino in fondo.
Non c’è necessità di riempire le menti degli studenti di futili “nozioni mnemoniche”, sfociando nella pedanteria, anzi è giocoforza spingere le anime vibranti di dinamismo creativo a realizzare e produrre lavori unici ed inimitabili. Per questo la scuola non è un’istituzione per mediocri, ma per sognatori. È difficile nel corso della carriera liceale per ogni matricola essere compresa e capìta, un’impresa che sfocia quasi nell’impossibile. Ma a volte il destino non sa che cosa ti può riservare, non bisogna mai perdere la speme durante i cinque anni di liceo, può capitare di incontrare durante il tuo cammino della “strada meno battuta” , una “vera Insegnante” che crede e confida in te; vendendo l’anima, pur di farti amare ciò che “insegna”, essendo vulcano di idee e di passioni. Questo lo auguro a chiunque, con tutto il cuore, poiché per me è stato così.