POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE – una storia ed un metodo da recuperare

Poesia Sostantivo Femminile Questo pomeriggio è passato a trovarmi Pippo Sileci; mi ha portato una copia in dvd di “Capelli”, un film scritto da me insieme ad un gruppo di allievi del Liceo “Copernico” alla fine degli Ottanta di cui avevo un master in U-Matic e la mente è andata ai giorni in cui per la prima volta conobbi Pippo come collaboratore di Franco Morbidelli prima al Sindacato di Piazza Mercatale e poi in una struttura autonoma situata in una palazzina proprio alla confluenza fra Viale Montegrappa e Viale Veneto. Franco era (purtroppo “era”) uno straordinario artista ed una persona molto attenta a valorizzare idee e persone che presentassero progetti innovativi nel campo della produzione videocinematografica. In quegli anni mi occupavo con l’ARCI di cinema (ero nel Direttivo regionale dell’UCCA) e stavo seguendo per la rivista del Sindacato “Rassegna Sindacale” una serie di interventi sul tema “Cinema e lavoro” (ci si chiedeva, allora, come mai il Cinema non si occupava più da tempo del mondo del lavoro); di lì a poco mi sarei inoltrato nell’impresa di recuperare sia la pellicola che la protagonista del primo film di Gillo Pontecorvo, “Giovanna”, girato a Prato a metà anni Cinquanta. Ma parleremo di questo e di altre vicende che riguardano quel periodo più in qua; ritorno a Franco Morbidelli, alla memoria del quale alla Circoscrizione Est dedicammo alcune iniziative come il Premio di Pittura e di Grafica. E fu proprio nel tentativo di collegare più iniziative in ricordo di Franco (Musica, Arte e Poesia) che, durante una notte insonne (le idee navigano nelle tenebre), mi venne l’idea di abbinare al Premio Morbidelli uno spazio per la Poesia. Il titolo mi venne di getto, per consuetudine metodologica ma anche per razionale concretezza; ed altrettanto per la grande difficoltà di identificare altrimenti il significato del termine. Per rendere più elevata la partecipazione pensai ad una struttura aperta, escludendo il concorso a premi, che mi sembrava macchinoso e costrittivo, fortemente legato alla soggettività delle giurie, contrario alle forme di espressione libera che dovrebbe essere tipica della parola poetica. Era il 2000, il dicembre del 2000 e nasceva l’idea di “Poesia Sostantivo Femminile” che avrebbe avuto un grande successo per dodici anni vedendo la partecipazione di centinaia di donne ed uomini che, in occasione dell’8 marzo, inviavano i loro versi avendo un solo vincolo, che se non erano prodotti da donne dovevano ad esse essere dedicati. Con la Poesia donne ed uomini soddisfano l’esigenza di utilizzare registri alti per comunicare i propri sentimenti, le proprie ansie, le proprie inquietudini, i propri valori in una società troppo spesso contrassegnata da ritmi eccessivi, da rapporti difficili e complessi, da una diffusa incomunicabilità, da un confronto sempre più competitivo. E la Poesia è libertà, è la voglia prorompente di affermare i propri desideri, di mettere a nudo i propri sogni, le aspirazioni, di esorcizzare le paure, le angosce esistenziali, tutto quello che altri preferiscono a volte mantenere dentro, comprimendolo ed inaridendosi. Coltivare la poesia, sia per le donne che per gli uomini, significa saper sapientemente innaffiare questa tenera pianticella e farla crescere lentamente dentro di sé fin quando non arriva il momento di metterla a disposizione degli altri, del mondo. Un mondo che se fosse senza poesia sarebbe un deserto invivibile. “Poesia Sostantivo Femminile” ha dunque vissuto 12 edizioni dal 2001 al 2012 ma potrebbe essere nuovamente riproposta nel 2015 se si trovassero dei “volontari” per organizzarla. I costi sono sempre stati molto contenuti e la partecipazione è sempre stata alta sia numericamente che per la qualità. Una delle immagini (quella in evidenza in alto) ripropone la copertina della prima Edizione con una poesia di Giovanna Fravoli, che ce l’aveva portata in Circoscrizione scritta di getto su un foglio “Il tempo è troppo lento per chi soffre troppo breve per chi gioisce troppo lungo per chi aspetta, solo tu luce dei miei occhi solo tu stella luminosa nella notte più buia e tu sei lucente solo tu goccia di pioggia sei nel cielo senza nuvole ….solo tu nel mio cuore amica cara il mio bene perte conservero” poesia toccante Un’altra immagine è riferita alla undicesima Edizione che si svolse al Dopolavoro Ferroviario. La poetessa che legge una delle sue poesie è Leila Falà che venne da Bologna per partecipare alla nostra iniziativa. NUOVE maggio 2011 360 L’ultima rappresenta una scritta che potete vedere venendo da Capalle verso Prato sulla vostra sinistra prima di arrivare ai magazzini di Mondo Convenienza NUOVE maggio 2011 391

LEZIONI DI CINEMA 4

FOTO mia

 

 

 

 

 

LEZIONI DI CINEMA 4

 

 

 

Cosa significa “lezioni” nel titolo di questa raccolta di momenti diversi che in questi anni si sono susseguiti davanti a me e che hanno contribuito a farmi essere quello che sono, con tutti i limiti che posseggo e che spesso caratterizzano il mio lavoro più di quanto non lo riescano a fare i pregi?
Con il termine “lezioni” ho voluto asserire il mio ruolo di acquisitore più che quello di venditore di cultura; le “lezioni” di cui parlerò sono infatti quelle che mi hanno formato nel corso degli anni anche quando ero io a proporre, ad organizzare momenti diversi nella società, nella cultura, nella politica, nel sindacato. Le “lezioni” dunque non sono quelle che ho impartito nel corso di questi anni ai miei allievi oppure ai cittadini, quando ho dovuto svolgere il ruolo, con grande fatica, di relatore o di professore, ma sono quelle che mi hanno regalato i grandi autori del cinema attraverso i loro capolavori oppure i grandi esperti e critici dell’arte cinematografica oppure gli artisti, i grandi interpreti del cinema, oppure ancora alcuni giovani che appassionandosi al cinema mi stimolavano ad operare insieme a loro su alcuni argomenti, oppure ancora altri giovani che mi hanno insegnato a realizzare cinema pensando di poterlo imparare da me.

merlato

Non ho conosciuto in verità in modo consapevole mio nonno materno, ma ricordo nitidamente di essere (potrei sbagliarmi e potrebbe essere esclusivamente una sensazione) stato preso in collo in una stanzetta piccolissima appena al di sotto del “mezzanino” (una porzione di mansarda dove nel corso degli anni ho poi costruito il mio “covo”) nella casa colonica. Bellissimo il panorama dall’alto di questa: Ischia, Cuma, Monte di Procida, Capo Miseno, Pozzuoli, Napoli, il Vesuvio.
Mia madre mi raccontava della guerra vista da quel luogo appartato e abbastanza lontano dagli scenari bellici: Capo Miseno era la parte più vicina ma distava almeno dieci miglia; su di esso erano predisposte le batterie antiaeree ed erano stati ricavati, utilizzando le cavità naturali, molti bunker e molte gallerie erano sfruttate per rifugiarsi dai frequenti raid aerei. La guerra nell’isola era un elemento che condizionava indirettamente la sua popolazione: mia madre ad esempio forse anche per leggerezza, per una diffusa immaturità che l’ha caratterizzata per tutta la vita, l’ha vissuta come se fossero i fuochi artificiali di una festa patronale; per altri motivi mia madre è stata condizionata dalla guerra: spesso di notte arrivavano abitanti delle città vicine con barche a motore o a remi per rifornirsi a buon mercato di materie prime commestibili, soprattutto fagioli e patate; e fu in una di queste occasioni che mia madre conobbe mio padre, che come tanti di quelli che abitavano a Pozzuoli o a Napoli ha sofferto la “fame” in quel periodo. Un altro racconto di mia madre che mi è rimasto impresso e che conferma la sua fragile sensibilità è quello legato alla eruzione del Vesuvio del 1943-44: da Procida si vedeva benissimo ed era indubbiamente un grande spettacolo. Ben diversa era la sensazione della popolazione napoletana in quei giorni in preda ad una comprensibile confusione, fra truppe alleate e gli “ultimi fuochi” dei nazifascisti e la distruzione ulteriore di una parte del territorio non addebitabile solo ai bombardamenti. Su questo tema, oltre a documentazioni dirette a livello visuale, sono stati realizzati anche dei film: uno per tutti, “La pelle” di Liliana Cavani, tratto dall’omonimo romanzo di Curzio Malaparte.
Per andare a Procida, da Pozzuoli, si passava, uscendo dal Porto, davanti al Faro, ultimo avamposto del cosiddetto Molo Caligoliano ovvero di quel che delle vestigia antiche ancora rimaneva. Nel porto, come si vede in alcuni film dell’epoca, molti bambini si esibivano tuffandosi nell’acqua dal molo o da alcune barche, a volte dagli stessi vaporetti, chiedendo ai turisti di gettare nel mare qualche monetina che poi avrebbero cercato di raccogliere scendendo verso il fondo. Su quel Faro dal 15 dicembre del 1949 viveva una persona a me molto cara, della quale parlerò in seguito.