AMORI…E ALTRO – LEZIONI DI CINEMA (1992)

AMORI… E ALTRO – LEZIONI DI CINEMA (1992)
Estate del 1992. Sono a Forlì in un caldo giugno impegnato in Esami di Maturità come Commissario esterno di Italiano e Storia. Campionato di calcio europeo senza l’Italia. La famiglia è a Riccione in una residenza che chiamiamo “casetta Ariosa”. Di mattina mi sveglio presto e prendo il treno; con me ho una borsa capiente per i documenti ed un piccolo registratore portatile con alcuni nastri musicali. Ho stretto un impegno, con il Comune di Prato, che ho chiamato “Laboratorio dell’Immagine” e da alcuni anni ho prodotto materiali audiovisivi coinvolgendo gli studenti di alcuni Istituti medi superiori nell’ideazione, scrittura e realizzazione di video; ne abbiamo prodotti già tre: “Capelli”, “L’ultimo sigaro” e “I giorni e le notti – parte prima”. Con gli studenti abbiamo discusso anche quest’anno, dopo una parte teorica, ma non sono venute idee particolarmente brillanti; tuttavia da parte dell’Assessorato alla Cultura, che si occupa anche dell’Educazione per gli Adulti, è venuta una sollecitazione a collegare l’impegno produttivo del Laboratorio a quel settore. A maggio mi è stato dunque chiesto di lavorare su dei prodotti che pubblicizzino i Corsi di Educazione degli Adulti che il Comune sta attivando per l’anno scolastico 9293 ed è logico che debbano essere preparati ed approntati per settembre. Ma non c’è nulla di pronto e, dunque, devo pensare a cosa proporre. Ho in mente qualcosa che si colleghi ai miei amori…cinematografici; penso in particolare a Francois Truffaut e ad uno dei suoi film, “L’uomo che amava le donne”.

 

Truffaut

 

 

E’ un film del 1977, nel quale un ingegnere di Montpellier è attratto dalle donne, in particolar modo dalle loro gambe. “Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia.” dice e poi: “Per me non vi è nulla di più bello che guardare una donna mentre cammina purché sia vestita con un abito o con una gonna che si muova al ritmo del suo passo”. Ecco: il ritmo! Immaginavo infatti due giovani, seduti sugli scalini del Duomo di Prato mentre fumano e bevono qualcosa che loro aggrada, nell’atto di osservare seguendole, accompagnati da una musica che arrivi a loro attraverso un auricolare, gambe di donne che circolano davanti ai loro occhi. Una battuta potrebbe suonare così chiudendo lo spot: “Voi, non fate come loro, non indugiate: iscrivetevi ai Corsi di Educazione degli Adulti organizzati dal Comune di Prato”. L’idea c’è, un invito a non perdere tempo, a non bighellonare; manca la musica adatta. Sono sempre stato maniacalmente portato a scegliere musiche “speciali” per i video che ho prodotto. E non è affatto il caso di smentirmi: e dunque ascolto di continuo musiche, le ascolto e le riascolto, soprattutto nei tempi morti; soprattutto quando mi tocca attendere i treni, notoriamente non sempre puntuali. Ed allora, mentre osservo varie gambe femminili nel loro movimento inserisco “varie” colonne sonore che aspirano a diventare “la colonna sonora” di quello spot che ho immaginato. “It’s a jungle out there” cantata da Bonnie Tyler è la prescelta. Provate anche voi ad ascoltarla mentre osservate gambe di donne che si muovono davanti ai vostri occhi e fatemi sapere se siete d’accordo. Il video funziona; così come funzionano gli altri spot per i quali penso di utilizzare musiche meno ricercate. In uno coinvolgerò alcuni studenti del corso serale dell’Istituto “Dagomari” (a quel tempo era ancora in viale Borgovalsugana 63); in questo caso il messaggio partirà da una realtà positiva: i protagonisti hanno già scelto e bisogna fare “come loro”! In un altro spot protagonista è una casalinga annoiata che trascorre il suo tempo bevendo alcoolici mentre in poltrona con un telecomando nervosamente fà zapping fra programmi televisivi di scarso valore: in questo caso siamo tornati ad un punto di partenza “negativo” e ad un invito in “positivo” a non ingaglioffirsi davanti alla tv. Il quarto spot si svolge in una realtà bucolica un po’ paradossale; i protagonisti sono galline e pulcini cui sovrintende un gallo sotto l’occhio stanco di un cane da caccia affacciato alla sua cuccia. Il tutto avviene in un vecchio cascinale storico ed il messaggio parte dalla consapevolezza che “loro” (gli animali) non potranno iscriversi ai corsi ma, ed ecco il gallo che “canta”, è il momento di darsi una mossa per tutti gli altri. Gli spot sono dunque pronti nella loro ideazione; occorre realizzarli. Lo farò fra luglio, al ritorno dagli Esami, e agosto con i pochi allievi disponibili. Ma spero che siano un successo. Era l’estate del 1992.

RELOADED “GIOVENTU’ BRUCIATA: NICHILISMO, ABBANDONO, DECADIMENTO ESISTENZIALE E MANCANZA DI APPARTENENZA” di Federica Nerini

di Federica Nerini

Federica Nerini

Nell’attesa del prossimo prezioso intervento di Federica su “La solitudine” vi riproponiamo un suo intervento apparso su politicsblog.it lo scorso 6 giugno dal titolo
“GIOVENTU’ BRUCIATA: NICHILISMO, ABBANDONO, DECADIMENTO ESISTENZIALE E MANCANZA DI APPARTENENZA”.

FEDERICA NERINI
“Ettore e Andromaca” è uno dei quadri più belli del periodo metafisico di Giorgio De Chirico ed ha come tema preponderante l’abbandono e l’intangibilità spaziale. Entrambi i manichini sognano e desiderano un abbraccio impossibile, visto che il loro sadico e crudele disegnatore li ha creati senza gli arti superiori. De Chirico utilizza simboli allegorici per esprimere l’inesorabile destino perturbante a cui nessuno può sottrarsi e nello stesso tempo l’accettazione, rassegnata e melanconica, da parte dell’eroe Ettore, che preferisce una morte mitica rispetto ad una vita vile ed inutile come la nostra. L’artista greco si sarà sicuramente ispirato al sesto libro dell’Iliade: gli automi privi di anima, esistenza, fisionomia ed espressione sentimentale simboleggiano immobilismo, l’innata propensione al rigetto dell’essere e il male di vivere nei confronti degli avvenimenti giornalieri, che si succedono nel “teatro irreale” del quotidiano, alludendo allo stesso spazio fantastico in cui sono avvolti i due manichini.
In realtà parte della gioventù di oggi è propensa all’ “abbandono” più che al vivere secondo “ambizione”. Ci facciamo trasportare dall’estrema relazione dell’altro, non riusciamo ad accettare, e lasciarci attraversare da essa, la penetrante ed imperitura solitudine: ci leghiamo alla personalità estranea con pulsione ambivalente, per la paura di essere soli. Allora il soliloquio dell’esistere diventa dialogo decadente e senza senso. La nostra sfera personale è altamente limitata, nessun giovane si conosce, vive e comunica con gli altri e con se stesso, ispirandosi inconsciamente all’isolamento psicotico. Ed è proprio questa “incomunicabilità” di fondo, che ci fa pensare a come ogni individuo sia un’eterna landa desolata, rispetto a questo “sputo” di universo. La solitudine sta nell’accettazione del vivere secondo consapevolezza dell’abbandono. Noi giovani d’oggi affrontiamo la vita passivamente, senza essere noi padroni del tempo interiore, non cavalcando i secondi, i minuti, gli anni: con gli occhi bendati, non percepiamo il flusso vitale che ci accarezza i capelli e ci “abbandona” crudelmente. Sì, lo scirocco è come l’eroe troiano di De Chirico, che lascia per sempre la moglie, il figlio e la vita pur di salvare il suo popolo; la torre dove incontra la sua consorte verrà distrutta, così come il “pneuma” vitale neutralizza il precipitato delle molecole metafisiche, appartenenti all’ “animus” interno ed insondabile.
Il “nulla” ci appartiene, angosciandoci di ogni sensazione materiale, non riuscendo a reagire ci inabissiamo in una realtà distorta ed aleatoria senza via di fuga. Il futuro è un’immagine lontana ed oscura, nessuno può visitare l’isola deserta della verità mai solcata dall’ombra dell’uomo. I valori sono giunti ormai al crepuscolo, vengono bistrattati, sono sconosciuti, inariditi ed inesplorati senza l’evidente conoscenza affermata. I sentimenti che sono alla base dell’abitudine umana non sono realmente personificati, e rappresentano l’anello debole del decadimento generale. Trovare un’amicizia con basi profonde è come trovare un senso all’inutilità della guerra: impossibile. Dell’amore non si conoscono le radici profonde: la sensualità viene utilizzata come mercificazione, l’attrazione come inganno, l’adorazione come opportunismo, il piacere come desiderio; così si nasconde la vera essenza della vita amorosa, la corrispondenza sensoriale non diventa il risveglio della “joie de vivre”, tanto decantata dal francese Émile Zola e dall’espressionismo di Matisse.
La vita è una malattia senza speranza: più si pensa di guarire l’incurabile, più c’è il senso di colpa legato alla condizione di malessere giornaliero. La “gioventù bruciata” odierna non pensa al senso della vita, all’insensata vuotezza umana, all’imprescindibile fato del volere divino, all’incomunicabilità generale e all’ “eterno ritorno” del nichilismo crudele. Non è il tempo di mangiare le fragole, di contemplare il cielo azzurro senza nuvole, o di assaporare il profumo dei mandorli in fiore, non dobbiamo lasciarci assoggettare passivamente dalle bellezze effimere, dalle felicità soporifere, poiché si finisce per accettare l’oblio.
Siamo una gioventù apolide, senza meta e bandiera, senza il ricordo ineffabile del passato, che ci può far rivivere momenti estremi ed emozionanti: seppellite la speme morente! Ma dopo tutte queste analisi disfattiste, ciò che manca al mondo giovanile è un punto di riferimento, un “mito” su cui confidare le proprie ispirazioni ed aspettative; eppure qualcuno ce l’ha, ed è anche evidente, solo che prima o poi farà decostruire tutte le certezze dilaganti, e adotterà come tutti la pratica dell’abbandono. Ed ecco che l’immagine del fanatismo mitico, è in analogia con il “panegirico”, pedante ed esaltato di Ettore, l’eroe del distacco familiare. E’ come osannare un assassino: chi abbandona è reo di ogni suo peccato.
In conclusione, spero solo che questa favola: brutta, apocrifa e melensa finisca, poiché non c’è niente di più malvagio di essere illusi fino alla fine. “D’altronde tutto incomincia, perché deve finire”.
Federica Nerini