UN INVITO AI LETTORI DI QUESTO BLOG

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JOSHUA MADALONImmagine mia

Questo Blog è “aperto” alla collaborazione di ciascuno di coloro che vorranno parteciparvi. In questa fase “iniziale” è del tutto evidente che la partecipazione non può che essere per “passione”. Non esiste un target precostituito né una linea prefissata. Quello che è il mio pensiero non costituisce in alcun modo pregiudizio verso il libero pensiero di chicchessia purchè non si travalichino i limiti del buon gusto e non si rechi offesa ad alcuno.
Invito dunque tuttei coloro lo desiderino ad inviarci loro proposte in tema di Cultura – Politica – Narrativa. Ad ogni buon conto potete inviare anche proposte su tematiche che non abbiamo ancora avviato nel nostro primo mese di presenza.

JOSHUA MADALON

LEZIONI DI CINEMA 5

CARCIOFI

limoni

LEZIONI DI CINEMA 5

La vita in campagna era anche contrassegnata da alcuni compiti, che tuttavia essendo io di città non ero in grado (o meglio non ero considerato in grado) di svolgere. Andare ad accudire alle capre, significava anche raccogliere il loro latte ed io non l’ho mai fatto: potevo invece raccogliere le uova ed era molto piacevole prenderle calde e rompendone un pezzo della parte più stretta succhiarne il contenuto; oppure andare a raccogliere l’erba, una certa erba, non tutta quella che cresceva nei campi, per i conigli, una tal altra per le capre, una tal altra ancora per le galline. Si potevano raccogliere i pomodori, si potevano raccogliere le more, si potevano raccogliere i peperoncini, non di certo le patate perché era possibile sia darsi una zappa sui piedi sia rovinarle completamente: ci vuole una certa maestria nel raccogliere le patate ed io non l’ho mai fatto bene. Era molto facile ed a volte anche divertente salire sulla pianta di fico e stare lì, semmai con un tozzo di pane a fare merenda in diretta. Uno di questi fichi sempre stracarico di frutti maturi era sopra una casupola ben recintata dove c’erano le capre e le galline ed alla base della quale c’era anche una vasca nella quale con un sistema di canalizzazione affluiva l’acqua piovana per poterla utilizzare alla bisogna nei periodi di siccità. Su quella vasca si affacciava una pianta di limone che lasciando cadere ivi le sue foglie ed i suoi frutti maturi creava macerandosi nell’acqua stagnante un odore particolare di un’intensità mai più provata fuori dell’isola. Sul tetto a spioventi lievemente bombati e convessi come tutti gli altri delle abitazioni procidane si accedeva appoggiando ad uno dei lati una scala di legno a gradini ed era uno dei luoghi magici che preferivo: il profumo degli alberi di limone (non è un caso che parli di alberi e non di limoni, in quanto è il complesso che rende l’ambiente unico: è un po’ come succede al vino che trasportato da una località all’altra perde quella fragranza che lo caratterizza nella sua sede naturale) a Procida ha una caratteristica totalmente diversa da quella delle altre località partenopee, diversa ad esempio da quello della costiera amalfitana, diversa anche dallo stesso limone dell’Isola di Ischia, che da quel posto dove vivevano i miei si riusciva quasi a toccare con mano. Ho, adesso che sono lontano non solo dal punto di vista geografico, mantenuto un rapporto strano con questa singolare caratteristica di tipo certamente antropologico: non riesco a vivere serenamente se in casa o anche nella sede in cui mi trovo manchino i limoni, per cui molto spesso chi mi viene a trovare scopre ceste e cassetti del frigo pieni di limoni, dei quali molte volte annuso la buccia. Non sono assolutamente gli stessi, ma mi accontento. La vita dalle zie tutte nubili fino al termine dei loro giorni era ancor più straordinaria fino a quando alla fine degli anni Cinquanta non è arrivata prima l’ elettricità e poi l’acqua corrente. Non è più possibile ricreare quell’atmosfera che si verificava verso l’imbrunire, allorquando sia gli uccelli sia le galline riprendono in modo diversamente rumoroso la via di casa: noi bambini eravamo attesi per le abluzioni serali (intere o quasi intere) dentro ampie tinozze di coccio o di stagno, e difficilmente riuscivamo, anche se dei tentativi li attuavamo, a sfuggirle. Il buio scendeva lento ed intanto nelle stanze venivano accesi i lumi a petrolio che fornivano luce sulla tavola imbandita parcamente e, quando era inverno, si accendeva anche la carbonella per i bracieri che avrebbero dovuto riscaldare più tardi le nostre membra intirizzite e piene di “geloni”. Non era ancora il tempo né dell’elettricità né della televisione, o almeno non lo era per la casa delle mie zie. Infatti qualche altra famiglia meno lontana dalla strada principale aveva già la corrente elettrica ed aveva già, come segno di grande ricchezza acquisita (a Procida la maggior parte viveva negli agi perché in una famiglia spesso più di un membro lavorava sul mare, sui grandi transatlantici o sulle petroliere, e guadagnavano molto bene per quell’epoca), l’apparecchio televisivo. A volte come del resto accadeva da ogni altra parte in quel tempo, trasmigravamo, di solito avveniva la sera del sabato o della domenica, allorché c’era il programma di maggiore generale gradimento (di solito “Canzonissima” o altro equipollente): si andava tutti a casa di questi amici più fortunati ed erano, queste visite, anche occasioni buone per rafforzare amicizie e far nascere, e morire semmai, nuovi amori.

il ritratto dell’artista da giovane (giovanissimo)002

LEO seconda parte

LEO un racconto da un manoscritto degli anni Sessanta

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Lì dove andai c’era gente che io non conoscevo, che non mi salutava. Cominciai a sentirmi solo, anche se era quello che avevo voluto con quella scelta. Pensai subito a tornare, a lottare e se necessario a soccombere. Ma l’idea mi gettava in una prostrazione immensa, quando pensavo a quest’ultima possibile soluzione. “Ti ho sempre detto cosa pensavo di te, ma con amore; ma non abbiamo mai parlato del passato, che ci fa tanto male ricordare, il passato che conta e che per noi, ipocriti che diciamo che non conta, è ancora più importante che per gli altri. I fantasmi, li vedi, li senti, ci perseguitano, li vedo e anch’io li sento e la stessa ragione per la quale io fuggo, ti rende invece capace di reagire, di cacciare via il passato, anche se ti è così vicino, da poterlo difficilmente dimenticare in là. Ed io ti dico addio, perché non posso e non riesco a sfollare la mia mente dai personaggi odiosi che vi ci hai portato. Serenità che non ho, tutto quello che voglio e che non ho. Dovrà passare, andar via questo tempo, finire e cominciare il nuovo viaggio, la nuova vita fiorire come una primavera. Addio ti ho promesso e sarà l’addio. Se tu mi capissi, staresti lì ferma, ora, senza reagire, ed incosciente aspetteresti anche tu la fine, dimenticando i fantasmi cattivi del passato, fra cui ci sarò anche io, quando non mi vedrai più girarti intorno in quel gioco ariostesco di fiaba, con tornei, cavalieri e dame, cacce d’amore ed intrighi insospettati.” “Sei contentissima di vederti circondata ma non sai più amare, né so se prima tu lo sapessi fare. Sei diventata timida e inceppata ed incuti timore anche a chi ti guarda con amore. Ora che ritorno troverò un’altra vittima, un altro uomo adulato e poi scacciato. Non sei cattiva come vuoi apparire, forse la vita ti ha ridotto così, forse non sai agire diversamente. Ho l’impressione di non aver mai sbagliato con te, ho il timore di averti amato troppo poco, di non essere stato in grado di farmi capire. Ti proibisco di parlare di me come un amico. Non mi interessa che tu non mi abbia amato, il fatto importante è che sia stato io a farlo con te.”

Tornavo a casa. Mi ero fermato in una strada della mia città ed ero trasalito al vedere una vettura dello stesso tipo e dello stesso colore di quella di Leo con due innamorati intenti a scambiarsi i loro affettuosi sentimenti con baci e carezze: ma la targa non corrispondeva.

“Ho sentito il vuoto dentro me e la morte mi ha ghermito per un attimo, ti ho immaginata tra le braccia di un altro vedendo in tutto questo la mia fine. E’ anche dolce provare un dolore che provenga dall’amore, specialmente quando è una sofferenza fittizia della gelosia, che subito passa. Ma quando non passa…. e il dolore è reale messo in confronto con una realtà concreta non più immaginata…si arriva alla disperazione e forse è meglio piangere nel buio. Allora i sogni sono tormentati e mentre la stringi a te ti sfugge e non puoi più averla, tu piangi…tu piangi nel buio”

Tornato al mio paese, nella mia casa, mi accorsi che, volendo dimenticare, avevo troppo ricordato e di non poter fare a meno di quella donna. Avevo troppo sofferto per la lontananza; quei pochi giorni che fui lontano da lei mi avevano ben altrimenti preparato, avevo propositi diversi e mi apprestavo a metterli in pratica. E così la vidi e non appena questo avvenne mi accorsi di amarla ancora moltissimo. Il mio dentro si turbò ed i propositi si dissolesro. La guardavo estasiato e, parlando, non le dicevo che frasi retoriche ed inutili. Non avevo la forza di dirle e di darle tutto me stesso, o quella parte di me che io le avevo dedicato.

Leo non c’era, né da quel giorno l’ho più rivisto, ma dopo Leo ce ne sono stati tanti altri, meno inceppati e sprovveduti di me, che hanno lottato perdendo. (2. continua)

Eh no, quello che stringo nelle mani non è il manoscritto: qui siamo alla fine degli anni Quarantainizio Cinquanta

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