LEZIONI DI CINEMA 5

CARCIOFI

limoni

LEZIONI DI CINEMA 5

La vita in campagna era anche contrassegnata da alcuni compiti, che tuttavia essendo io di città non ero in grado (o meglio non ero considerato in grado) di svolgere. Andare ad accudire alle capre, significava anche raccogliere il loro latte ed io non l’ho mai fatto: potevo invece raccogliere le uova ed era molto piacevole prenderle calde e rompendone un pezzo della parte più stretta succhiarne il contenuto; oppure andare a raccogliere l’erba, una certa erba, non tutta quella che cresceva nei campi, per i conigli, una tal altra per le capre, una tal altra ancora per le galline. Si potevano raccogliere i pomodori, si potevano raccogliere le more, si potevano raccogliere i peperoncini, non di certo le patate perché era possibile sia darsi una zappa sui piedi sia rovinarle completamente: ci vuole una certa maestria nel raccogliere le patate ed io non l’ho mai fatto bene. Era molto facile ed a volte anche divertente salire sulla pianta di fico e stare lì, semmai con un tozzo di pane a fare merenda in diretta. Uno di questi fichi sempre stracarico di frutti maturi era sopra una casupola ben recintata dove c’erano le capre e le galline ed alla base della quale c’era anche una vasca nella quale con un sistema di canalizzazione affluiva l’acqua piovana per poterla utilizzare alla bisogna nei periodi di siccità. Su quella vasca si affacciava una pianta di limone che lasciando cadere ivi le sue foglie ed i suoi frutti maturi creava macerandosi nell’acqua stagnante un odore particolare di un’intensità mai più provata fuori dell’isola. Sul tetto a spioventi lievemente bombati e convessi come tutti gli altri delle abitazioni procidane si accedeva appoggiando ad uno dei lati una scala di legno a gradini ed era uno dei luoghi magici che preferivo: il profumo degli alberi di limone (non è un caso che parli di alberi e non di limoni, in quanto è il complesso che rende l’ambiente unico: è un po’ come succede al vino che trasportato da una località all’altra perde quella fragranza che lo caratterizza nella sua sede naturale) a Procida ha una caratteristica totalmente diversa da quella delle altre località partenopee, diversa ad esempio da quello della costiera amalfitana, diversa anche dallo stesso limone dell’Isola di Ischia, che da quel posto dove vivevano i miei si riusciva quasi a toccare con mano. Ho, adesso che sono lontano non solo dal punto di vista geografico, mantenuto un rapporto strano con questa singolare caratteristica di tipo certamente antropologico: non riesco a vivere serenamente se in casa o anche nella sede in cui mi trovo manchino i limoni, per cui molto spesso chi mi viene a trovare scopre ceste e cassetti del frigo pieni di limoni, dei quali molte volte annuso la buccia. Non sono assolutamente gli stessi, ma mi accontento. La vita dalle zie tutte nubili fino al termine dei loro giorni era ancor più straordinaria fino a quando alla fine degli anni Cinquanta non è arrivata prima l’ elettricità e poi l’acqua corrente. Non è più possibile ricreare quell’atmosfera che si verificava verso l’imbrunire, allorquando sia gli uccelli sia le galline riprendono in modo diversamente rumoroso la via di casa: noi bambini eravamo attesi per le abluzioni serali (intere o quasi intere) dentro ampie tinozze di coccio o di stagno, e difficilmente riuscivamo, anche se dei tentativi li attuavamo, a sfuggirle. Il buio scendeva lento ed intanto nelle stanze venivano accesi i lumi a petrolio che fornivano luce sulla tavola imbandita parcamente e, quando era inverno, si accendeva anche la carbonella per i bracieri che avrebbero dovuto riscaldare più tardi le nostre membra intirizzite e piene di “geloni”. Non era ancora il tempo né dell’elettricità né della televisione, o almeno non lo era per la casa delle mie zie. Infatti qualche altra famiglia meno lontana dalla strada principale aveva già la corrente elettrica ed aveva già, come segno di grande ricchezza acquisita (a Procida la maggior parte viveva negli agi perché in una famiglia spesso più di un membro lavorava sul mare, sui grandi transatlantici o sulle petroliere, e guadagnavano molto bene per quell’epoca), l’apparecchio televisivo. A volte come del resto accadeva da ogni altra parte in quel tempo, trasmigravamo, di solito avveniva la sera del sabato o della domenica, allorché c’era il programma di maggiore generale gradimento (di solito “Canzonissima” o altro equipollente): si andava tutti a casa di questi amici più fortunati ed erano, queste visite, anche occasioni buone per rafforzare amicizie e far nascere, e morire semmai, nuovi amori.

il ritratto dell’artista da giovane (giovanissimo)002

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