PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – QUATTORDICESIMA PARTE – la costumista Elena Mannini

PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – QUATTORDICESIMA PARTE – la costumista Elena Mannini

foto_elena_manninig

Elena Mannini, costumista

Credo che “Giovanna” sia stata l’esperienza più importante nel mio lavoro, nella mia vita. E per me che ero giovanissima, avevo 16 anni, è stata un’esperienza esaltante. Cominciò in modo curioso, una volta che due giovani mi rincorsero con un auto scoperta, molto in voga in quegli anni, e suonavano il clacson mentre salivo su un autobus. Credevo fossero i soliti galletti. Invece era Montaldo che mi faceva segno di scendere. Sull’autobus la gente mi diceva di scendere perché era me che chiamavano. Io scesi, perché mi accorsi che era Montaldo, e vidi accanto a lui un altro signore che non conoscevo: un uomo bellissimo, poi seppi che era Pontecorvo. Avevo conosciuto Montaldo attraverso l’UDI, perché allora svolgevo attività politica studentesca. Montaldo, presentandomi a Pontecorvo, gli disse che facevo parte di quell’organizzazione femminile, che potevano contare su di me, che potevano farmi fare un provino, perché c’era bisogno di tante ragazze.
Io mi offrii dicendo che però il mio lavoro voleva essere un altro. Gli dissi che studiavo all’Istituto d’Arte, che volevo fare cinema e teatro, e in particolare occuparmi dei costumi e delle scene, e gli proposi di prendermi come costumista. Loro mi guardarono un po’ e poi dissero che non avevano pensato ai costumi, che forse non ce n’era bisogno, però se avessi partecipato potevano pagarmi come le comparse, cioè 1000 lire al giorno, e poi si sarebbe visto se c’era o meno necessità di una costumista. Cominciammo allora i sopralluoghi. I nostri contatti si intensificarono perché partecipavo con loro alle Feste dell’Unità, a cercare le donne che potevano essere adatte per questo film. Poi iniziarono le riprese del film e io iniziai a fare la costumista. Da allora divenne la mia attività.
L’esperienza di Giovanna è stata straordinaria. Ero l’unica donna del set e fui trattata con molta simpatia, con molto affetto Mi fecero anche degli scherzi terribili, che sono rimasti famosi nel cinema italiano, ma d’altronde è d’uso fare scherzi ai novizi. Io sono molto dinamica, e quindi lavoravo moltissimo. Facevo un po’ di tutto: la comparsa, la costumista, la truccatrice, andavo nel centro di Prato a prendere il materiale. La popolazione pratese fu molto disponibile ed anche i proprietari di quella fabbrica, la Romita, furono aperti e disponibili. Mi fu dato tutto quello che necessitava per il mio lavoro. E stata insomma un’esperienza di grande formazione intellettuale e anche umana, con una solidarietà tra le persone come soltanto in certi film si riesce ad avere.
Se devo giudicare la condizione della donna da Giovanna a oggi, posso dire cose ovvie, che la donna ha fatto molta strada, ha avuto delle affermazioni e così via. Però da una angolazione un po’ più approfondita penso che è andata avanti un certo tipo di donna, una donna che si rende indipendente economicamente e soprattutto intellettualmente, e che quindi conquista un rapporto molto diretto con l’altra parte del mondo che è l’uomo. Invece per la maggioranza delle donne, quelle che svolgono lavori alienanti, quelle che fanno lavori domestici e che stanno in casa dalla mattina alla sera, questa emancipazione non l’hanno neanche avvertita, cioè penso che la loro condizione sia sostanzialmente rimasta tale e quale. La strada insomma è ancora lunga.