TRAMEDIQUARTIERE E METANARRAZIONE – un nuovo esempio – “I giardini di via dell’Alberaccio” – seconda parte

TRAMEDIQUARTIERE E METANARRAZIONE – un nuovo esempio – “I giardini di via dell’Alberaccio” – seconda parte

…Il quartiere fra gli anni Sessanta e i Settanta si era affollato a dismisura; vi erano arrivati nuovi immigrati – molti dal Sud altri dal Centro e dal Nord, i primi soprattutto i primi qui li chiamavamo “marocchini”. L’affluenza era stata così massiccia in un periodo di tempo molto limitato al punto che il Comune non ebbe modo, in effetti non volle, di verificare e seguire progettazioni e realizzazioni urbanistiche e i “palazzoni” sorsero come funghi, senza criteri prestabiliti e senza alcun controllo. Era tutto necessario ma ovviamente qualcuno ne approfittò.
A quel tempo ero ormai adulto; avevo altri amici con i quali ero cresciuto, Giuseppe, Vincenzo, Elda, Sirianna, Michelangelo e con loro si andava a ballare nei Circoli e nelle Case del Popolo; ce n’era uno al Centro ben frequentato, il Circolo “Rossi”, a due passi dal Castello dell’Imperatore e proprio sotto la sede del Partito Comunista. Con loro ero anche iscritto al Partito, tutti lo eravamo ed io insieme a Giuseppe ero nel Direttivo locale; e c’era anche una struttura di Quartiere con un Presidente ed un Comitato tutto di non eletti. in tutta quella confusione innescata da quegli arrivi “di massa”, nessuno – nemmeno noi che eravamo nel Quartiere e lavoravamo nelle Sezioni – sapeva quel che stava per accadere. In verità nessuno aveva mai saputo molte delle non-scelte urbanistiche che l’Amministrazione aveva attuato nel corso degli ultimi anni.
E così una mattina… ero appena rientrato dal turno di notte della tessitura che fu proprio Michelangelo a scampanellare dal portone. Mi affacciai per vedere chi fosse il disturbatore mattutino: “Oh vieni giù! ci sono già le ruspe…” Non capii bene cosa volesse dirmi ma mi riaggiustai i pantaloni alla meglio ed ancora in pantofole e con la tazzina di caffè tra le mani scesi per le scale e rapidamente, senza nemmeno badare alle ultime gocce la lasciai sul bordo del primo finestrone, fui giù. “Che succede, Michelangelo?” In effetti non ci avevo capito granché anche se mi ero reso conto della gravità della situazione. “Là in quello spiazzo dove noi abbiamo sempre pensato di farci un giardino ci sono le ruspe e gli operai lo stanno transennando…Saranno arrivati con il buio!” Rientrai in casa con la stessa velocità con cui ero sceso, misi le scarpe senza nemmeno allacciarle e volai giù. “E allora, andiamo!”
“Il sonno, Andrea, mi era passato ma allora non ci pensavo nemmeno. Lungo il percorso ci si fermò a chiamare altri compagni, altri amici cui spiegavamo il motivo della nostra concitazione: ed in men che non si dica anche questi ne chiamarono altri. Le donne accorsero con i bambini che avrebbero dovuto accompagnare a scuola, gli anziani sollecitati dalle donne informate da un tam tam mediterraneo erano confluiti tutti davanti a questo spiazzo, proprio qua dove ora ci troviamo, caro Andrea. E proprio io, insieme a Michelangelo ed Elda che ci aveva raggiunti, con questa folla alle spalle – più di centocinquanta forse duecento persone – andai a parlare con il capomastro, chiedendogli di sospendere i lavori. Era a tutta evidenza che volevano tirar su un altro “palazzone”! Lui però ci disse che non ci poteva fare nulla.
La gente diventò irrequieta e ci toccò calmarla facendo ragionare quelli che sembravano più agguerriti ma anche capaci di comprendere. Poi io e Elda andammo a casa del Presidente del Quartiere che dopo una nostra breve illustrazione ci accompagnò al Palazzo Comunale dove, grazie soprattutto a lui, al suo credito, fummo subito ricevuti dal Sindaco che, informato delle intenzioni “ragionevoli” della gente, telefonò ai vigili chiedendo che facessero sospendere, perlomeno in quella giornata, i lavori. Noi, però, chiedemmo al Sindaco di venire ad ascoltarci; mentre con la 500 del Presidente andavamo verso il Centro avevamo concordato con lui di convocare un’Assemblea urgente; ed era giusto che vi fosse invitato il Sindaco…. E tu lo vedi, come è andata a finire. I lavori non ripresero, anche se per più di un mese le ruspe ed altri attrezzi per gli scavi delle fondamenta e materiali vari rimasero minacciosi sul posto difesi da un doppio recinto di metallo e di legno.
A quel tempo Ginotto era andato già via, credo in Belgio ma non ne ho più avuto notizie ed alcuni dei miei amici sono partiti per sempre. Tu, Andrea, ricorda che gli interessi dei poveri come noi che pure stiamo ancora bene non sono quasi mai gli stessi dei ricchi, soprattutto quelli che hanno il brutto difetto di volere sempre di più, perché hanno una gran paura di diventare come noi o peggio di noi. E per noi un giardino conquistato ci fa stare bene, ci fa vivere meglio. Loro non ne sentono il bisogno o, forse, e questo è triste, non sanno nemmeno più di cosa hanno bisogno”.

FINE

“GIOVANNA” di Gillo Pontecorvo extra – un tentativo di metanarrazione ad uso personale – un recupero della memoria collettiva sulle conquiste che ci stanno rubando – seconda parte

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…Armida sorride e appare interessata a quel che le propongo. Il marito non c’è più, già da qualche anno. Le dico che le “compagne” comuniste la invitano prima a Figline, area nord di Prato e poi a Napoli. Si accende in lei il desiderio di recuperare quegli elementi di storia, della sua, così come quella delle altre donne che negli anni Cinquanta auspicavano con il loro impegno nel lavoro e nella società la conquista di un mondo migliore per i loro figli. Come doveva essere bella, alta e fiera, ancor più di quanto pur oggi appaia, Armida in quegli anni.
Non voglio rimanere a lungo; sento di essere rientrato anche se per pochi minuti nella sua vita senza un preavviso, in modo quasi furtivo; con la “signora” che le tiene compagnia abbiamo anche parlato delle nostre comuni origini “campane” ed anche lei sembra interessata alla possibile “trasferta” nel Sud.
Ci salutiamo. Prima poi di rientrare in auto chiamo Mirko, il compagno che mi aveva contattato; lo rassicuro “ho visto Armida e l’ho invitata ai due eventi” poi chiamo Pippo “ho bisogno di tutto il “girato” di tutte le interviste realizzate tra il 1990 ed il 1991” E’ un amico sempre disponibile soprattutto quando si parla di recupero della memoria. Non si smentisce, men che mai in questa occasione. Ed in pochi giorni mi richiama perché il materiale è pronto; e così mentre sono ad una “presentazione” di una Mostra sulle “autostrade” arriva con questo immenso “cadeau”. Regalate un nuovo giochino ad un bimbo e lo vedrete strabuzzare gli occhini; a me fa lo stesso effetto quel “disco” e corro a casa per rivedere tutto il lavoro che tra il 90 ed il 91 avevamo fatto nello studio di Franco Morbidelli in un vecchio palazzo alla confluenza tra il viale Montegrappa ed il viale Vittorio Veneto; Franco che con noi aveva sognato una Hollywood (o più semplicemente una Cinecittà) sul Bisenzio, progetto inseguito insieme a Giuliano Montaldo ma naufragato troppo prematuramente sulle scogliere del destino; Franco che quella sera prima di sentirsi male da quello studio mi chiamò e prendemmo appuntamento per il giorno dopo. In quelle immagini siamo tutti più giovani, tutti anche quelli che non ci sono più come Roberto Giovannini, storico Sindaco degli anni Cinquanta, Anna Fondi, operaia ed amministratrice lucidissima straordinaria interprete delle lotte per le conquiste sociali che a Prato hanno visto un’applicazione da pionieri; Pietrino Vannucci che si è speso fino all’ultimo suo giorno per il Sindacato; Gracco Giustini diviso tra Sindacato e Partito Comunista ed impegnato nel “sociale” all’interno delle Case del Popolo. E poi Gillo da me intervistato in contemporanea alle vicende che la CNN ci trasmetteva in diretta da Baghdad (era la prima volta che una guerra veniva seguita in “diretta”) di notte in una delle salette riservate dell’Hotel “Flora”. Tra le immagini registrate anche quelle del ricevimento d’onore per Giuliano Montaldo (quello previsto per Pontecorvo saltò per gli eventi internazionali che avevano accompagnato il suo arrivo: quel giorno migliaia di giovani manifestarono per la PACE inondando Piazza Mercatale proprio sotto la sede della Camera del Lavoro e Gillo non volle far mancare la sua partecipazione): con Giuliano c’erano Roberto Giovannini, Marcello Cappellini insieme ad Anna Buti ed Ambra Giorgi della CGIL, il Sindaco Claudio Martini, il Pelagatti capo di Gabinetto del Sindaco, qualche fotografo e qualche giornalista. C’era, ovviamente, Armida. Ci fu uno scambio di idee, un flusso di ricordi e Montaldo firmò l’Albo d’oro” del comune apponendovi una dedica “Per me e per altri cineasti Prato è – e sarà – un ricordo indelebile: una tappa importante nel lavoro. Per “Giovanna” Prato ci adottò…” in quelle immagini c’è anche un “ME” molto diverso da ora: venticinque anni pesano. Ma Armida no, non è cambiata. Credetemi: non è cambiata!

… fine seconda parte… continua

PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SU “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – nona parte – continua intervista a Pietrino Vannucci

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PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SU “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – nona parte

…continua intervista a Pietrino Vannucci

“E’ in questo clima che Gillo Pontecorvo, Montaldo, Ciruzzi, Giraldi e gli altri giunsero a Prato, e con il concorso di molti lavoratori realizzarono il film Giovanna. Il film rappresenta un importante documento sulla condizione operaia, in particolare su quella della donna lavoratrice, doppiamente sfruttata sia nella fabbrica che nella società, e fu un contributo alla lotta per l’emancipazione del lavoro e per i diritti delle donne.

La presenza della donna nell’industria tessile pratese, a differenza delle industrie cotoniere dell’Italia settentrionale, non era maggioritaria, ma tuttavia era una presenza massiccia, pensiamo ai lavori di rammendatura e alle altre operazioni che particolarmente negli anni ’50 venivano fatte. Le donne erano insostituibili, ma non erano trattate a parità dell’uomo. Dal punto di vista salariale, anche a parità di mansioni e di lavoro, la donna riceveva una retribuzione inferiore e nella scala dei valori professionali era inquadrata contrattualmente nelle categorie più basse del mansionario. E quindi la battaglia per la parità sindacale fu uno degli aspetti centrali della rivendicazione sindacale degli anni ’50, e le donne pratesi dettero un contributo molto importante a questa lotta. Fra le protagoniste di quella battaglia voglio ricordare, tra le altre, Cesarina Tortelli, che lavorava alla fabbrica Sbraci Metello, un’attivista che ha dato tutta la vita al sindacato e al suo partito. Oltre a lottare assieme alle altre donne, face causa al suo padrone in un momento in cui era molto difficile far valere questo diritto tramite la magistratura e si rischiava il licenziamento. Cesarina Tortelli vinse la causa. Questa fu una vicenda importante nella lotta per giungere alla conquista della parità di salario a parità di mansioni, che contrattualmente viene sancita immediatamente dopo la fine degli anni ‘50.
A Prato vi fu una notevole partecipazione delle donne alla vita sindacale e politica, caratterizzata da grande passione, da un impegno quotidiano nell’attività e nella lotta. Anche se gli uomini erano in maggioranza nei posti di direzione del sindacato e anche nella fabbrica, le donne erano una parte importante e significativa nella struttura organizzativa. Nei reparti delle fabbriche erano soprattutto le donne che organizzavano i lavoratori al sindacato, riscuotevano i contributi sindacali, organizzavano la partecipazione agli scioperi. Era questa un’attività pericolosa, infatti molte delle nostre compagne sono state per questo licenziate. Furono centinaia i licenziamenti per attività sindacale, chi con una scusa chi con un’altra, e troppo spesso con il pretesto della mancanza di lavoro chi veniva colpita era in primo luogo l’attivista sindacale. Di queste voglio ricordare solo due nomi: Nara Marconi e Brunella Bini.
Ricordo inoltre che tra i 110 licenziamenti che avvennero al Fabbricone, la stragrande maggioranza era costituita da donne, dalle nostre meravigliose attiviste di reparto, che costituivano l’ossatura del sindacato in quella fabbrica che è sempre stata all’avanguardia delle lotte nel pratese. Già nel 1943 le donne della fabbrica Calamai Bruno avevano scioperato contro la tessera del pane e per la fine della guerra. Furono tutte costrette a salire sui camion, arrestate e portate a Firenze. Vi sono molti episodi in quell’epoca, l’epoca dell’occupazione nazista, ove le donne del Fabbricone, della Mazzini, della Magnolfi, della Cangioli, riescono a organizzare scioperi e manifestazioni contro il fascismo e per la fine della guerra. Anche negli anni ’50, le donne di quelle e di altre aziende furono sempre presenti nei momenti più difficili della storia del sindacato pratese.
…fine parte nona … continua