MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra – INCONTRO CON LEDA ANTONINI

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra –
INCONTRO CON LEDA ANTONINI

Incontro Leda Antonini, come d’accordo, in Camera del Lavoro; è il gennaio 1992. Leda è una piccola signora di circa settanta anni dai capelli naturalmente bianchi e dagli occhi corvini molto attenti e vivaci. Nel 1955 anche lei fece parte del cast del film “Giovanna”; anche lei aveva, a quel tempo già vissuto tutta un’esperienza di operaia tessile ed aveva avuto nel periodo fascista innumerevoli difficoltà. Ho riportato le parole della signora Antonini, così come ella le ha espresse in Camera del Lavoro nel corso dell’intervista. Il tono è dunque colloquiale e la forma risente inevitabilmente del “parlato” con l’uso costante della sintassi dialettale toscana (quella pratese, si intende). Sul film “Giovanna” Leda Antonini, pur avendo parlato a lungo, non ha aggiunto particolari, diverse e personali indicazioni: il suo ruolo fu quello di una “comparsa” nelle scene collettive esterne alla fabbrica. Importante è invece la sua storia personale che si inserisce all’interno di quel “recupero della memoria” che è uno dei nostri obiettivi principali nel lavoro che svolgiamo dal punto di vista storico e culturale (sociologico, antropologico).
Maddaluno (di poi M.)
Siamo con Leda Antonini, classe 1922, una delle testimoni degli anni in cui fu girato il film “Giovanna”. Cominciamo, anche per questo, a ricordare gli anni in cui ella si avviò a lavorare in fabbrica.
Leda (di poi L.)
Sì, sono entrata come operaia nel 1935 da Luconi. Ero ancora una bambina; sono sviluppata in fabbrica, sicché avevo le codine ed avevo bisogno di lavorare; il babbo ci portava a casa il pezzetto del fuso con il quale egli lavorava e, quasi in un gioco, ci insegnava a fare il nodo. Quando io sono entrata in fabbrica sapevo di già fare il nodo, e allora entrai dietro l’orditoio: da dopo dietro l’orditoio passai all’orditoio; poi, quando c’era bisogno, per non perder giornat, ala macchinetta, alla rifinizione, persino alla lupa, ad allargare la lana sul piazzale, pur di non perdere giornate; io sapevo fare proprio tutto ed ero benvoluta soprattutto dal vecchio Luconi, da Gino, che voleva esser chiamato signor Gino e lui mi chiamava “socera” perché diceva “i figli dei gatti pigliano i topi”, perché il mi’ babbo che aveva lavorato il telaio a mano, allora al Fascio non mi volevano prendere, volevano prendere un’altra e metterla al mio posto; allora il mi’ babbo gli disse…
M.
Perché dici “il Fascio”?
L.
Al tempo del Fascio, mio padre era un perseguitato politico; vollero prendere una che era la fidanzata di questo fascista; allora il sor Gino telefonò al Fascio e gli disse: “io ho bisogno di pigliare la figliola dell’Antonini Callisto, perché lui è stato un uomo onesto: ho fatto la busta per pagare e lui l’ha ricevuta, ed eran contati doppi; siccome è un uomo onesto, mi ha riportato tutti i soldi e, gli disse persino il Gino, grazie Antonini, io di te me ne ricorderò sempre, un giorno che tu avrai bisogno di me per una figliola o un figliolo a lavorare vieni pure da me”. Allora il Fascio e al signor Gino gli toccò prendere me e la fidanzata di quel fascista; allora disse “io non voglio rinunciare alla figliola di Callisto perché” disse “sono gente che merita e a quella maniera a me mi hanno sempre voluta bene; però io mi sono sempre fatta intendere, forse il carattere forte che aveva il mi’ babbo io l’ho preso da lui; mi sono sempre fatta intendere.