PERCHE’ GIRAI UN FILM SU “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – SEDICESIMA PARTE Testimonianza di Giuliano Montaldo

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PERCHE’ GIRAI UN FILM SU “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – SEDICESIMA PARTE

Testimonianza di Giuliano Montaldo

Una mattina sono tornato a vedere dov’era quella fabbrica in cui Pontecorvo, l’operatore Menczer, io e tutti gli amici di Prato che collaborarono alla realizzazione del film avevamo ambientato Giovanna. “Era” la fabbrica, appunto. E’ rimasta solo un’indicazione: c’è scritto “via della Romita”. E’ tutto lì. Adesso quella stradina che sfiorava la gora per arrivare a questa fabbrica che era un po’ isolata, quasi dentro la campagna, non c’è. Ma si può capire. Ci sono le necessità di una città che si espande, che ha bisogno di nuove strutture. E quindi la vecchia fabbrica di Giovanna è scomparsa.
Il ricordo di quel film, di quel periodo, è un ricordo molto tenero e molto forte. Eravamo tutti alle prime armi, Pontecorvo, io che facevo il suo aiuto, ed ero alle prime esperienze nel cinema, Franco Giraldi, che faceva l’aiuto dell’aiuto e quindi il mio aiuto, De Negri, poi produttore dei film dei Taviani. Dopo l’esperienza della cooperativa ‘Spettatori Produttori Cinematografici’ che aveva realizzato Achtung banditi e Cronache di poveri amanti, ci eravamo trovati a Roma ed era nata l’occasione di raccontare la storia di queste lavoratrici in lotta in una fabbrica occupata.
Erano anni di grandi tensioni sociali, di grandi scontri. Questo avvenimento peraltro era ispirato da tanti fatti di cronaca. Si leggeva di molte fabbriche costrette ad una dura e feroce resistenza, e proprio soprattutto le fabbriche dove lavoravano le donne. Occupare la fabbrica e continuare a produrre con un’autorganizzazione spontanea: questa è un fatto straordinaria che noi volevamo sottolineare proprio con Giovanna. Era un episodio tratto dalla realtà, ambientato in una fabbrica tessile (ecco Prato protagonista, la città campione sotto questo profilo). Bisognava trovare una fabbrica a ciclo parzialmente completo, e soprattutto la fabbrica giusta anche da un punto di vista scenografico, che potesse dare allo spettatore il senso del mondo del lavoro, il senso anche di un certo tipo di oppressione, perché le condizioni di lavoro di queste vecchie fabbriche non erano certamente ideali.
Quando la trovammo, la nostra preoccupazione era quella di capire se il proprietario della fabbrica potesse accettare l’idea che all’interno della sua fabbrica si svolgesse un film che tutto sommato non è che parlasse così bene del proprietario della fabbrica. Bisognava quindi cercare di convincerlo. Mi ricordo che andai con molte titubanze da questo signore, che era un ‘bel tipo’, e poi lo vidi anche al lavoro; peraltro era un grosso esperto, lo guardavo da lontano scegliere, e capire, quali erano le componenti di un pezzo di stoffa. Mi ricordo che la prendeva e diceva: “questa – guardandola anche un po’ da lontano – è un po’ di lana, ma non è al cento per cento, in quel mucchio! Quest’altra, invece, è al cinquanta per cento, in quell’altro mucchio!”. Io era sbalordito, perché non la toccava neanche, quella materia, riusciva quasi a sentirla, quasi che ne avesse l’olfatto. Era qualcosa di magico. Ebbene, raccontai il film a questo signore, c’erano anche le figlie, e lui mi disse: “ma si, sono storie vere. E’ accaduto, potrebbe accadere anche qua, girate il film”, e con molta generosità ci fece ambientare Giovanna nella sua fabbrica.
Si poteva girare il film, anche considerando che avevamo pochi soldi per realizzarlo, solo grazie alla partecipazione della gente. In tutte le scene recitavano le vere e autentiche lavoratrici, ed era straordinario come bastasse a Pontecorvo dare poche istruzioni, addirittura dire che cos’era l’idea della scena, per vedere con quanta verità, con quanta partecipazione, con quanta grinta e con quanta credibilità, queste nostre amiche (perché questo sono diventate nel corso dei giorni di lavorazione), diventavano progressivamente delle vere protagoniste.
Perché Giovanna? In quegli anni il cinema italiano, dopo il grande momento del neorealismo, era ritornato verso una strada sempre più commerciale, non dico ai telefoni bianchi, ma comunque ad un rosa pallido. E’ il momento di ‘pane, amore e fantasia’, dei ‘poveri ma belli’. Resistono alcune forze, nel cinema, che vogliono invece continuare a far sì che questo meraviglioso strumento di comunicazione, allora la televisione non imperava come oggi, continuasse a dare segnali di grande vitalità e di grande attenzione ai problemi sociali, e la donna era uno dei temi più affascinanti. Pochi anni dopo, un decennio dopo, assisteremo allo sviluppo di un movimento femminile sempre più forte, che rivendica un ruolo nuovo nel lavoro e nella società. Leggendo con attenzione il film si potrebbe dire che è un piccolo anticipo a quello che poi verrà, con grande forza, ed esploderà con vigore non solo in Italia ma in tutto il mondo.

“GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO EXTRA – UN TENTATIVO DI METANARRAZIONE AD USO PERSONALE – UN RECUPERO DELLA MEMORIA COLLETTIVA SULLE CONQUISTE CHE CI STANNO RUBANDO – QUARTA PARTE

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“GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO EXTRA – UN TENTATIVO DI METANARRAZIONE AD USO PERSONALE – UN RECUPERO DELLA MEMORIA COLLETTIVA SULLE CONQUISTE CHE CI STANNO RUBANDO – QUARTA PARTE

Si parte dall’antipasto, vario appetitoso equilibrato ed idoneo a non riempire, a non soddisfare totalmente, come per lo più furbescamente accade nelle buone trattorie locali. Ottimi i fusilli all’Armida, conditi con tonno capperi e olive. E il roast-beef ben cotto accompagnato da gustose patate al forno. Vino delle colline pratesi di buona qualità. “Dulces” in fundo degli straordinari biscottini di Prato preparati dalle compagne ed imbevuti di un largo bicchierozzo di vin santo. Intanto sul finire del pranzo è arrivata Rosanna Minozzi una delle straordinarie figure che la città di Prato ha creato nella seconda metà del secolo scorso. Con Rosanna si è lavorato insieme per anni e adesso a tratti la scopro incredibilmente stanca, lei sempre disponibile a sacrificarsi per il Partito (parlo ovviamente del PCI-PDS-DS-PD). Eppure la sua esperienza dovrebbe essere utile ancora; ma non tocca né a lei né a me deciderlo. E se i “tempi sono cambiati” nessuno mi può convincere, se ciò fosse vero, che lo siano in meglio. I tempi, lo si sa, cambiano inevitabilmente: è scritto nei nostri volti, nel nostro incedere, nei nostri automatismi. Con lei si parla vagamente delle nostre scelte “politiche”, parlo di letteratura le mal indirizzate velleità di alcuni e le positive potenzialità di altri. Sorridiamo. Viene il momento del caffè; da cattivo napoletano decido di saltarlo, argomentando con bugie che già dal mattino sono in “overdose”.
C’è un momento di “sosta”; sono ormai le 14.30. aiuto le compagne a sparecchiare e così entro in cucina, laddove non ero entrato quando ero arrivato, e trovo un ambiente ampio, luminoso e pulito, ordinato come si conviene ad un grande ristorante. I “giovani” intanto continuano ad affannarsi intorno alle tecnologie, al monitor, per affrontare e risolvere i problemi della riproduzione del film che è stato prestato da un compagno storico della CGIL, che ha fatto firmare una ricevuta alla Perla: io ne ho una “copia” ma è quella sulla quale abbiamo lavorato nel 1990, ed è precedente al restauro. E finora non ne ho mai chiesto una tutta per me; credo che però lo farò presto. Fra un “anda e un rianda” si riesce a farlo partire, il film; mi viene chiesto un breve intervento di apertura “tecnica” che volentieri accetto di assolvere anche se le parole mi si affollano prima nella mente: per fortuna riesco ad essere sintetico ben più di quanto possa apparire a voi che mi state leggendo. Il film ha mantenuto la sua freschezza quasi integralmente; forse drammaticamente a quegli anni ci stiamo ritornando, perché il cambiamento può avere più di una direzione!
Chi ci ha lavorato era giovane: erano giovani ed alle prime armi Pontecorvo, Montaldo, Giraldi (che interpreta anche la parte del “carabiniere” che porta il pargolo ad una delle donne occupanti la fabbrica); la Mannini era un’adolescente e Giovanna/Armida non avrà avuto vent’anni, anche se dimostra qualcosina di più (quando si è giovani lo si accetta come un complimento). Dopo il film, che commuove e fa sorridere attraverso qualche elemento di sottile garbata ironia, la parola è riservata alle donne.