Perchè si deve aspettare che i miti muoiano per celebrarli? (sul “modello Riace” e sulla protervia e l’ignavia di chi ci governa)

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Perchè si deve aspettare che i miti muoiano per celebrarli? (sul “modello Riace” e sulla protervia e l’ignavia di chi ci governa)

Non si può liquidare il “modello Riace” come illegale ed allo stesso tempo muoversi all’interno di profonde illegalità con nonchalance approfittando del provvisorio potere politico ottenuto (vedasi la generosità che lo Stato attraverso uno dei suoi poteri autonomi ha mostrato nell’affare non proprio limpido dei fondi della Lega); così come non si può garantire a coloro che non sono in grado di soddisfare il loro debito con l’erario condoni più o meno tombali, semplicemente perché appartengono ad una base elettorale di riferimento (gli imprenditori sanno già molto prima di intraprendere la loro attività che le fortune vanno e vengono e non possono essere trattati in modo diverso da quanti perdono il lavoro).
Ritornando al “modello Riace” non posso non rilevare che sarebbe stato opportuno assumerlo ad esempio istituzionale già dai precedenti Governi (è uno degli addebiti negativi che assegno al Partito Democratico, incapace di affrontare con coraggio le problematiche inerenti l’immigrazione, così come ha fatto Mimmo Lucano.
Di persone coraggiose il nostro Paese ne ha conosciute e con il senno di poi abbiamo mitizzato don Milani, Pier Paolo Pasolini, Danilo Dolci e altri. Sembra quasi che si abbia bisogno prima di riconoscerne il valore, di umiliarle, denigrarle, sbeffeggiarle, accusarle di ignominie varie, incatenarle,imprigionarle fino alla distruzione totale. In questo ruolo ben si inserisce l’attuale Governo, nella sua interezza. Il leader della Lega con la sua superbia e tracotanza che non riesce a nascondere nella prossemica non è mai limitato in tale direzione dai difensori dell’onestà per antonomasia, quelli del Movimento 5 Stelle, che in cambio dei 30 denari d’argento di un possibile vacuo “reddito di cittadinanza” tacciono.
Se il modello fosse stato riconosciuto in modo ufficiale e proposto e diffuso sui territori, incoraggiando quelli virtuosi, disponibili all’accoglienza, e l’esempio avesse avuto un sostegno istituzionale concreto, oggi il tema dell’immigrazione non potrebbe nemmeno lontanamente apparire un “problema” ma sarebbe davvero una “risorsa”.
Così come è stato nei fatti a Riace.
Ma non solo.
Il n.41 del settimanale LEFT, l’unico giornale di sinistra, è dedicato a RIACE. Il titolo è evocativo “Una due tre quattro cinque dieci cento Riace” e si occupa proprio dei “luoghi” oltre Riace nei quali il “modello” ha vissuto alcuni tentativi di imitazione, a cominciare da Camini proprio confinante con Riace nella Calabria ionica, o Badolato in provincia di Catanzaro, o nella Sicilia orientale tra Acireale e Catania o in quella profonda di Caltanissetta tra Milena, Mazzarino e Sutera. Non dimentichiamo la profonda umanità espressa da Danilo Dolci e i suoi contadini pescatori ed il processo che gli fu intentato. Ricordiamo la difesa che Piero Calamandrei approntò in quella occasione. Danilo Dolci era stato arrestato il 2 febbraio 1956 per aver promosso e capeggiato, insieme con alcuni suoi compagni, una manifestazione di protesta contro le autorità che non avevano provveduto a dar lavoro ai disoccupati della zona. Anche lui non aveva rispettato le leggi. E Calamandrei ad un certo punto si chiede e tuona: “Ma questo non è un processo penale: dov’è il reo, il delinquente, il criminale? Dov’è il delitto, in che consiste il delitto, chi lo ha commesso?”.

Perchè si deve aspettare che i miti muoiano per celebrarli?


Joshua Madalon

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