COSI’ VICINE COSI’ DISTANTI di NITASHA AFZAL – prima parte

Pubblichiamo un racconto, diviso in due parti, che un’allieva dell’Istituto “Dagomari” di Prato (l’anno prossimo sarà in quarta classe) ci ha inviato. Nitasha scrive sia in versi che in prosa e tratta argomenti collegati soprattutto ai temi dell’integrazione e della interculturalità all’interno della multiculturalità espressa dalla presenza a Prato di ben 116 gruppi etnici, vale a dire che “a PRATO c’è il MONDO!”

COSÍ VICINE, COSÍ DISTANTI. di Nitasha Afzal

In quella mattinata il professore di scienze naturali decise che Clara non poteva stare più accanto a Matteo, chiacchieravano troppo, e la mise accanto a Fariha.
Clara era una ragazza piena di vitalità, vivace, allegra, spontanea, una di quelle che all’inizio spaventa mentre poi, chi si impegna a conoscerla meglio, capisce che è molto simpatica e piena di energie, divertente e altruista. L’unico suo difetto è di essere molto esuberante.
Fariha dentro dentro non era tanto diversa da Clara, ma fin da piccola era stata cresciuta in modo tale da renderla molto sensibile, questo rendeva difficile i suoi rapporti con la gente, ma non riusciva a isolarla perché, dopo un po’ che la si conosceva, balzava agli occhi che, nonostante il suo carattere discreto, era generosa, candida e aveva una grande capacità di esprimere tenerezza, che inutilmente cercava di nascondere, perché se ne vergognava.
Fariha e Clara si conoscevano da oltre quattro anni, erano vicine tutti i giorni, in quella scuola, in quelle quattro mura, ma in tutto questo tempo si erano scambiate ben poche frasi.
Per la prima ora né Fariha né Clara aprì bocca, se non per chiedere qualcosa in prestito . Quando lo sguardo di Clara si incrociava con quello di Fariha le rivolgeva un lieve sorriso, ma lei non ricambiava, guardava in basso e faceva finta di nulla. Clara decise allora di rompere il ghiaccio, un po’ perché si stava annoiando e un po’ per curiosità di conoscerla meglio, iniziò a parlare. Fariha in realtà non era riservata, come poteva sembrare, ma solo un po’ timida all’inizio. Parlarono di tutto perché c’era stata un’ora di supplenza, così trovarono tutto il tempo di scambiarsi idee e opinioni.
Clara chiese a Fariha come mai le ragazze che provenivano dal suo paese sono così “strane”, chiuse, riservate, e come mai indossano quegli abiti lunghi che coprono tutto il corpo. Fariha sapeva di già la risposta, perché spesso glielo avevano domandato. Così cominciò a spiegare:
«Noi pakistane dobbiamo sottostare ad alcune regole familiari che appartengono alla nostra cultura. In pratica, la donna, finché rimane in famiglia è sottoposta all’autorità del padre e dopo, quando si sposa, passa sotto l’autorità del marito. Secondo la nostra religione la donna ha gli stessi suoi diritti e doveri. I problemi però cominciano quando dal campo religioso si passa a quello sociale.
Hanno un sacco di divieti, per molte è impossibile uscire di casa, è vietato vestirsi come vogliono e ad alcune è perfino vietato andare a scuola, al massimo permettono loro di farlo fino a sedici anni. Di solito non le fanno andare a scuola perché i genitori hanno già programmato il futuro delle proprie figlie, hanno già deciso che, appena raggiungeranno l’età giusta e saranno abbastanza mature, le faranno sposare e a quel punto la responsabilità passerà al loro marito. Per questo pensano che sia inutile mandarle a scuola, farle studiare. Per quanto riguarda le ragazze che si coprono tutto il corpo, per loro significa semplicemente vestirsi decentemente. Ma il punto è un altro, gli uomini Pakistani non sanno controllarsi, non riescono a impedire di lanciare occhiate alle ragazze, anche se mostrano solo il collo, il viso e i tre quarti inferiori delle braccia! È l’effetto del divieto: quando si vieta qualcosa si è tentati maggiormente a trasgredire per cui le nostre stesse regole di “decoro” li fanno venire pensieri “indecorosi”».
Clara rimase stupita dalla spontaneità con cui Fariha rispose e dalla franchezza con cui espose quel problema, come se in tutto quello che avesse detto ci fosse la normalità in persona. Clara per un attimo non capì cosa dire, poi dopo aver riflettuto fece un’altra domanda: «Allora dopo gli studi i tuoi genitori ti faranno sposare con chi vogliono loro e te per tutta la vita servirai quell’uomo?».
Fariha, infatti non aveva grandi progetti per il futuro e quello che Clara aveva detto sostanzialmente era giusto quindi rispose: «Sì, più o meno è così.»
Clara era sbalordita e subito le disse: «Ma come puoi vivere così? Sei anche maggiorenne! Perché lasci che qualcun’altro prenda le decisioni più importanti della tua vita al posto tuo!? Questo non è giusto lo capisci? La tua vita devi viverla te, non loro!».
Clara aveva insistito molto su quell’argomento, ma nulla, Fariha non volle rispondere. Era dell’idea che dando un nome ai propri problemi, questi si sarebbero materializzati e non sarebbe più stato possibile ignorarli, invece, se si fossero mantenuti nel limbo delle parole non dette, avrebbero potuto scomparire da soli, col passare del tempo.
Suonò la campanella e finì anche l’ultima ora, tutti si diressero verso casa felici e spensierati tranne Clara.
Mentre andava a casa stava pensando che spesso gli insegnanti avevano proposto a Fariha di partecipare a molti progetti perché lei era molto intelligente e capace, ma lei aveva sempre rifiutato, Clara pensava che Fariha rifiutasse perché era un po’ pigra o aveva di meglio da fare ma mai si sarebbe immaginata che aveva lasciato tutte quelle opportunità di provare nuove esperienze perché qualcuno glielo impediva. (1.continua)
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