CASE – 4 – Autunno del ’55 e via Girone

Anfiteatro-Pozzuoli

CASE – 4
Quell’autunno del 1955 fu molto piovoso. Mio padre, che lavorava da anni costruendo case per altri (in verità aveva anche costruito la Funicolare che collega il paesino di Mercogliano al Santuario di Monte Vergine), aveva impegnato il suo tempo libero per tirar su una casa tutta per noi. Non era proprio pronta, quell’inverno del ’55. Aveva comprato un pezzo di terra quasi a ridosso della Ferrovia Metropolitana ed alle spalle dell’Anfiteatro Flavio: vi si accedeva percorrendo un’erta salita a quel tempo ancora in terra battuta e scollinando davanti ad un manufatto archeologico di “opus reticulatum” che emergeva lasciando immaginare antiche costruzioni quasi certamente ad uso dei protagonisti dei giochi gladiatori e altre attività per l’intrattenimento degli antichi abitatori di quei territori. Sopra quelle solide vestigia si ergeva già allora una palazzina alla cui base c’era una “stalla” con mucche che fornivano latte fresco; se ne occupava Peppino, che ancor oggi quando ritorno in quei luoghi mi riconosce festosamente e rievoca gli anni della mia infanzia. Ricordo che da quella stalla buia promanava un odore intenso di stallatico ritenuto allora buono e terapeutico per malattie respiratorie ma cattivo per noi che – sani e forti – eravamo costretti a passarci accanto almeno un paio di volte alla giornata. Mio padre aveva fatto preparare un progetto molto preciso nei dettagli da un ingegnere con cui aveva lavorato in quegli ultimi anni. Era un “villino”: la piccola palazzina che mio padre andava costruendo non era proprio pronta in quell’autunno. Per poterla tirar su aveva coinvolto parenti ed amici, pagandoli regolarmente nei giorni liberi dal lavoro (anche allora l’edilizia conosceva “tempi morti”: il lavoro a cottimo faceva guadagnare bene ma non era costante), soprattutto in quelli festivi. Il progetto prevedeva anche un primo piano ma non era pronto del tutto nemmeno il pianterreno fronte strada. La quale “strada” era un pochino ristretta dalle altre costruzioni che in quello stesso periodo altri come mio padre stavano tirando su di fronte.
Intanto l’autunno piovoso ed umido aveva acuito alcuni difetti strutturali della “casa” di via Campana. Mio padre più volte aveva chiesto alla “padrona di casa” di intervenire per riparare alcune parti del tetto dal quale alla minima pioggerellina primaverile o estiva venivano giù alcune gocce. La proprietaria aveva nicchiato e non aveva neanche accolto l’ipotesi che mio padre aveva avanzato di poter utilizzare manodopera a basso costo, e cioè qualche suo collaboratore tra quelli più fedeli. E così fu che, con le piogge copiose di quell’autunno la vita in quella “casa” divenne difficoltosa ed impossibile. Le uniche soluzioni affollarono, in modo provvisorio ma invasivo, le varie stanze di recipienti ma l’umido si diffondeva ed il freddo incipiente non era facile da sopportare in una casa che a quel tempo di norma era priva di un impianto di riscaldamento: a quel tempo si utilizzavano ancora bracieri con carbonella che regolarmente si andava a comprare dal carbonaio, uno dei quali era proprio a cento metri sulla Piazza dell’Annunziata.

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