ANNIVERSARI – Ottobre non è il mese della Rivoluzione ma quello della “disfatta di CAPORETTO”

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ANNIVERSARI 1917 – 2017

ANNIVERSARI – Ottobre non è il mese della Rivoluzione ma quello della “disfatta di CAPORETTO”

OTTOBRE non è il mese della Rivoluzione russa, che invece si svolse nelle sue fasi decisive in Novembre, il 7 ed 8 per la precisione, mentre in Ottobre possiamo ricordare la “disfatta di Caporetto” che coinvolse il fronte del nostro Paese. Tra gli eserciti austro-ungarico e quello italiano la differenza di condizioni era minima, il disagio di una lunga permanenza all’interno dei cunicoli delle trincee aveva sfinito entrambi e non vedevano – tutti – l’ora di poter tornare a casa. Il trattamento disumano da parte degli ufficiali e lo scarso equipaggiamento erano condizioni simili per tutti gli eserciti, anche quelli del fronte occidentale e quegli altri del fronte orientale. Un ruolo di primo piano per creare condizioni favorevoli all’avanzata poderosa dell’esercito austro-ungarico ed all’arretramento massiccio di quello italiano fu di certo la situazione di grave incertezza e di crisi dell’Impero russo dove “l’ultimo Zar” Nicola II era stato costretto ad abdicare a favore del fratello Michele che pur avendo accettato in un primo momento aveva poi rifiutato. A quel punto si era instaurato un “Governo provvisorio” di tipo aristocratico borghese che non appariva, pur essendo favorevole a continuare la guerra, tuttavia in grado di reggere la spinta sociale popolare ad essa contraria.

Proprio per ricordare Caporetto inserisco qui di seguito alcune testimonianze di soldati al fronte per comprendere meglio quale era il “morale” dei soldati (qui lo ripeto: “tutti”!).

Tenente Carlo Salsa, tratto da “Trincee. Confidenze di un fante”

“Mi ricordo la prima strage. Eravamo ancora di là dell’Isonzo, dinanzi a Sagrado, in attesa. Una notte arriva l’ordine di tentare il passaggio del fiume. Approfittando dell’oscurità, su una passerella improvvisata, tutto un battaglione al completo riesce a sfilare alla chetichella. Gli austriaci, nemmeno un segno di vita: pareva che non ci fosse nessuno laggiù. Un portaordini ritorna, comunica che il reparto sta prendendo posizione, infiltrandosi attraverso la boscaglia. Tutto è facile, semplice, primitivo. Scaglionati lungo la riva destra, nella notte, aspettavamo di passare anche noi. D’improvviso scoppia una sparatoria, serrata, rabbiosa, che si propaga nel buio come un fuoco di paglia: l’artiglieria nemica si sveglia di soprassalto, sbuca con vampe subitanee da ogni dove. L’Isonzo zampilla di cannonate. Corre l’ordine di passare anche noi sull’altra riva, in soccorso. Non si può. La passerella è saltata, viene trascinata via dalla corrente. Abbiamo dovuto assistere, senza poter far nulla, alla tragedia che si svolgeva di là. La fucileria durò parecchio: poi, a poco a poco, si diradò; giungevano fino a noi urla, invocazioni disperate, clamori, lamenti laceranti di feriti. Che si poteva fare? Sparare? E dove? Nella mischia, a casaccio? Furono massacrati, tutti”
“Passato l’Isonzo, i reggimenti furono scagliati contro questa barriera del Carso. Falangi di giovani entusiasti, ignari, generosi, contro questa muraglia di pietre e fango. Dopo le bassure dell’Isonzo, cominciarono ad arginarci. Imboscate, trincee provvisorie, trappole, nidi di mitragliatrici che cominciarono a seminarci sul terreno scoperto. Man mano che si saliva su, verso il bordo del Carso, la resistenza si faceva più tenace: urtammo contro le prime trincee protette da reticolati”.

“Il coraggio nulla può contro questa misera e terribile cosa: la massa non può nulla. Eravamo sprovvisti di tutto: e le ondate si impigliavano in queste ragnatele di ferro…Dovunque, sul San Michele, a San Martino, al monte Sei Busi, all’altopiano di Doberdò, lungo le alture di Selz, questa marea di uomini fu avventata ciecamente contro la ferocia del nemico e delle sue difese, su per la pietraia ostile…e dovunque l’urlo dell’assalto fu soverchiato dal freddo balbettamento delle mitragliatrici. Si giunse fin sotto l’orlo del Carso…il terreno conquistato era stato coperto di morti; quasi tutti i reggimenti vennero pressoché annientati: non si poteva andare più oltre, senza artiglieria sufficiente, senza bombarde, senza nulla”.

” Ma i comandi sembravano impazziti. Avanti! Non si può! Che importa? Avanti lo stesso. Ma ci sono i reticolati intatti! Che ragione! I reticolati si sfondano coi petti o coi denti o con le vanghette. Avanti! Era un’ubriacatura. Coloro che confezionavano gli ordini li spedivano da lontano; e lo spettacolo della fanteria che avanzava, visto al binocolo, doveva essere esaltante. Non erano con noi, i generali; il reticolato non l’avevano mai veduto se non negli angoli dei loro uffici territoriali, e non si capacitavano che potesse essere un ostacolo. Arrangiatevi, ma andate avanti, perdio! Che si fa, si scherza? ”

” Imbottivamo alla meglio i vuoti che ogni azione apriva, giorno per giorno, spaventosi, nei reggimenti. E su, fanteria pelandrona, all’attacco. ” i nostri soldati si fecero ammazzare così a migliaia, eroicamente, in questi attacchi assurdi che si ripetevano ogni giorno, ogni ora, contro le stesse posizioni “.

“Il fango impasta uomini e cose assieme. Nel camminamento basso i soldati devono rimanere accovacciati nel fango per non offrire bersaglio: i bordi ineguali del riparo radono appena le teste. Non ci si può muovere. questa fossa in cui siamo è ingombra di corpi pigiati, di gambe ritratte, di fucili, di cassette di munizioni che s’affastellano, di immondizie dilaganti.- tutto è conflitto nel fango tenace come un vischio rosso”.

Joshua Madalon

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ANNIVERSARI – ANTONIO GRAMSCI “Contro la guerra” 10 ottobre 1917

ANNIVERSARI – ANTONIO GRAMSCI “Contro la guerra” 10 ottobre 1917

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I professionisti della guerra [Il canto delle sirene]

Perché le guerre scoppiano in certo modo e non altrimenti? Perché in un certo momento e non in un altro? Perché sono fautori di una guerra determinati ceti borghesi e non altri?

Non è molto facile rispondere a queste domande. Ma ciò non vuol dire che sia assolutamente impossibile, o che non sia utile cercar di fissare dei criteri per poter rispondere almeno approssimativamente, e per poter fissare quindi la linea d’azione costante che un partito contrario alla guerra in genere debba tenere per rendere impossibile le guerre in ispecie.

I socialisti affermano che le guerre sono un portato dei sistemi di privilegio. Essendo oggi classe privilegiata la borghesia, essendo il capitalismo la forma economica specifica che il privilegio ha oggi assunto, i socialisti affermano che oggi la guerra è una fatalità borghese. Ma non bisogna intendere fatalità nel significato naturalistico-matematico, come una legge assoluta. Se così fosse, la guerra sarebbe una realtà quotidiana, le nazioni capitalistiche dovrebbero essere in perenne conflitto tra di loro. Bisogna intendere fatalità nel senso idealistico, come interpretazione di una necessità, come giudizio degli uomini. Il conflitto esiste perenne, ma non è perennemente di fatto; perché tale diventi è necessaria una iniziativa umana, è necessario ci sia chi giudichi essere arrivato il momento dell’azione, il momento utile per la realizzazione di un nuovo privilegio, oppure per impedire che un privilegio acquisito decada a beneficio altrui, e la guerra scoppia. E allora nascono appunto le domande: perché scoppiano le guerre? Perché in un certo momento e non in un altro? Perché trovano i fautori in alcuni ceti e non in altri?

Queste domande furono poste a Norman Angell quando pubblicò “La grande illusione”. Norman Angell si era posto il problema della guerra da un punto di vista perfettamente e recisamente logico. Egli ragionò: la guerra è un fatto talmente enorme che è necessario supporre che gli uomini che la scatenano abbiano enormi ragioni per scatenarla e siano di queste ragioni sinceramente persuasi. Le guerre moderne nascono dal bisogno di assestamenti economici migliori per certi capitalismi nazionali: gli uomini che di questi capitalismi sono i componenti, sono in preda a una grande illusione: credono che le guerre siano economicamente proficue, che le guerre creino condizioni migliori di produzione e di scambio. Io dimostro che una guerra, dato l’assestamento attuale della produzione e degli scambi, non può arricchire nessuno, non è utile a nessuno, che in una guerra moderna non vi possono essere vincitori e vinti, ma tutti saranno vinti, cioè per tutti si abbasserà il livello di vita economica, perché il danno dell’uno sarà inevitabilmente danno dell’altro. La rivelazione, la dimostrazione matematica di questa verità deve uccidere la guerra.

Diffondetela, propagatela: quando tutti saranno persuasi, la guerra scomparirà, quanto prima questa verità avrà conquistato la maggioranza degli uomini, tanto prima la guerra scomparirà.

Si obbiettò a Norman Angell: ma credete proprio che gli uomini inizino la guerra proprio per questi motivi enormi? Essi potranno servire per far continuare una guerra già iniziata, per prolungarla, per fissare a essa dei fini. Ma le guerre scoppiano per tali e tante ragioni, che è inutile ricercarne le origini immanenti, ed è impossibile fissare le prime essendo esse sempre nuove, sempre diverse. La verità è che non si sa perché le guerre scoppino, e pertanto esse devono ritenersi un retaggio della società umana, e gli uomini devono cercare di farle, quando sono costretti a farle, nel modo migliore, più onorevole e proficuo per le nazioni cui appartengono.

Ma chi fa queste obbiezioni non è un avversario della guerra. Per i socialisti il problema non si conchiude definitivamente in questi termini.

È vero che le guerre non si iniziano per delle ragioni logicamente adeguate al fatto che sta per scatenarsi; ed è vero che queste ragioni, questi stimoli sono tali e tanti che difficilmente si riesce a imprigionarli in uno schema compiuto e definitivo. Ciò è vero perché troppo pochi sono ancora gli uomini che si preoccupino veramente di ciò che accade loro d’intorno, che si preoccupino di non lasciar aggrupparsi dei nodi che poi domanderanno l’intervento della spada per sciogliersi e faranno diventare di fatto la guerra che è immanente nella società attuale. Perché troppo pochi sono gli uomini che si sforzano di comprendere in tutte le sue complicate risorse malefiche la società cui appartengono; troppo pochi sono quelli che si propongono di trasformarla concretamente, che si propongono – nell’attesa di poterla sostituire – di imprigionarla nella rete di un intenso controllo per impedirle di far diventare troppo attivamente crudele il maleficio che rinchiude latente.

Perché c’è chi lavora sempre, continuamente per iniziare le guerre. Perché c’è chi getta continuamente delle scintille sulle polveri infiammabili, e opera fra gli uomini, e suscita dubbi, e semina il panico. Perché ci sono i professionisti della guerra, perché c’è chi dalla guerra guadagna, anche se la collettività, le collettività nazionali non ne ricavano che lutti e rovine.

I seminatori di panico sono sempre esistiti. Sono sempre esistiti i professionisti della guerra. Anche nel mondo antico. Nelle favole di Fedro se ne trova traccia.

[…]

Non basta quindi l’avversione alla guerra in genere. È necessaria un’opera di controllo assidua sulle forze perverse che tendono a iniziare le guerre, a gettare i germi di guerre future.

Due sono i compiti dei socialisti. Irrobustire sempre più il proprio movimento per sostituire le borghesie, per rendere quindi impossibile qualsiasi guerra.

Nel frattempo, controllare assiduamente quei ceti borghesi che creano le ore topiche, che giudicano in certi momenti necessaria la guerra. Il secondo compito integra il primo: non basta essere contrari alla guerra in genere, come non basta dichiararsi socialisti genericamente. Bisogna cercare di far evitare le guerre in ispecie, sventando tutti i trucchi, sventando le trame dei seminatori di panico, degli stipendiati dell’industria bellica, degli stipendiati delle industrie che domandano le protezioni doganali per la guerra economica. Poiché è pur necessario che la guerra scoppi in un certo momento, bisogna impedire che questo momento arrivi mai.

Ci sono troppe sirene che cantano le canzoni fallaci della perdizione. Bisogna educare il proletariato, ma bisogna anche imbavagliare le sirene. Troppo pochi sono gli Ulissi che si premuniscono, che essendosi fatti legare all’albero della nave, avendo fatto tappare colla cera le orecchie degli uomini della loro ciurma, passano tra il canto senza sprofondare nel baratro. Ma anche le sirene sono poche: che gli uomini di buona volontà provvedano a imbavagliarle. Fino a quando il proletariato non comprenda tutto il popolo, e non sia immunizzato, bisogna che esso almeno pensi a gettare sulla società borghese la rete del proprio controllo, per imprigionarla, per rendere impossibile un altro così enorme spreco di vite e di ricchezze.

10 ottobre 1917 Antonio Gramsci in “Il Grido del Popolo”