IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO

 

Montevago, Ruderi
Montevago, Ruderi

IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO

Le giornate di metà agosto sono state funestate da eventi  drammatici, che hanno evidenziato il degrado complessivo della nostra società.  Indubbiamente gli “annunci” vi erano stati e prolungati nei tempi, ma la funzione di Tiresia o Cassandra è spiacevole e contornata da una inutilità ormai acclarata. Purtroppo non si può essere solo intellettuali da salotto, occorre sapersi cimentare con le piazze e non bastano più solo quelle virtuali. Nel corso degli ultimi anni alcuni di noi “invece” hanno utilizzato questi mezzi che apparivano ultramoderni e sembravano garantire visibilità e successo. Lo è stato certamente per qualcuno che ha usufruito di particolari fortune;  ma solo per qualcuno, beninteso, come di norma accade.

Abbiamo conosciuto fasi politiche che apparivano contrassegnate da finalità sovversive; le abbiamo combattute ma siamo rimasti invischiati all’interno di quella melassa che aborrivamo, anche perché a noi sembrava fosse finita l’era dell’effimero berlusconiano con la sua decadenza morale e fisica. Qualcuno anche dei nostri interpretava la rivincita inserendosi nel solco di quello stile; si avvertiva il bisogno assoluto di potere a prescindere dalle qualità morali e non è parso vero agli sconfitti di poter contare su figure che apparissero contrassegnate da valori apparentemente affini a quelli della Sinistra ma con uno stile che proseguiva i percorsi progettuali  neocapitalistici. Per un po’ ha funzionato a loro vantaggio fino a quando la parte peggiore di questa società non ha svelato l’arcano, relativo al fatto che i mestieranti non avrebbero mai potuto raggiungere le capacità dei professionisti.

Abbiamo quindi  fatto consegnare il Paese nelle mani di altri mestieranti, apprendisti stregoni che lo distruggeranno. Occorre grande senso di responsabilità e grande attenzione; il populismo rappresenta il degrado morale del Paese, direttamente. I leaders che parlano espongono il disappunto di una parte maggioritaria della gente, ma come quest’ultima non sono in grado nella maniera più assoluta di portare a soluzione i problemi. Questo è il merito ed il limite del populismo. E quando accenno al merito mi pongo solo fittiziamente dalla parte dei vincitori spostandomi immediatamente dall’altra parte quando accenno al limite.

Potrà apparire una forzatura ma è una spinta alla riflessione l’accostamento tra il ponte di Genova, la nostra società e la sua “massima” rappresentanza politica, cioè  questo Governo.

Il ponte aveva da tempo mostrato i segni del degrado ed era stato oggetto di discussioni sotto traccia e di scontri che oggi consideriamo  paradossali, simili alle danze tribali delle Parche che si svolgono intorno ai destini degli uomini. Oggi quell’opera considerata nel corso degli anni esempio eccelso dell’ingegno italico è crollata creando lutti e disperazione; la risposta del Governo è apparsa immediatamente populistica ed invece di stringersi in silenzio intorno alle numerose vittime ha sollevato il dito accusatorio verso i propri “padri” senza un minimo di riflessione intorno alle ragioni vere per cui quel disastro si è verificato. “Tutti” siamo colpevoli ma non siamo assolti. Le ragioni del “mercato”, del “profitto” non vengono meno accusando una parte sola del contesto sociopolitico economico di cui fanno parte, insieme a “tutti” in un afflato populistico, anche il Movimento 5 Stelle e la Lega (Nord, Centro e Sud). Non solo loro, ma tutti noi sia che ci si riferisca ad un Partito o Movimento oppure alla schiera del “non voto” siamo colpevoli.

E, dunque, è il silenzio propositivo che sarebbe la migliore risposta alla tragedia. Ma invece, no. Si sbercia soprattutto per tacitare la propria sporca coscienza. Non servirebbe un silenzio prolungato tombale, ma l’avvio di una riflessione utile per tutti.

Nel frattempo molto eloquente è stato il “grande silenzio” su Rita Borsellino; e forse dovremmo tutti riflettere su questa disparità di comportamento: anche essa è il portato di uno stile, di un “cambiamento” (un arretramento) che non ha precedenti, ma è una parte di un baratro che se non finisce ci porterà alla rovina.

Joshua Madalon

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