VERSO UN NUOVO LOCKDOWN – parte 2 (per la parte 1 vedi 11 ottobre)

VERSO UN NUOVO LOCKDOWN – parte 2 (per la parte 1 vedi 11 ottobre)

Nel periodo del lockdown in questi primi mesi dell’anno furono sospesi ad esempio i lavori edilizi sulle facciate del condominio dove abito. Ovviamente tutti erano concentrati e d’accordo sul blocco totale, incapaci di avviare riflessioni ponderate, equilibrate; posizioni diverse rispetto alle caratteristiche delle varie lavorazioni: un cantiere edile sulle impalcature esterne non ha bisogno di operai che stiano a meno di un metro di distanza. Nè uno nè due ma molto spesso dieci, venti metri di distanza in orizzontale e verticale. Non si toccano e possono utilizzare anche mezzi di trasporto singoli. Ma la, pur comprensibile perchè ampiamente diffusa,  nevrosi generale non consentiva riflessioni avvedute, calibrate sul tema specifico.  E questo valeva per ogni tipologia di “cantiere”; bastava prevedere controlli continui.                              Allo stesso tempo in quel periodo eravamo confinati in casa, con l’obbligo di non spostarci se non a non più di un raggio di 200 metri dalla propria residenza o domicilio (a patto che quest’ultimo fosse stato dichiarato come “unico” luogo di provvisoria residenza). Anche questa prescrizione è stata generalmente rispettata “in modo pedissequo ed acritico, irrazionale”. La stragrande maggioranza lo ha fatto per il profondo rispetto delle regole, a prescindere dall’uso della ragione. In realtà la “ragione” è stata piegata dalla paura.

Una passeggiata “lunga” ben più dei duecento metri, ma “in solitaria compagnia di se stessi”, avrebbe comportato molti effetti positivi sulla salute fisica e mentale. In contemporanea però nel chiuso delle mura (fossero abitazioni o capannoni o piccoli sgabuzzini) si poteva continuare a lavorare senza controlli. E profonde sono state le differenze tra coloro che potevano continuare ad operare in quello che abbiamo chiamato “smart-working” ( che è poi “lavoro a casa”, che per la nostra patologica sottomissione alla terminologia anglosassone viene anche detto “home-working” – solo che questo termine si può confondere con il più semplice “lavoro casalingo”) e tutti quelli che, per poter lavorare, avevano la necessità di uscire di casa. Molti tra questi ultimi sono stati costretti a rinunciare alla loro attività o hanno purtroppo perso “tout court” il loro impiego con tutte le conseguenze del caso.

Ovviamente, sono a sintetizzare alcuni aspetti proprio per segnalare innanzitutto il profondo ritardo “ingiustificabile” (in una situazione chiaramente e largamente “emergenziale” non si può perdere del tempo in giggionerie e passerelle varie, come è accaduto, solo per fare un esempio, con gli Stati Generali). Bisogna saper fare squadra, ampliando oltre le forme ideologiche ed i capricci molto personali – come quelli che caratterizzano ancor oggi la Ministra Azzolina – il parterre delle condivisioni e delle compartecipazioni organiche e funzionali ad una vera e propria più ampia e diffusa sui territori corresponsabilizzazione.

In realtà, proprio per questa incapacità dei governanti, stiamo dilapidando i sacrifici fatti nella prima parte di quest’anno e rischiamo di dover rinunciare soprattutto per insipienza e disorganizzazione ai vantaggi che avremmo dovuto mantenere in questi ultimi mesi.

La responsabilità è di tutti, a partire dal Governo, che non può – soprattutto in questa fase, che è, a tutta evidenza, la più delicata e pericolosa – non ascoltare i pareri dei rappresentanti delle Regioni, che – va notato – sono in maggioranza schiacciante condotte da forze politiche che sono all’Opposizione. Allo stesso tempo il Governo non può derogare dalle proprie competenze e responsabilità. Questo crea un vero e proprio blocco che non permette di essere in perfetta sintonia con il Paese. Fino ad ora i sondaggi hanno premiato l’azione del Governo, ma nel futuro sarà molto difficile mantenere questo consenso.