Sarà stata la fretta, ma – come ho già scritto – la caduta del Governo è stata ben accolta da tutti i protagonisti della scena politica, e certamente questa grande difficoltà del Centro Sinistra a trovare unità non può essere giustificata, a meno che…dietro tutto questo “sfascio” non vi sia una vera e propria strategia. Mi affido alla Fantapolitica, immaginandomi un quadro di “responsabilità” che fino a questo momento è pura utopia. Di fronte alla impossibilità di mettere in piedi un Governo con una maggioranza di parte, netta, del CentroDestra, il cosiddetto “campo largo” si ricompatti.
Per ora, siamo di fronte ad un vero e proprio guazzabuglio inestricabile che a me ricorda “la vigna di Renzo” (XXXIII capitolo de “I Promessi sposi”):
Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia de’ filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; gramigne, di farinelli, d’avene selvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle ma anche questo si vedeva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune di più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lunghe spighe sparse sparse e come stellate di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne’ rami, nelle foglie, ne’ calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi e porporini, ovvero si staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan tutti ricoperti delle loro foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli; là una zucca selvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avvitacchiata ai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravano giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendono l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all’altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone.
“Siamo arrivati alla sesta Edizione di “Poesia sostantivo femminile”, idea nata nel 2001 a cavallo fra i due secoli e dovuta fondamentalmente al diffuso bisogno di esprimersi che da tanta parte ci veniva sollecitato di fronte alle innumerevoli incognite che percorrono proprio i periodi intermedi. L’iniziativa è cresciuta e le collaborazioni con gruppi diversi, con associazioni varie, con singoli, con scuole non solo del territorio hanno permesso di far diventare questo un appuntamento importante nell’arco della programmazione annuale, non solo nella nostra Circoscrizione, ma anche in tutta la città, nella Provincia, che ci concede, crediamo anche per questo, molto volentieri il Patrocinio, nella Regione attraverso quello che è il consueto tam-tam dei poeti, che travalicano tutti i confini con la loro parola. Questa iniziativa dunque è stata subito un successo e continua ad esserlo, tanto che siamo tentati anche di farla diventare qualcosa di più rilevante. Tuttavia la semplicità con la quale viene costruita e proprio la caratteristica dell’essere un “premio – non premio” ne hanno fatto la fortuna.
Bisogna ancora una volta ringraziare le donne che negli ultimi decenni hanno superato molte delle difficoltà che le condizionavano anche espressivamente: sempre più donne scrivono, sempre più donne coltivano la poesia, accettando confronti e scavalcando tutti i pregiudizi che tarpavano le loro ali. E la poesia è libertà, è la voglia prorompente di affermare i propri sogni, le aspirazioni, di esorcizzare le paure, le angosce esistenziali, tutto quello che altri preferiscono mantenere dentro, comprimendolo e inaridendosi. Coltivare la poesia, sia per le donne sia per gli uomini, significa saper sapientemente innaffiare questa tenera pianticella e farla crescere lentamente dentro di sé fin quando non arriva il momento di metterla a disposizione degli altri, del mondo. Un mondo che se fosse senza poesia sarebbe un deserto invivibile. Questa iniziativa “Poesia sostantivo femminile” è ormai un appuntamento consolidato nel settore della Cultura in questa Circoscrizione, in questa città, in questa Provincia.
La Cultura è davvero poi uno dei punti di riferimento più forti ed importanti del lavoro, quello lento, regolare, metodico che sul territorio viene svolto da una piccola Istituzione come la nostra. Il Decentramento ha curato questa funzione, ponendo a disposizione donne ed uomini sensibili e risorse scarse ma sufficienti a realizzare momenti così rilevanti e così coinvolgenti. Chi opera in questa città sul piano amministrativo e politico guardi con maggiore attenzione a questo patrimonio così ricco che rischia per scarsa attenzione ed un tantino di insipienza di essere disperso. E’ inevitabile che, allorquando qualcuno opera per pura passione e si adopera per il bene comune, contento di raccogliere le soddisfazioni che solo la Cultura può rendere, la sua felicità finisca per essere oggetto di invidie. Credo che sia indispensabile rivedere le strategie culturali in questa città non come elemento di appartenenza ad un settore specifico, ma come linea di riferimento globale. Anche le ultime vicende che hanno caratterizzato in modo diverso il nostro mondo sotto il segno dell’intolleranza religiosa hanno un punto di riferimento certo nel progressivo deterioramento del livello culturale generale e nell’incapacità di comprendere l’importanza della Cultura come asse portante della Politica, sempre più caratterizzata da un pragmatismo vuoto di ideali e di contenuto. Occorre porre rimedio a questa carenza, ascoltando di più anche le voci della poesia.
Prato 8 marzo 2006
Giuseppe Maddaluno
(Presidente Commissione Cultura Circoscrizione Prato Est)
Riprendo a trattare temi di memoria storica locale. Con documenti “originali” dai quali questa volta non espungo alcun nome (fanno parte della Storia) proprio perché si spesero per costruire punti di aggregazione e di partecipazione intorno al Partito Democratico in quel di Prato San Paolo poco più di dieci anni orsono – Questa documentazione attesta la grande difficoltà con la quale si è costruito un progetto “democratico” aperto, che non poteva essere ben accolto in una forza politica ancora tributaria di vecchi ed obsoleti schematismi.
DOCUMENTO URGENTE
SULLA PROPOSTA DI APERTURA DEL CIRCOLO PD A SAN PAOLO
Intendiamo fare il punto della situazione in relazione alla
richiesta di riaprire nella sede del circolo Arci di San Paolo in via Cilea un
Circolo del Partito Democratico nuovo, così come espresso nei precedenti
documenti.
Già da circa un anno alcuni iscritti ed alcuni simpatizzanti
hanno rivolto in modo corretto la richiesta al Segretario Provinciale (Bruno
Ferranti) al Coordinatore del Circolo Borgonuovo-san Paolo (Fabio Razzi) ed al
coordinatore Circ.le Ovest del PD (Fabio Colzi). Una discussione, presenti i
suddetti al Comitato Direttivo di Borgonuovo-San Paolo appositamente convocato,
è avvenuta prima delle Primarie per le Elezioni Regionali dello scorso anno.
Gentilissima Coordinatrice, tu conosci le nostre intenzioni
e conosci anche le motivazioni che ci spingono. Fra i molti simpatizzanti che
si sono avvicinati all’idea di aprire un Circolo nuovo sta sopravvenendo una
certa disillusione.
Entriamo però nel vivo:
Mercoledì scorso vi è stato il primo incontro del Comitato
Direttivo del circolo Borgonuovo-San Paolo nel quale alcuni di noi sono
presenti (l’altra sera eravamo anche in maggioranza come san paolini) ed il
Coordinatore Matteo Nesi ha proposto di parlare della nostra richiesta in uno
dei prossimi incontri, anche perché nel Congresso avevamo presentato un
documento ad hoc. Nel dibattito si sono avuti interventi tuttavia che
lasciavano presupporre l’ipotesi di procrastinare alle “calende greche” questa
decisione, chiedendo riflessioni, approfondimenti, condivisioni etc… Ho fatto
presente che è per noi urgente a questo punto affrontare la materia e decidere.
Il giorno dopo abbiamo anche riflettuto e facciamo una
proposta su cui vogliamo il tuo parere:
penseremmo di chiedere che dal 1 gennaio 2011 il Circolo San Paolo faccia il “suo” tesseramento, pur rimanendo in piedi (onde evitare difficoltà al Partito) il coordinamento unico (arricchito da qualche altro nostro rappresentante – ad esempio Marzio Gruni che è anima del progetto non è presente nel Coordinamento attuale) e gruppi di lavoro comuni; inoltre tutte le iniziative dovrebbero essere concordate, quanto alle date, fra i due Coordinatore di Borgonuovo e quello temporaneamente espresso di San Paolo. Il Congresso – eventualmente davanti ad un nostro auspicabile successo di adesioni nuove in cui fortemente crediamo – dovrebbe svolgersi a fine 2011 – inizio 2012.
Chiediamo di essere resi autonomi rapidamente, anche perché
vi potrebbero essere presto delle urgenze e vorremmo evitare di incorrere in
emergenze varie che procrastinino ulteriormente questa scelta.
Ti chiediamo gentilmente di convocare il Coordinatore Nesi e
fare sì che si svolga al più presto prima della fine di quest’anno il Comitato
direttivo che si occupi in modo specifico e definitivo di questo argomento.
Un amico commenta il mio post del 27 agosto, nel Blog dove metto a disposizione tutto me stesso per evidenziare il profondo imbarazzo che da alcuni anni mi coglie quando devo scegliere (a proposito, quello slogan “lettiano” così netto non ha in me un impatto positivo; non è un dolce invito, è quasi un’imposizione, un comando imperioso, forse “disperato”). Ancora una volta di una cosa sono certo: “non voterò per il Partito Democratico”. Ho davvero difficoltà ad esprimermi in modo netto e non per tattica su quella che sarà il mio “voto” il 25 settembre; ad oggi potrei essere anche tentato di non partecipare o astenermi nel momento della “scelta”. Ciò a causa dell’inadeguatezza dell’offerta “politica” molto più al di sotto di quelle precedenti, che lasciavano intravedere “speranze”. E non mi fa “paura” la Destra: chi continua a sventolare quel “bau bau” offende – forse consapevolmente – l’intelligenza degli stessi “potenziali” elettori cui intende rivolgere la sua offerta. E quel Centro sinistra (C maiuscola e s minuscola a decretare le reali misure) è intriso di “ipocrisie” anche quando finge di essere contrario al “presidenzialismo” ma inneggia al “metodo Draghi” che rappresenta un anticipo di “presidenzialismo” finanziario e non solo, di cui non abbiamo bisogno. Per quanto riguarda la Destra o il CentroDestra, cui afferisce anche parte del Centro indistinto, per capirci la Ditta Calenda & Renzi, propone soluzioni demagogiche per noi inapplicabili, a meno che non si voglia preparare una vera e propria catastrofe sociale, umana. Sono degli “irresponsabili”.
Riporto il
commento con un preambolo breve: Caro Luigi, concordo anche io su quel che
scrivi e proseguirò a riflettere su quel che è accaduto e ciò che accade. E mi
batterò per riunire le parti Sinistre che siano disponibili al dialogo. Non c’è
altra strada!
Sei stato chiarissimo e condivido tutto, ma
non è solo questione di coraggio e di senso di responsabilità, ma anche e
soprattutto di mancanza di un’identità. Un partito in cui le varie correnti
pensano solo al loro orticello non la si può ricostruire. Si dovrebbe ripartire
dal recupero della natura popolare del PCI e DC, per amalgamarla con lo spirito
che animò per qualche tempo l’Ulivo e proiettare il tutto nella realtà di oggi.
La vedo difficile, quasi impossibile, a maggior ragione quando sento evocare i
fantasmi del fascismo e la battaglia contro le destre. Se il programma è
questo, hanno poco da sperare quanti non potranno pagare le bollette del gas e
dell’energia elettrica, quanti troveranno le fabbriche chiuse perché non
possono affrontare i costi, quanti non potranno curarsi perché la scelta è tra
il pasto o il farmaco, quanti investimenti verranno a mancare in l’Italia se
invece di far calare il peso fiscale, si parla di patrimoniale e di tasse sulle
successioni. L’Italia è ormai una mucca senza latte o come si dice dalle mie
parti, a cui sei sempre legato, in Italia “è morta zia pagnotta”. Ora
il Re è nudo e non lo vedono nudo solo i bambini. P.S.: Un abbraccione.
Parte 32 prosegue e si conclude l’intervento del prof. Giuseppe Panella
Tutte le sue sceneggiature sono state pubblicate e molte, quasi tutte in vita a dimostrare l’importanza che per lui aveva la sceneggiatura come testo letterario. Se non l’avesse avuto e l’avesse pubblicate solo per motivi venali e può essere anche un motivo quello di pubblicare un libro che poi magari veniva venduto sull’onda della emozionalità e dell’interesse pubblico del momento, questi testi non sarebbero stati arricchiti da così tanto materiale aggiuntivo. E’ come se Pasolini avesse previsto la tecnica con la quale vengono costruiti oggi i DVD dei film tutti i materiali con i backstage, un le interviste. Se voi vedete la sceneggiatura di “Accattone”, ma anche di altri film, vedete che ci sono pagine di diario, riflessioni, viene ricostruito il film il modo in cui è stato fatto, quali sono le prospettive, voglio dire fa proprio un lavoro di spiegazione, di arricchimento e di integrazione della sceneggiatura per cui in effetti verrebbe fatto di pensare che queste sceneggiature per lui hanno un valore letterario forte. D’altronde, la stessa pubblicazione intorno al romanzo con Teorema, che è film e romanzo nello stesso tempo e sceneggiatura del romanzo nello stesso tempo, sembrerebbe far pensare ad un ritorno, ad una dimensione narrativa che però nello stesso tempo si integra con il linguaggio cinematografico e contemporaneamente con il linguaggio della poesia. Teorema, dico per chi non l’avesse letto, è composto da pezzi in prosa, da testi che diciamo ricordano le sceneggiature come scriveva Pasolini, ma anche con larghi squarci di poesia. Allora, per ritornare e fare appunto delle domande, per iniziare un percorso di discussione, io credo appunto che in Pasolini ci sia sicuramente questa idea del non finito o comunque di qualcosa che va integrato, di un confronto-scontro con il lettore al quale viene richiesto di partecipare. Però è anche vero che questo non è forse l’unica dimensione, l’unica cifra significativa di Pasolini, ma è qualcosa che Pasolini scopre nell’ultimo periodo cioè dopo l’abbandono della letteratura come strumento di lotta legata alle esigenze della dimensione politica, della grande discussione. Insomma non si capisce, a mio avviso, “Una vita violenta” se non si tiene presente la discussione sul contemporaneo e sul Metello di Pratolini, insomma il dibattito sulla letteratura neorealistica. Quindi da un lato c’è una modalità di operazione narrativa da parte di Pasolini che trova un muro, cioè si scontra contro la difficoltà di una totalizzazione dell’opera letteraria; dall’altro c’è la scoperta, non tanto la scoperta quanto
l’utilizzazione del cinema come continuazione della dimensione narrativa, lo
scrivere appunto con un’altra lingua, ma continuare lo stesso progetto, lo
stesso processo.
E’
inevitabile poi che utilizzando gli strumenti, l’arma propria del cinema,
Pasolini integri questa sua scoperta anche dal versante narrativo e dal
versante poetico. Per cui il cinema va a costituire un linguaggio, una sorta di
lingua speciale che si fa però progetto globale all’interno dell’opera di
Pasolini. Cioè il cinema serve per compensare, per superare l’impasse del
romanzo visto l’insuccesso diciamo così da un punto di vista letterario di
“Una vita violenta”; dall’altro è il cinema che poi viene utilizzato,
viene riverberato sulle altre forme espressive e quindi diventa uno strumento,
una sorta di strumento principe per scrivere ancora poesia, per scrivere ancora
narrativa, per arrivare ad un livello di determinazione della scrittura stessa
che vada oltre il grado zero della scrittura, per citare il Barth a cui si
alludeva, che sicuramente è uno dei punti di riferimento forti di Pasolini, ma
come sempre in Pasolini anche come punto di riferimento critico, cioè c’è una
adesione, ma anche una critica. Lo stesso direi insieme a Bazen un altro grande
punto di riferimento dal punto di vista cinematografico di analisi della lingua
del cinema è Godard, che Pasolini pubblica in quella stessa collana insieme a
Bazen. Grazie. >>
Riprendo a trattare temi di memoria storica locale. Con documenti “originali” dai quali espungo solo i nomi e gli elementi che afferiscono alla privacy di persone che si spesero per costruire punti di aggregazione e di partecipazione intorno al Partito Democratico in quel di Prato San Paolo poco più di dieci anni orsono
Sostenitori proposta
Apertura Circolo PD San Paolo
C\o Circolo ARCI
via Cilea, 3 – PRATO
A: Segreteria del Partito
Democratico di Prato
Comitato dei Garanti del PD
E p.c. Sig.
Prato, 24 giugno 2010
Un anno e mezzo fa abbiamo abbiamo iniziato a confrontarci a
livello locale riguardo all’esigenza di aprire il Circolo PD a San Paolo.
Questa esigenza ha avuto, all’inizio, anche il supporto del
coordinatore del Circolo PD di Borgonuovo ed insieme abbiamo condiviso la
scelta di attendere, responsabilmente, la fine di tutte le fasi elettorali che
hanno coinvolto la città e la regione.
In questi mesi gli incontri sono continuati e si è formato
un numeroso gruppo di persone a sostegno dell’apertura del Circolo PD a San
Paolo.
Così il 27 aprile 2010, finite appunto le fasi elettorali,
abbiamo consegnato la richiesta formale, a codesta Segreteria, al Segretario
Bruno Ferranti.
Ad oggi ci sembra opportuno presentare tale richiesta a
tutti voi membri della segreteria provinciale, fiduciosi che in tempi rapidi sia
messa all’ordine del giorno dei lavori della segreteria.
Cordiali saluti
I firmatari della richiesta di
apertura Circolo PD San Paolo
per contatti:
G. M. cell. 328XXXXXXX
Email xxxxxxxxxxx
M. G. cell. 329XXXXXXX
Email xxxxxxxxxx
Al coordinatore
uscente
Al candidato coordinatore Congresso 17.10.2010
Al Segretario Provinciale uscente
Ai candidati alla segreteria Congresso ottobre 2010
Documento da presentare al Congresso del 17 ottobre 2010 – al Circolo Borgonuovo
I sottoscritti sostenitori della proposta di apertura di un Circolo PD nuovo nella
sede del Circolo Arci in via Cilea 3 fanno presente che hanno inteso dimostrare
in questa fase pre-congressuale senso di responsabilità e di unità
addivenendo ad un accordo provvisorio che veda una loro presenza in particolar modo
nella lista “unitaria” del Circolo “per ora” denominato “Borgonuovo-San Paolo”.
La richiesta di costituire un Circolo nuovo sarà evidenziata sia nel corso del Congresso
che si svolgerà il prossimo 17 ottobre sia a partire dal 18 ottobre 2010 e
si continuerà a portare avanti il progetto così come esplicitato nei mesi
scorsi con opportuni documenti presentati correttamente e discussi
con gli organismi statutari.
La presenza di
alcuni membri dei suddetti sostenitori nella lista “unitaria” va interpretata –
lo si ripete – come atto di responsabilità in questa fase non come rinuncia a
portare avanti la nostra richiesta.
Allo scopo di far meglio comprendere la nostra proposta vi forniamo in allegato
il Documento presentato agli organismi statutari e discusso – lo si ripete –
anche nel Coordinamento Borgonuovo-San Paolo
Riprendo a trascrivere alcuni testi collegati all’esperienza di POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE – Quelli che seguono sono riferiti al 2007 VII Edizione –
“Nel processo di sviluppo dell’umanità per lungo tempo non vi fu grande differenza fra gli animali; poi una parte di questi iniziarono ad affinare le tecniche primitive di comunicazione e l’uso della parola decretò la differenza iniziale. Nel corso del tempo tuttavia la “parola” ebbe un’evoluzione tale che portò alla stessa evoluzione della specie umana. Ma la “parola” era ancora allo stato grezzo e serviva essenzialmente ad esprimere i bisogni primordiali; ci volle molto tempo perché fosse usata per comunicare passioni, sentimenti, ideali. Quando questo accadde fu la rivoluzione più importante ed esaltante dell’umanità: nacque la poesia.
I poeti sono rivoluzionari, dunque, per concetto. Sono essi che hanno sospinto il mondo nei grandi momenti di cambiamento. Il poeta è un saggio che riesce a leggere, penetrandoli, i segreti del mondo; il poeta, anche per questo, è amato da pochi e odialto da molti, è inviso ai rozzi, deriso dagli incolti e da coloro che vivono gli ideali soltanto fino a che servono ai loro interessi. I poeti sono stati perseguitati ed a volte sono stati bruciati insieme ai loro versi.
In questa “rivoluzione” il pensiero poetico femminile è di certo quello considerato più sovversivo: ha dovuto “bucare” muri di silenzio lunghi a volte molti anni. La poesia era effetto di stregoneria perché assomigliava ad una alchimia di passioni, di dolcezze, di trasgressioni, e la donna non poteva esprimere simili astrazioni senza avere stipulato un patto con il diavolo. La donna, dunque, che strano oggetto! Le uniche donne che hanno “bucato” il tempo con la poesia sono fondamentalmente considerate diverse ma la loro sensibilità è profondamente riconoscibile.
Da sette anni la Circoscrizione Est dedica uno spazio, collegato alla ricorrenza dell’ 8 marzo, alle donne e alla poesia. Lo abbiamo chiamato “Poesia sostantivo femminile”.
Quest’anno ancor più che in altri precedenti il numero dei partecipanti è stato alto e di buon livello: molti i giovani e questo ci fa piacere perché ci rivela quanto sbagliata sia l’idea di tanti come me con i capelli bianchi che si stiano smarrendo i valori fondamentali dell’umanità.
La Circoscrizione Est dichiara ancora una volta la sua disponibilità a realizzare nel corso dell’anno altri momenti come questi in collaborazione con gruppi di poetesse e poeti.
Ho speso molta parte del mio tempo a
tracciare il mio pensiero politico sulle vicende degli ultimi anni. Sono da un
po’ di tempo convinto, dopo essere passato per una serie di delusioni – o illusioni,
che tutta la storia del Partito Democratico così come si è venuta a
concretizzare, subito dopo – o addirittura “durante” – la sua fase costitutiva,
sia stata una vera e propria beffa nei confronti di quella parte che aveva dato
fiducia ad un progetto di rinnovamento dei metodi e delle scelte politiche,
dopo gli anni della Prima Repubblica ed i tentativi di costituire un blocco
progressista democratico di Sinistra. Non ho mai accettato la posizione dei
compagni della Sinistra che non aderivano a quel progetto, anche perché
probabilmente con il loro dissenso non hanno consentito al nuovo Partito di
affermare con chiarezza i fondamentali valori democratici. Detto ciò, tuttavia,
sono ancor più convinto, oggi, che non si sarebbe comunque riusciti a creare una
forza politica davvero innovativa nei contenuti e nei metodi. Troppi e potenti
erano gli interessi particolari in gioco per consentire al “nuovo” di emergere
e cambiare il verso della Politica.
Per questi motivi ho assunto insieme ad altre ed altri una posizione critica
anche se sempre condotta con moderazione, punteggiata da forme caratteriali
personali di rifiuto silente o di protesta dirompente. Tranne che per brevi
periodi la mia, e quella di altre figure a me affini, è stata una visione di
minoranza, accentuata dal “golpe” interno del renzismo caratterizzato da una
serie di scelte mortificanti. In questi frangenti non c’è stata da parte di chi
oggi rappresenta l’opposizione interna la consapevolezza di essere
corresponsabili in toto del disastro che si è generato nel Partito e nel Paese.
Taccio per ora (anche se ho già trattato questo tema in altri post) su quel che
ha significato il tradimento profondo di coloro che avevano sostenuto
surrettiziamente e forse in modo ignobile la posizione di Civati.
Anche le riflessioni che ho – oggi -sottomano perché Marzio attraverso una
delle rappresentanti della minoranza attuale me le ha inviate in file sono
eleganti ma deludenti. A scuola l’avrei descritta come “aria fritta”. Si parla
di “Sinistra”, presumendo di poterla identificare come “SempliceMente
Sinistra”. Ma si capisce perfettamente che si vuole ancora una volta gabellare
gli umili ingenui come sono stato io per tanto tempo. La Sinistra di cui si
parla è in fin dei conti una costruzione che ha lo scopo di mantenere anche se
in una posizione di minoranza un ruolo ed una funzione che non è in grado di
svincolarsi dai rapporti di Potere con gruppi di interesse, lobbies e congreghe
varie che non hanno lo scopo di livellare i profitti a favore di chi ha perso forza
economica e potere d’acquisto.
Non funziona purtroppo nemmeno la parte critica verso l’attuale (s)compagine
governativa perché pur riconoscendo che le risposte del sovranismo e del
populismo sono sbagliat(issime)e, purtroppo dobbiamo rilevare che sono state –
e sono – le “uniche” che tentano di collegarsi al mal di pancia diffuso nel
Paese, che non è stato minimamente intercettato dai precedenti Governi.
In tutto questo certamente il futuro della Sinistra non può essere quello di
una galassia indistinta di monadi impazzite ed autoreferenziali ma non può –
oggi – ergersi a capofila una congerie di personaggi ormai screditati – a torto
o a ragione, non spetta a me dirlo – dall’aver mantenuto il bordone alla
maggioranza del PD per garantirsi qualche posizione, accettando a volte anche
delle umiliazioni.
Sarà faticosa la traversata e forse ci si incontrerà in qualche oasi, sperando
che si sia ritrovata l’unità “ideale” non a scopi personali ma per cambiare
davvero questo nostro Paese, a partire da Prato e con uno sguardo all’Europa.
Di fronte a quelli che sono ormai riconoscibili come bisogni prioritari per poter affrontare la sfida del futuro (lotta alle disuguaglianze – in senso ampio; lo sviluppo delle energie alternative) occorre che la Sinistra abbia un comune programma politico. Invece ci si ferma alle affermazioni generiche e di principio e non si procede oltre. Non si producono elaborazioni se non quelle prevalentemente teoriche per le quali non è previsto alcuno sbocco pratico. Ovviamente quando dico “Sinistra” ci metto dentro sia quelli che si avvalgono di questa etichetta basandosi su una “storia” ormai lontana (il PCI), dalle cui fondamenta si sono progressivamente allontanati (questo è il caso del PD); sia tutti quelli che a quella “storia” in diverso modo continuano a riferirsi, distinguendosi in mille rivoli dogmatici. Accanto ai “primi” ci sono una serie di “cespugli” poco più che autoreferenziali, che si pongono quali interpreti degli interessi di parti relativamente forti, che davvero ben poco hanno a che vedere con quelli che dovrebbero essere posti a difesa delle parti, peraltro maggioritarie, prevalentemente bisognose di attenzioni concrete non provvisorie e caritatevoli. I “secondi” (la Sinistra nuda e pura) riescono ad andare poco oltre le affermazioni di principio, forse allo scopo di non perdere le loro connotazioni, ma facendo così in modo da non essere (non solo “apparire”) concreti.
Di fronte a queste “diversificazioni” si crea confusione e una parte dell’elettorato potenzialmente collegabile specificatamente a quegli ambiti finisce per essere attratto dalle Destre o si rifugia nella disperazione dell’astensionismo.
Prima
di arrivare al sentiero che conduce verso Punta Serra c’è una strada sterrata
abbastanza larga per consentire il passaggio di piccoli veicoli agricoli ad uso
dei parulani della zona; è una strada solitamente molto polverosa d’estate che
sbuca su un costone roccioso tufaceo dal quale vi è una delle più belle vedute
dell’isola d’Ischia. E’ alto un settanta metri sulla spiaggia di Ciraccio che
poi continua, interrotta parzialmente da una propaggine prospiciente, che
quando ero ragazzo ricordo che si attraversava da un’ampia cavità interna (oggi
credo sia parzialmente crollata e che abbia lasciato una sorta di faraglione),
verso la spiaggia della Chiaiolella. Sullo sfondo poi l’Isola di Vivara
collegata da un ponte in ferro e muratura. Da ragazzo a volte anche insieme ai
cugini, in un primo tempo accompagnati dai nostri genitori e successivamente da
soli ed in buona compagnia, scendevamo dalla costa attraverso sentieri comodi
prodotti dai pescatori del luogo che da lì raggiungevano la spiaggia per
salpare con le loro imbarcazioni, custodite in rimessaggi scavati nel tufo.
Alcuni di questi ricoveri oggi sono stati bloccati da crolli delle pareti
rocciose, così come i sentieri non sono più agili e percorribili senza
rischiare di caracollare e sfracellarsi.
Ma il luogo è sede di ricordi indelebili di grandi amicizie: arrivati sul bordo
del costone c’è un sentiero aperto prima di girare a destra per inoltrarsi
verso Punta Serra e c’è una sorta di palcoscenico naturale che consente a chi
si siede di avere anche le spalle coperte da un blocco per cui ci si sta
davvero comodi ad apprezzare il panorama del mare di giorno e di notte. E noi
andavamo spesso là, così come credo abbiano fatto i nostri parenti più anziani
quando erano giovani e quando non erano condizionati da eventi drammatici come
quello delle guerre. Era un luogo classico per gli innamorati: si poteva stare
da soli come coppie ma anche in compagnia e potevano nascere storie come quelle
di grandi amici miei. Ho sempre immaginato che anche mia madre e mio padre ci
fossero stati! D’estate era d’obbligo in alcune serate andarci: il 10 agosto
soprattutto in un cielo limpido e senza luna ci si stendeva e si attendevano
gli scrosci di stelle cadenti per formulare i nostri desideri, mentre le luci
dell’isola di Ischia, Ischia Porto e Casamicciola, si riflettevano sul mare ad
un tiro di schioppo a poche miglia di distanza. Quella notte c’era tanta gente,
era una tradizione andare da quella parte, anche perché già negli anni Sessanta
del XX secolo, era meno presente quello che abbiamo poi imparato a conoscere
come “inquinamento luminoso”. Di là c’erano le città, di qua il mare e l’Isola
d’ Ischia che, pur essendo già un luogo molto frequentato dal turismo di
qualità, era pur sempre un’isola. Procida era poi la più piccola, la più umile
e modesta, anche se la più popolosa per densità; ma ancora agli inizi degli
anni Sessanta alcune frazioni non erano state raggiunte dall’elettricità.
Sistemavamo i plaids sull’erba e sulla non troppo alta dorsale di terriccio e ci si appoggiava a mo’ di poltrona che “allora” con i nostri venti anni non ci sarebbe mai potuto apparire scomoda. Laddove la compagnia era dolce ci si accostava delicatamente e ci si teneva per mano, fingendo di non trovare motivo alcuno di attrazione con gli occhi rivolti al di là del mare ed il cuore e la mente che correvano l’uno incontro all’altra. Su quel costone ci si andava di notte, durante la settimana quando gli impegni mondani nei locali dove ci si scatenava ballando ci permettevano di organizzarci più liberamente ed in modo più o meno segreto ed appartato. Più o meno perché eravamo un gruppo ridotto e non praticavamo grandi compagnie: i locali dove si ballava erano quasi sempre aperti a tutti, avevi solo l’obbligo della consumazione e quello di essere cortese e generoso con le ragazze; non somigliavano affatto ai night degli anni successivi, quasi sempre si affacciavano su panoramiche terrazze, come l’”Eldorado” e lì poi ci suonava un gruppo di amici, i “Sailors”, con i quali mi incontravo quando preparavano i loro pezzi e ricordo che provai anche con scarso successo ad inserirmi come “vocalist”. In quel periodo le vacanze duravano molto più a lungo; si ritornava a scuola ai primi di ottobre e settembre era un mese ottimo per prolungare le nostre storie, anche se alcune continuavano, altre si interrompevano; c’erano i forestieri che avendo affittato appartamenti per il mese di agosto lasciavano l’isola ai primi giorni di settembre e, di norma, anche le relazioni costruite in quei contesti finivano con la promessa di rivedersi al più tardi l’anno successivo. Erano gli amori “estivi”; poi si ritornava alla vita normale e si riallacciavano eventualmente le relazioni locali, laddove non fossero state interrotte in modo tempestoso. Ai primi di settembre poi a Ischia ponte, che è quella parte dell’Isola che sta tra il porto ed il castello Aragonese, si ricorda il santo patrono, San Giovan Giuseppe della Croce e da bambino in qualche occasione ho partecipato direttamente a quei festeggiamenti andandoci con delle barche a motore dei cugini di mia madre; c’è sempre stato un buon rapporto di vicinato con la sorella maggiore tra Procida la più piccola ed Ischia la più grande delle isole campane. E così nell’andare avanti con gli anni e con gli interessi diversi si privilegiava l’aspetto profano rispetto a quello religioso; non è certamente solo quest’ultimo a spingere i fedeli, in quanto si approfittava dell’aria di “festa” anche per la parte ludica e quella eno-gastronomica con prevalenza della prima sulla seconda. Il clou dei festeggiamenti è lo spettacolo pirotecnico che si è sempre caratterizzato per la sua straordinaria ricchezza di colori e per la partecipazione di grandi maestri di quell’arte. Dal costone quei fuochi erano un degno finale di stagione per tutti noi.
Sull’isola, la più minuta ed umile delle
Campane, molti sono i luoghi di culto, a partire da quella dedicata a San
Michele Arcangelo. A me cara fu quella della Ss. Annunziata- Madonna della
Libera vicina all’abitazione di una delle mie zie dove negli anni Sessanta
arrivò uno di quei preti giovanili che utilizzavano l’oratorio sullo stile di
Giovanni Bosco ed apparivano trasgressivi agli occhi dei bigotti ortodossi. La
sua era una modalità coinvolgente ed aveva costruito un gruppo di giovani che
preparava eventi amatoriali che riuscivano ad intrattenere i parrocchiani nei
pomeriggi del fine settimana, quando anche io li trascorrevo in quei luoghi.
Tra i tanti luoghi di culto ricordo la Chiesa di S.Antonio Abate
(“Sant’Antuono” per distinguerlo da quella di S.Antonio da Padova non molto
distante) dove le mie zie signorine già attempate mi portavano in alcune sere a
seguire le loro giaculatorie nel periodo delle Quarantore o in particolari
periodi per la recita del Rosario. Non erano frequenti e la mia attenzione era
già allora di tipo antroposociologico ed osservavo con una certa attenzione la
prossemica teatrale delle fedeli. Sin da bambino seguivo con grande
partecipazione alcuni dei momenti parareligiosi, potrei dire popolari, che
contornavano le ricorrenze: uno di questi era “’o fucarazzo”, cioè i fuochi di
Sant’Antonio che non hanno nulla da spartire con la patologia dolorosa omonima.
Era (e dico “era” perchè non so se ancora oggi
viene praticata questa usanza) un grande falò che veniva approntato nei giorni
precedenti al 17 gennaio, giorno dedicato alla figura di Sant’Antonio Abate
protettore degli animali (nella funzione religiosa del 17 gennaio i fedeli
portano con sè i loro piccoli, medi ed a volte anche grandi, come cavalli e
muli, animali per farli benedire). La tradizione del falò sembra collegarsi al
ruolo che quel Santo avrebbe nel salvare gli uomini dalle fiamme dell’Inferno.
Eppure dal punto di vista climatico quel giorno in ogni caso segna un punto
centrale nel passaggio tra la parte più fredda dell’anno a quella più mite
(siamo a metà inverno) e ci si prepara alle varie fasi dell’agricoltura dopo il
riposo postautunnale. Davanti al fuoco c’è festa, allegria soprattutto per i
giovani è un momento magico di ritrovo e di complicità; anche per me lo è stato
come lo fu per le popolazioni primitive, i nostri antichissimi progenitori che
con il fuoco impararono a costruire il loro futuro, allontanando i pericoli,
rielaborando i cibi in modo più adatto alle loro esigenze e creando la
comunità. Intorno al fuoco ci si riuniva anche nella intimità delle case non
ancora dotate di forma alcuna di riscaldamento che non fosse fornito dai
bracieri e la sera si narravano le storie, quelle personali fatte di ricordi
elaborati e quelle tradizionali, sotto forma di favole che venivano tramandate
da madre a madre. Intorno al fuoco.
Erano quasi le venti ed avevamo appena finito
di cenare, Mary ed io con I bambini. Quella stessa sera eravamo tornati da
Napoli dove avevamo avuto impegni di lavoro e di famiglia. I bambini erano
rimasti con i nonni al mare e noi a scuola per gli Esami di Stato. Finiti
quelli, avevamo programmato di tornare a casa, a Prato per una settimana e
saremmo andati poi in vacanza per un altro paio di settimane sulla riviera
romagnola.
Il viaggio di ritorno era stato come sempre
snervante. I nonni facevano a gara per colmarci di cibarie tradizionali – il
pane, la mozzarella, i pomodori buoni, il vino, l’olio – questi due ultimi dopo
la nascita del secondo bimbo avevamo evitato per mancanza di spazio di
portarli. I primi no, perché a Lavinia il “pane di Pozzuoli” piaceva da matti e
per noi la “mozzarella di bufala campana” è ancora oggi il non plus ultra dei
prodotti tipici. I pomodori, poi….erano quelli grandi e senza molti semi.
Caricare la macchina era uno stress e lo è ancora oggi. E poi dover percorrere
500 chilometri non era poco, se per farne solo dieci ci si impiegava un’ora nel
traffico intenso sulla Tangenziale, irta di pericoli che non ti aspettavi con
autisti di Formula 1 su Alfette e 500 che zigzagavano a tutto gas, senza
controlli e senza alcuna segnalazione. Mary era stanca e si insediò nello
studio, lasciando tutte le finestre e le porte-finestre aperte e spalancate
perchè passasse un po’ di aria fresca.
Avevo promesso ai bambini di portarli fuori: loro
non erano stanchi, si erano svegliati tardi quella mattina e poi avevano
dormicchiato per alcune ore durante il viaggio.
Lavinia si preparò più velocemente del solito,
mentre per Daniele fu necessario il mio aiuto. Era già buio quando uscimmmo di
casa. Io ero già cotto abbastanza ed avrei volentieri fatto a meno, ma ogni
promessa, come si dice, è un debito. E così uscimmo. Malvolentieri allo stesso
modo risalii in macchina, ne avrei fatto a meno ma non potevamo andare a piedi.
Il luogo era un parco di medie dimensioni che durante l’estate veniva
utilizzato per feste e fiere varie e quella era l’ultima sera della Festa de
l’Unità. Parcheggiammo in uno spiazzo sterrato abbastanza sconnesso e
polveroso; ci aiutò a cercare un posto in una marea di auto un ragazzo di
colore che mi chiese un contributo. Poi come sempre accadeva c’era la forca
dell’ingresso con la distribuzione delle coccarde a quel tempo ancora rosso fuoco,
in cambio di un contributo a piacere, minimo 1000 lire però! L’ingresso era
comunque quello secondario che portava ad un viale appartato dal resto della
Festa, ma fummo tutti sorpresi dalle voci che sentivamo provenire dal pratone
al di là delle alte siepi. Lavinia e Daniele saltellavano mentre ancora li
tenevo per mano, timorosi di potersi smarrire tra la folla. Le voci indistinte
e confuse ci arrivavano mentre i venditori degli stand che erano sistemati
lungo il vialone principale invitavano gli astanti e i passanti ad assaggiare i
loro prodotti o ad acquistare l’ultimo dei biglietti disponibili per il
sorteggio che di lì a poco – dicevano – sarebbe avvenuto con l’utilizzo della
ruota. Daniele era attratto dallo zucchero filato mentre Lavinia gradiva le schifezzuole
gommose davvero disgustose.
Riprendo
un racconto che avevo interrotto lo scorso 9 dicembre (parte 4) che era stato
preceduto il 22 novembre dalla parte 3, l’ 8 di quello stesso mese per la parte
2 e per la prima parte il 5 novembre.
Il
racconto partendo da eventi occasionali – esposti tuttavia in una parte
introduttiva relativa ad una recensione datata 13 settembre 2014 che qui sotto
riporto – si spinge poi nelle due parti conclusive (la quinta, questa!) e la
sesta, che pubblicherò nei prossimi giorni, a rievocare una Festa de “l’Unità”,
una delle tante, ora che sono diventate solo un ricordo!
FUOCHI di
Joshua Madalon – Un preambolo (13 SETTEMBRE 2014)
I fuochi d’artificio non si guardano mai da soli; sin da bambini
ci hanno abituati a goderli “insieme” agli altri. E ancora adesso che ho figli
adulti quando mi capita di sentire scoppiettii mentre lavoro in casa nelle
notti sempre più insonni li chiamo a raccolta per goderne gli effetti
variopinti e fantasmagorici. Se devo andare con la memoria a dei “fuochi”
particolari nella mia mente ce ne è uno che ha rappresentato l’arrivederci per
un gruppo di amici che, dopo poco, si è distribuito su territori diversi per
lavoro. Di qualcuno di questi ho il profondo rimpianto di non poterlo rivedere.
Eravamo ventenni ed a fine Agosto a Procida sul costone del sentiero che porta
a “Fore Serra” e che guarda dall’alto Ciraccio, Chiaiolella, Vivara e Ischia
attendevamo intorno alla mezzanotte i tradizionali “fuochi” della festa
dedicata a San Giovan Giuseppe della Croce. E’ un ricordo per diversi motivi
malinconico ma straordinariamente fissato nella mia memoria che ritorna ogni
volta che assisto ai “fuochi” anche qui, dove vivo da alcuni anni, a Prato.
Ed è stato così giocoforza riandarci con la mente, avviando la lettura di
“Vinicio Sparafuoco detto Toccacielo” scritto da Vincenzo Gambardella. L’autore
sarà presente a “Libri di mare libri di terra” Festival della Letteratura nei
Campi Flegrei che si svolgerà a Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida dal 26 al
28 settembre. Ho già scritto nell’anticipazione che si trattava di un libro
complesso e difficile, e mi riferivo in particolare alla qualità della
scrittura che si basa su una prosa tecnica elaborata con un gergo popolare che,
sin dall’inizio, impone al lettore una revisione profonda nell’approccio
consuetudinario ai testi che circolano correntemente. Ma, attenzione, il mio è
un giudizio condizionato dall’impressione che ho avuto dopo letture di ottimo
livello ma caratterizzate da lessici a me familiari. Niente di tutto questo
troverete in “Vinicio Sparafuoco…”! Ma dopo la prima fatica vi assicuro, e lo
sottolineo senza ambiguità e condiscendenza supina o piaggeria che dir si
voglia, che ci si trova davanti ad un autentico capolavoro letterario.
La storia
narrata è quella di un gruppo di amici che si formano intorno al protagonista
Vinicio Pierro come fuochisti. Nel libro il gergo particolare di questa
professione è spesso utilizzato in modo scientificamente appropriato e potrebbe
servire come “manuale per i principianti” (io stesso sono andato a ricercare
sul web alcuni termini come “calcasse”). Insieme questa allegra brigata (ma vi
saranno momenti tristi e drammatici anche se raccontati con estrema semplicità)
partirà dal golfo di Pozzuoli per andare verso il Nord fino all’algida Germania
per poi dopo vicende cui non accenno far ritorno in Costiera amalfitana
(Minori) dove alcuni sogni trovano il loro positivo approdo. Se ho dato questo
giudizio entusiastico lo si deve al lessico ed alla sintassi frizzante,
scoppiettante e variopinta come i fuochi d’artificio. La descrizione dei
personaggi è precisa e dettagliata a partire da Vinicio, cuore semplice,
generoso ed umile all’inverosimile in una realtà come quella con cui siamo
abituati a lottare quotidianamente, un “cuore gioioso” come lui stesso dice di
sé con toni ingenui, primitivi e colti allo stesso tempo ma di una cultura
popolare che è sempre più martoriata e trascurata (leggansi le “lettere” che
Vinicio – in più occasioni – e Costanzo Ceravolo detto Magnesio scrivono anche
a personaggi importantissimi come il Negus, la Regina d’Inghilterra e papa
Wojtyla). Insieme a queste sono pagine di grande letteratura quelle dedicate
alla storia di San Gioacchino e Sant’Anna, il cui culto è praticato a Bacoli,
la terra flegrea da cui partono i nostri personaggi ed altre che non
mancheranno di coinvolgervi e di trasmettervi piacere, se coglierete il mio
consiglio di leggere “Vinicio
Sparafuoco detto Toccacielo” di Vincenzo Gambardella edizioni “ad est dell’equatore”
collana liquid.
FUOCHI – parte 5
Salutai
rapidamente alcune compagne che erano sedute davanti alla tenda della
Direzione, e che mi avevano invitato a stare con loro per discutere delle
questioni politiche di inizio estate, che erano quasi sempre legate ad aspetti
marginali, e anche per questo motivo feci segno che ci saremmo visti dopo, un
dopo generico, e che ero impegnato con i pargoli, che non avrebbero troppo a
lungo tollerato le mie distrazioni. Infatti già prima del mio fugace saluto non
degnarono di alcuna attenzione le signore e proseguirono il loro cammino verso
uno spiazzo dal quale provenivano musiche e voci, entrambi incomprensibili.
All’improvviso si aprì un varco nella vegetazione e le musiche e le voci
divennero ben più vicine ma ugualmente poco chiare, indistinte. Ed insieme a
queste in un grande prato illuminato a giorno apparvero centinaia di ragazze e
ragazzi dagli occhi a mandorla che si agitavano urlanti verso un palco sul
quale si esibiva un complesso formato da giovani ugualmente cinesi ed una
ragazza pronunciava parole che il pubblico mostrava di comprendere e di poter
condividere cantandole. A conti fatti, dopo la prima sorpresa la melodia era
gradevole anche se non ci capivo niente. Lavinia e Daniele, miracoli della giovinezza,
non mostrarono alcun disappunto sin dall’ingresso sul prato. Dove si sedettero
continuando ad operare sul residuo di zucchero filato e schifezzuole gommose.
Feci buon viso a cattivo gioco, ma ho un ottimo spirito di adattamento e mi
impegnai, tranquillo per i figlioli che erano ormai bloccati da altre torme
assise ed agitate in uno spazio ristretto, ad osservare le fisionomie, le loro
smorfie, la loro prossemica del tutto simile a quella delle migliaia di giovani
che a mia memoria avevano seguito concerti delle più importanti formazioni pop
della mia gioventù. Erano belli di una bellezza che non riesci a cogliere in
altri ambienti, quelli scolastici o di lavoro, dove molto spesso hanno un
atteggiamento di straordinaria riservatezza. Lì i giovani si agitavano,
urlavano, bevevano bibite tassativamente analcoliche e si abbracciavano, si
baciavano in modo casto, abbandonando il classico pudore che li
contraddistingueva in ambienti ugualmente pubblici ma dove non c’era la musica,
che avvicina, accosta, facilita i contatti. Mi venivano in mente concerti degli
anni Settanta, i figli dei fiori, la ricerca dell’assoluto, il rincorrere le
utopie senza mai riconoscerle tali.
Sul palco intanto si alternavano ragazzi e ragazze gareggiando in una sorta di
Karaoke cinese ed allora compresi che l’agitazione esagerata aveva un obiettivo
molto pratico di sostegno ai vari concorrenti sia per la qualità sia per una
conoscenza diretta da parte dei vari gruppetti di amiche ed amici.
Mi distrasse un attimo l’arrivo di un funzionario del Partito che volle
salutarmi ed assicurarsi che nei giorni successivi io fossi a Prato. Volevano
programmare alcune iniziative culturali per l’autunno ma pensavano di vedersi
quasi a fine luglio. Dissi che non potevo ma che se fosse stato possibile avrei
dato la mia collaborazione sin dai primi giorni del mese di settembre, alla
ripresa del lavoro scolastico.
Ero stanco, ma allo stesso tempo attratto da
quella folla straordinariamente ordinata nella sua giovanile prorompente
allegria. E i due rampolli si erano sistemati e partecipavano con insolita
attenzione allo spettacolo naturale che si andava svolgendo. Poi,
all’improvviso tutto sembrò chetarsi. Anche io avevo trovato un lembo di prato
libero e mi ero accovacciato accanto a loro. E fu solo un attimo dopo che mi
ero sistemato che un “Ooooh!” collettivo accompagnò il primo fuoco che fiorì
proprio davanti a noi alle spalle del palco dal quale si erano esibiti i
karaokisti. Il botto che seguì di pochi millesimi di secondo non fu così
intenso, nessuno se ne accorse soprattutto perché nello stesso tempo una
pioggia di luci sembrò riversarsi su tutti. “Sembrò” con quell’effetto speciale
stroboscopico che provoca timore negli inesperti, ma non ve ne furono tanti a
rendersene conto. Gli stessi pargoli si erano distesi utilizzando come cuscini
alcuni sassi ricoperti dalle morbide giacchettine leggere che Mary mi aveva
dato prima di uscire, raccomandandomi di non far loro prendere freddo. Mi girai
intorno e mi accorsi che ero tra i pochi ad essere rimasto in piedi e così mi
feci fare un piccolo spazio, posi a terra la mia giacca e mi distesi con lo
sguardo all’in su verticale ma anche obliquo verso la parte alta del palco. E
non tardò dopo l’annuncio, l’apertura che dà il segnale di “attenzione”, a
riprendere la “tarantella” delle stelle e delle bombe di varia forma,
caratteristica e colore che illuminarono il prato dopo che per rendere migliore
l’effetto erano state spente molte delle luci che avevano accompagnato le
precedenti esibizioni canore.
Si susseguirono bombe a stelle e colpo scuro di
colore rosso e verde a quelle “granatine” e “a raggi”, a “cannelli”, a
“crociera di sfere” tutte mescolate con grande sapienza tecnica. E di poi nelle
variazioni a più “spacchi” con lancio di di “stelle” a colori diversi che si
dirigono in varie direzioni e sembrano quasi volerti abbracciare e colpire; ed
ancora con “paracadute” ed altre forme geometriche, colorate ed eleganti come
le bombe giapponesi di vario calibro. Tutto durò una buona mezzora anche se il
tempo sembrò molto più breve e veloce. Il finale fu epico, tambureggiante, come
ben si addice a professionisti di primo livello e con gli ultimi boati, quelli
sordi, che danno il senso della compiuta operazione pirotecnica, partì un
applauso sincero corrispondente alla felicità che era stata diffusa su quel
prato.
Tempo dieci minuti, un deserto: o quasi. I bambini
erano visibilmente stanchi, Daniele volle essere preso in braccio che non
reggeva più dal sonno, forse anche Lavinia se ci fosse stato un posto libero
tra le mie braccia ne avrebbe approfittato. Ma erano già occupate e da un peso
non indifferente. Ma tant’è: mi avviai al parcheggio lungo il vialone che era
ormai semideserto. Avevo anche il viaggio di poco più di cinquecento chilometri
sul groppone. Mi fiondai a casa, stanco morto. Mary non dormiva ancora; è
sempre così, non viene con noi ma è in pensiero finché non ci vede tornare.
Daniele continuò a dormire forse sognando ancora quelle luci incantate, e
Lavinia invece con toni bassi le andava descrivendo alla madre. Chissà per
quanto tempo ancora avranno ricordato quei “fuochi”; chissà in che modo ne
parleranno ai loro amici ed a quanti dopo di noi verranno; chissà se accadrà
mai che condivideranno con i loro figli queste esperienze.
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