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4. Post di fine anno – questo è del 2020

31 DICEMBRE – I REMEMBER – E, ALLORA, MI SI DICA COSA C’È DA FESTEGGIARE?!?

31 DICEMBRE 2020 ( rispetto al vecchio post aggiungo un riferimento a Leopardi – Operette morali )

https://it.wikisource.org/wiki/Operette_morali/Dialogo_di_un_venditore_d%27almanacchi_e_di_un_passeggere

I REMEMBER
E, allora, mi si dica cosa c’è da festeggiare?!?

A me sembrava strano. Avevo poco più di venti anni. Mezzo secolo fa. Un amico più anziano di noi quando arrivava il Natale e negli ultimi giorni, e ore, dell’anno, spariva rinchiudendosi nel suo “studio” a fare i conti, il resoconto dell’anno che si concludeva. Non un resoconto economico, come accade negli istituti bancari, ma un reset dell’anima. Non ne coglievamo il senso, anche perché in tutto il resto dell’anno riusciva ad illuminarci con le sue amene invenzioni, con il suo frenetico attivismo, con facezie ed arguzie inconsuete. Geniali.  Non so dove annotasse le tappe del suo lunario e non ci è dato di saperlo, visto che ci ha lasciato per sempre più di venti anni fa. Ma in alcune delle sue “produzioni”  si trovano alcuni indizi.

Sembrava strano, ma poi con la consapevolezza esistenziale nel corso del tempo ho avviato una personale revisione analitica della realtà che mi ha fatto comprendere come si possano contemperare aspetti contraddittori nel corso della propria vita. Occorre però avere ben presente che quel che noi chiamiamo Natale, al di là del riferimento alla tradizione “cristiana” è un giorno come l’altro inserito convenzionalmente in una data che è a sua volta introdotta in un complesso che noi chiamiamo “anno”. Ed è così anche per gli ultimi convenzionali giorni dell’anno ed il primo di quello che segue. Per alcuni tra noi la “vita” è una sequenza di giorni, e i giorni sono una sequenza di fasi imposte da movimenti ciclici naturali, esistenziali.

Ecco perché questa smania di “festa” è solo una consuetudine. Il Natale è dunque per me un giorno comune, nel quale non mi dispiace fare quello che quotidianamente faccio, nè più nè meno.

Non lo era del tutto quando avevo “venti anni o poco più”. Anche se, ad osservare quel tempo, mi sono accorto in età matura che già allora non avevo poi questo grande desiderio di fare “mucchio” in assembramenti informi, in luoghi fumosi e chiassosi. In realtà non condividevo quell’ansia di sommare solitudini collettivamente; mi accontentavo di molto meno, anche se nel corso dei giorni “da giovane” non ho mai smesso di “organizzare gruppi” e creare momenti di condivisione sociale. Ma non in momenti, per così dire, “canonici”, nei quali addirittura mi perdevo, smarrivo le mie certezze e diventavo un malinconico depresso.

Ecco dunque perché non condivido questa smania di festeggiare, e di scambiarsi doni, solo in prossimità di particolari “eventi” ciclici.

Si festeggi quando si vuole, non solo quando le convenzioni sociali quasi quasi sembrano imporcelo. E, tra l’altro, queste riflessioni potrebbero essere utilissime proprio in un tempo come questo nel quale gli impedimenti alla socializzazione “diffusa” sono necessari per un possibile futuro durante il quale potremo festeggiare come e quando, oltre che quanto, vogliamo.

E, poi, in una condizione come questa, dovremmo avere un pensiero in più verso chi ha ben poco da festeggiare: qualsiasi siano i motivi che li abbiano condotti a non poter gioire. Ho pensato, infatti, in queste ultime ore prima e dopo quel giorno convenzionale del “Natale”, alle persone care a me ed a tanti altri che hanno perduto amici e parenti, a coloro che hanno perso il lavoro ed il sostentamento che questo procurava alla loro famiglia; ed ho pensato anche ai tanti amministratori onesti che vorrebbero affrontare e risolvere i problemi sanitari ed economici e non sanno come poter portare avanti questo loro impegno.

E, allora, mi si dica cosa c’è da festeggiare?!?

2. Post di fine anno – questo è del 2018

PERCHE’ L’UNITA’ DELLE SINISTRE DEVE ESSERE “OLTRE” IL PD

IMMAGINE 30 DICEMBRE 2018 LASCIA UN COMMENTO MODIFICA

PERCHE’ L’UNITA’ DELLE SINISTRE deve essere “oltre” il PD

Nelle vicende storiche, in quelle personali o collettive di donne ed uomini normali, quel che avviene si spiega come conseguenza di altre vicende che si sono verificate e snodate nel corso del tempo. Quel che accade non è il frutto di una casualità né l’espressione di un capriccio individuale che può coincidere con scelte di singoli e di gruppi in modo indistinto.
Anche per questo motivo la scelta di costruire un nuovo soggetto di Sinistra che coinvolga le Sinistre è per tante e tanti la conclusione di un percorso di ricerca meditato a lungo e che ha a che fare con la consapevolezza che non vi sia altra scelta nella rappresentanza di quelle che sono le principali urgenze da affrontare relative ai bisogni in primo luogo davvero primari della stragrande maggioranza della popolazione. Indubbiamente la principale forza che si avvale solo in parte di un retaggio antico di Sinistra ha vissuto progressivamente un degrado culturale e politico che l’ha allontanata dai valori fondamentali avvicinandola sempre più ad un neocentrismo depositario di valori capitalistici più consoni alle Destre, ancorché illuminate democratiche e liberali.
Le scelte politiche del Partito Democratico sono dunque state forgiate dagli interessi dei gruppi finanziari e imprenditoriali. Quel Partito si è così allontanato dal mondo che lo aveva sorretto, preferendo acquisire meriti da parte di una leadership arrogante insensibile ed aggressiva nei confronti delle richieste dei più deboli.
La crisi attuale di quel Partito è tutta inscritta in quel quadro che molto sinteticamente ho qui sopra delineato. Di fronte alla crisi solitamente si risponde con una presa di coscienza oppure con un’alzata di spalle. Il Partito Democratico, la sua dirigenza “in toto” con minime prese di distanza, ha scelto il secondo atteggiamento. Ancor di più, ancor peggio, questo Partito ha riconosciuto gli addebiti ma non ha proposto le soluzioni; ancor più, ancor peggio, i maggiori responsabili di queste “storie” sono stati riconfermati nei loro ruoli e, quando può apparir bene, dirigono nell’ombra i fili dell’agire politico sia sui territori che a livello nazionale. Per capirci, Renzi è solo apparentemente “dietro le quinte”: c’è, è lì, ma ancora dirige i fili dei suoi burattini. La stessa cosa accade nelle realtà periferiche.
Quel che ho scritto è un semplice preambolo: sintetico quanto basta. Voglio infatti rispondere a compagne e compagni che avvertono il rischio di nuove divisioni e potrebbero essere disponibili ad un ultimo appello all’unità da parte del PD, semmai accompagnato da una sorta di anatema verso coloro che vadano lavorando per un’altra forma di UNITA’, scaricando su di loro l’eventuale probabile inevitabile debacle a favore della Destra. Spero non si lascino incantare: sono sempre gli stessi, non hanno riconosciuto gli errori e quando hanno accennato a farlo non hanno poi dato seguito a quell’atto. Continueranno a dire: “Compagni, non è il momento!” rispondendo alla vostra richiesta di una revisione; e vi prenderanno per la gola.
Qualcuno “sembra” esserci cascato in quella trappola; ma non è così. Vecchie volpi, “pesce ‘e cannuccia”, creduloni dalla bocca buona ed in perenne attesa di un riconoscimento. Loro, questi ultimi, diranno che sono alternativi: pura ipocrisia d’accatto.

Joshua Madalon

19 dicembre – LE STORIE parte 15 – LE STORIE 2008/2009 e 2013/2014

Un sostegno nelle stesse ore di quel gennaio 2009 – la data della mail è il 29 – venne da una cittadina molto impegnata in Politica e nel Sociale

Sono naturalmente d’accordo con Francesco e con Giuseppe; voglio aggiungere che il sano volontariato non è mai messo in mostra come a richiedere un plauso che non può esserci perchè se così non fosse sarebbe non più volontariato ma ricerca esibita del consenso. non voglio aggiungere altro a questa vicenda a questo intervento di plauso ad uno dei candidati messo in contrapposizione all’altro in modo veramente banale. registro invece un atteggiamento scorretto e non banale da parte della segretaria del “nostro” partito il partito di tutti noi quando si siede in prima fila a sostenere uno dei candidati alle primarie; mi era sembrato chiaro all’ultima assemblea che si chiedeva alla segretaria ed alla segreteria tutta di tenere un doveroso atteggiamento super partes, anche se sapevamo tutti che se anche si fosse rispettato tale atteggiamento, esso sarebbe stato puramente formale; invece si è preferito non adottarlo neppure in modo formale …. e la commissione di garanzia di 35 membri che fine ha fatto? che regole di garanzia si sono dati? io propongo di inoltrare reclamo formale a questa commissione ed eventualmente discutere se sia il caso di dare alcune riflessioni alla stampa proprio su questo palese atto di partigianeria della segretaria verso un candidato. Ciao a tutti, T.

In quello stesso giorno feci circolare una mia riflessione:

Scrivo a proposito degli anonimi che ieri sono intervenuti sul blog di Pratonord a difesa (sembra così) di uno dei candidati PD alle Primarie del 15 febbraio p.v.. Intanto non trovo offensivo il commento di F. B. il quale ha soltanto rilevata la grande capacità del suddetto candidato nel ricoprire da anni ormai incarichi politici ed amministrativi (quale sia la sua attività prevalente, quella che consentirebbe a ciascuno di noi di essere autonomi ed indipendenti una volta finito il percorso politico-amministrativo, non è dato di saperlo) in modo ininterrotto (F.B. lo ha detto forse con un po’ di ironia, ma non è offensivo collegare la capacità di “fare le pizze” con le “mani in pasta”): ci si innervosisce troppo facilmente tirando con troppa superficialità fuori anche l’unità del Partito, come se la responsabilità del momento critico fosse sul groppone di coloro che non hanno avuto in questi ultimi anni alcun incarico di Partito tanto rilevante da poter essere riconosciuti come Dirigenti. Tuttavia rilevo due elementi che invece giudico molto gravi: il primo è che non si deve trascendere in modo offensivo e certi epiteti utilizzati non sono assolutamente accettabili; il secondo è che a riflessione (sulla quale si può legittimamente non concordare) firmata non si può contrapporre l’anonimato. Quest’ultimo elemento – che caratterizza tutti gli interventi “contro” – è molto più pericoloso per l’unità e l’integrità del Partito rispetto a quanto esposto – lo ripeto – da F. B..

Giuseppe Maddaluno

16 dicembre – L’asocialità dei ribelli NO VAX intero con preambolo

L’asocialità dei ribelli NO VAX

Preambolo – Mentre mi accingevo a scrivere queste riflessioni un noto rappresentante della categoria No Vax locale, ritenendomi forse responsabile di un suo temporaneo allontanamento dalla platea social Facebook, ha utilizzato toni offensivi e virulenti nei miei confronti, mettendo in evidenza la sua limitatezza. Pur essendo io convinto che non sia possibile dialogare in modo civile con chi ritiene di essere in possesso della Verità (senza avere peraltro cognizioni di tipo scientifico né professionali né empiriche) non ho mai messo da parte il dubbio (anche in queste umili chiacchiere lo evidenzio) e non mi sogno affatto di ergermi a esperto della materia. Rimango dell’idea che il vaccinarsi sia un atto di civiltà altruistica e quindi giudico “ASOCIALE” chi . non essendo limitato da problemi sanitari, rifiuta pervicacemente di vaccinarsi.

La stragrande maggioranza del Paese contribuisce in quota parte alle funzioni vitali dello Stato, soprattutto in quei settori sociali, come la Sanità e l’Istruzione. Ciascuno contribuisce volentieri, riconoscendo che lo Stato adopererà quei contributi in modo saggio ed equo. Nella Sanità, ad esempio, vengono ad essere riconosciute le necessarie cure, sostenendo le spese non solo in parte ma molto spesso “in toto”, soprattutto per chi ha più bisogno. La Sanità italiana è da sempre un modello democratico riconosciuto per il suo valore a livello internazionale.

Negli ultimi anni – come è peraltro accaduto in altre parti del mondo – il settore sociosanitario ha dovuto subire forti contraccolpi, non riuscendo in molte occasioni e per lunghi periodi a corrispondere alle necessità di una popolazione sempre più anziana e dunque bisognevole naturalmente di cure. A soffrirne sono stati tutti coloro che avrebbero dovuto avere cure mediche, anche e soprattutto di degenza ospedaliera o di interventi diagnostici e curativi, che nel corso degli eventi, ed in particolare quelli collegati alla pandemia, sono stati costretti a farne a meno, proprio allo scopo di far fronte ai più urgenti bisogni collegati al dilagare del virus Covid19.

Nella prima fase di essa, quella per intenderci del 2020, febbraio/marzo fino a tutto maggio, quella fase del “lockdown” più duro, quando tutto il mondo produttivo non di prima necessità era ingessato, la comunità ha mantenuto un contegno pregevole, largamente apprezzato ed osannato forse oltre misura, con una retorica quasi nazionalistica. Nondimeno vi è stato chi non ha mancato di avanzare distinguo, troppe volte pericolosamente improponibili, ma che si alzavano a difesa di interessi assai parziali, anche se – all’interno di quella parzialità – certamente importanti. Mi riferisco – solo per fare uno dei tanti possibili esempi – alla pretesa di “riaprire tutto” spesso ventilata e minacciata a dispetto dei dati reali, che rappresentavano un vero e proprio rischio per la Salute pubblica. Il nostro popolo, così eroico, ha tuttavia un brutto difetto: dimentica! Altrimenti ricorderebbe come quella Destra, che pur avanzava nel Paese, proponeva soluzioni perniciose, semplicemente per raccattare consensi da quella parte di società che si sentiva meno protetta.

Poi gli scienziati, che pur avevano avuto un ruolo di sostegno nel fornire soluzioni di tipo sociale, sono riusciti a produrre una serie di vaccini e li hanno rapidamente testati, vista l’emergenza. Dal marzo di quest’anno è stata avviata la campagna di vaccinazione. A questo punto sono sorti nuovi problemi, ben diversi da quelli sinteticamente trattati prima. Si è diffusa, accanto ad una, purtroppo molto timida, campagna di sostegno, una dura e aggressiva controcampagna di discredito della validità dei vaccini, della loro pericolosità, arrivando perfino alla negazione della stessa esistenza del Covid. Allo stesso tempo, coloro che non intendevano accedere alla campagna di vaccinazione, si rifiutavano surrettiziamente di considerare la possibilità di poter accedere a varie forme di socialità, ivi compreso il luogo di lavoro, attraverso lo strumento del Green Pass, necessaria attestazione della vaccinazione, o di una

Mi sono ritrovato in varie occasioni a dibattere sui social con qualcuno tra quegli irriducibili, soprattutto quelli che in passato, anche non molto lontano, erano stati compagni di percorsi culturali e politici comuni. Non è mai stato semplice, soprattutto perché l’irriducibile non comprende altra ragione se non la propria e di frequente, non solo ritiene, sanziona come insulsa e non degna di essere presa in considerazione quella degli altri, diversa. Ho avanzato critiche composte ma severe verso coloro i quali concionavano sui social e sui media intorno alle modalità di “ascolto” da riservare a chi si contrappone ai metodi scientifici.
Considero un “parlar tra sordi”  quello che dovrebbe avvenire tra chi ha fiducia nella “scienza” e chi per ragioni che travalicano qualsiasi parvenza di ragionevolezza contrappone un rifiuto irrazionale alle proposte scientifiche. Questi ultimi si avvalgono di dati che non hanno alcun valore, se non quello loro assegnato da impostori del mondo scientifico e da mestatori parapolitici che vorrebbero approfittare di questo torbidume.


Ci sono dei “momenti” in cui occorre mettere da parte convinzioni individuali e saper essere meno egoisti. Coloro che si oppongono alla vaccinazione rilevano a riprova delle loro ragioni il fatto che anche chi è vaccinato può contagiarsi e contagiare, ma non sono disponibili a riconoscere che nel primo caso sono abbastanza protetti dalle conseguenze nefaste e che nel secondo (il contagiare altri) diventano un vero e proprio pericolo solo ed esclusivamente per i “non vaccinati” imprudenti. Questi ultimi finiscono quasi sempre tra le terapie intensive e quelle intermedie, ma sempre in ospedale, dove vanno ad occupare, garantiti dalla gratuità delle cure mediche, posti che potrebbero invece essere riservati a tutti quelli che per i motivi più vari, diversi da quelli collegati alla pandemia, hanno urgente bisogno di cure, e rischiano di incorrere in gravi, gravissime e letali, conseguenze. Nel corso dei mesi in cui gli ospedali scoppiavano per l’alto numero di degenti, costretti peraltro ad essere lontani dai propri cari (lo ricorderete molto bene tutti; lo dovrebbero stampare in fotocopia permanente nella mente dei NO VAX), il pensiero delle persone assennate, anche con quel desiderio di vivere egoistico, andava proprio a quelle evenienze (mi andavo dicendo: e se in questi mesi qualcuno di noi si sente male: che dire? Un ictus, un infarto, un’ernia strozzata…. come la mettiamo?). Ma i NO VAX non ci pensano, loro sono superiori a tutto, tranne che, quando capita a loro di capire di aver contratto il Covid, ti vengono anche a dire che “non è niente! Sono stata in ospedale per 26 giorni e ho letto molti libri” oppure altri, come ho sentito dire da qualcuno di questi nuovi insoliti eroi “di cartone”, si pentono e scoppiano in lacrime. Ora, diciamoci la verità, costoro non meritano compassione; ma forse cure psichiatriche e dovrebbero essere costretti, laddove bisognosi di cure (solo, però, quelle collegate alla pandemìa) a pagarsi per intero i costi della degenza, che – ad occhio e croce – assommano, nelle terapie intensive, a 1500 euro al giorno e per quella “vacanza” di 26 giorni arriverebbero a circa 39000 euro: si potrebbe fare uno sconto del 10% come segno di solidarietà e….compartecipazione.

L’ asocialita del no vax per scelta è un elemento oggettivo. Coloro che sono la maggioranza della popolazione italiana che hanno deciso di aderire alla campagna di vaccinazione anti Covid19 sono ben consapevoli dei rischi che si corrono assumendo prodotti chimici medicali testati in modo necessariamente affrettato sospinti dall’urgenza di dover sopperire il più rapidamente possibile alla crisi emergenziale pandemica. Ben conoscono attraverso la lettura dei bugiardini di qualsiasi altro farmaco quelle che sono le avvertenze sui rischi che, assumendone anche una dose minima, si possono correre. Non aver compreso che in questo momento occorreva uno sforzo di altruismo, pur corroborato da motivazioni egoistiche, volte all’esigenza primaria di evitare il più possibile il rischio più grave per le conseguenze nefaste del contagio, è molto deplorevole. Peraltro poco alla volta il numero degli intransigenti si riduce, non solo per gli impedimenti cui si è costretti dal super Green Pass ma soprattutto per le serie conseguenze ospedaliere cui sempre più spesso si va incontro. E davvero poco importa che questo possa accadere ad una quota sempre più ridotta di vaccinati. In tutto questo tempo, da parte di alcuni No vax si continua una campagna offensiva che sta procurando un altro più serio danno alla società civile. Ed è un’offesa all’intelligenza umana, che ha da sempre puntato la sua attenzione sul dubbio, attraverso l’esperienza allo scopo di migliorare le proprie condizioni.

Checchè ne dicano gli antieroi del nostro tempo, questi sicofanti simulatori abituati ad invertire le responsabilità e le accuse come il lupo fa con l’agnello nelle favole classiche, non sono molto diversi, costoro, da quelli che processarono Galilei e portarono al rogo tanti altri, in nome di una verità assoluta precaria e fasulla. In questo caso, l’opera dei Novax è criminale, in quanto laddove le attuali maggioranze fossero invertite a favore de resistenti al vaccino, ci troveremmo di fronte a problemi ben più gravi e insormontabili.

….fine….di questo titolo (!)

12 dicembre – I CONTI NON TORNA(VA)NO – parte 33 (per la parte 32 vedi 25 novembre)

Tutti gli “appelli” sono datati 21 dicembre 1998. Cominciamo come detto in coda alla parte 32 con il documento del Dagomari.

Agli operai della Provincia di Prato

Gli studenti del Dagomari e il personale docente si rivolgono a Voi in quanto parte rilevante e indispensabile della popolazione pratese. Richiamiamo la Vostra attenzione su un problema che stiamo affrontando in questi giorni. Come forse sapete nella Provincia di Prato è in atto un ridimensionamento delle scuole medie superiori come prevede la legge sull’autonomia scolastica.

(Nota: il DPR 233 del 18 giugno 1998 che all’art.2 comma 2 recita “Ai fini indicati al comma 1, per acquisire o mantenere la personalità giuridica gli istituti di istruzione devono avere, di norma, una popolazione, consolidata e prevedibilmente stabile almeno per un quinquennio, compresa tra 500 e 900 alunni; tali indici sono assunti come termini di riferimento per assicurare l’ottimale impiego delle risorse professionali e strumentali. “)

Senza alcun motivo è stato coinvolto il nostro istituto provocando in noi stupore e disorientamento in quanto il DAGOMARI RIENTRA OTTIMAMENTE NEI PARAMETRI DELLA LEGGE SUDDETTA. L’obiettivo della provincia, in particolare dell’Assessore della Pubblica Istruzione Sig.ra Gerardina Cardillo, é quello di creare un polo tecnico nella zona di San Giusto, dove attualmente sono situati l’ITC “KEYNES, l’IPSCT “DATINI” e l’ITG “GRAMSCI”, cui si aggiungerebbe il nostro Istituto. Un secondo polo dovrebbe nascere nel centro di Prato, costituito da alcuni Licei, fra i quali il Copernico che dovrebbe diventare il futuro “inquilino” della nostra attuale sede. A noi pare che il polo tecnico tanto lodato dall’Assessore, dal Provveditore, e dal preside del “Gramsci” risulterebbe una “ghettizzazione” della formazione degli istituti tecnici commerciali e professionali a Prato. In noi studenti è nato il sospetto che dietro a questa manovra ci siano delle forti pressioni politiche ed interessi personali. Visto che la questione è diventata politica e non più soltanto scolastica, ci siamo rivolti al nostro Comune per avere un valido e determinante sostegno per impedire che la nostra scuola sia trasferita. Le nostre richieste sono dettate da motivazioni oggettive: il nostro Istituto, infatti, è situato in una zona strategica di Prato e raccoglie un bacino di utenza molto vasto (Carmignano, Poggio a Caiano, Vaiana, Vernio, Sesto Fiorentino, Calenzano, Campi Bisenzio, Signa, Montemurlo, Pistoia, Cantagallo ed un gruppo molto numeroso di studenti proviene dal Mugello), questo perché il Dagomari, tra le sue offerte formative, offre un triennio IGEA e un indirizzo MERCURIO unico nelle Province di Prato e Pistoia. Lo spostamento della nostra scuola a San Giusto, oltre a rendere assai disagevole l’accesso da parte degli studenti che abitano in zone lontane dalla città, ridurrebbe la qualità dell’offerta formativa in quanto le strutture che ci ospiterebbero sono assolutamente insufficienti. Ciò vanificherebbe il criterio privilegiato dall’assessore nell’attivare il piano di ridimensionamento. Tutto questo non è in contraddizione con una scuola come il Dagomari che si è data, giustamente, prospettive europee? A noi pare lo sia. Non vogliamo pensare che si facciano distinzioni classiste fra scuole di serie A (licei) e serie B (istituti tecnici). Noi non abbiamo niente contro gli studenti del Copernico, ma non per questo dobbiamo rinunciare al nostro Dagomari che a Prato, e non solo, può vantare una storia ultra decennale (quasi 40 anni di piena attività). Confidiamo nel Vostro aiuto e nel Vostro appoggio. Distinti saluti dagli studenti e i docenti dell’ITC Paolo Dagomari

11 dicembre – IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI – parte 19

IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINIParte 19

continua l’intervento del prof. Antonio Tricomi

Una mia notaVoglio ancora una volta ricordare che vado riportando il dibattito che si svolse il 27 aprile del 2006 così come riportato dai trascrittori che sbobinarono le registrazioni. Ecco quindi perché a volte ci sono degli errori o comunque delle incertezze.

Il Pasolini della trilogia della (parola non comprensibile) è un Pasolini che, ed è verissimo non c’è nulla da dire su questo, però per la prima volta ha un successo chiaramente commerciale. Quei tre film fanno Pasolini quasi in senso proprio ricco. Pensate non un Pasolini miliardario, ma un Pasolini in qualche modo ricco.

 Pasolini lo sa, Pasolini poi abiurerà da quei film, ma queste due cose per dire non è che Pasolini è una specie di santo che schiva ogni possibilità di compromesso con l’industria culturale, però anche qui è Pasolini stesso a dirci come si atteggia verso il potere, scusate la definizione banale. C’è un verso in cui Pasolini, parlando d’altro, parla della possibilità di crescere nei tessuti di un organismo come il cancro. La scommessa dinamitarda di Pasolini è proprio quello di crescere, considerare di crescere nei tessuti del potere come un cancro sì da far morire il potere morendo insieme a lui.

Insomma non va rappresentato un Pasolini estraneo, esterno al potere, posizione di totale alterità rispetto all’industria culturale e da quel luogo di totale innocenza un Pasolini che parte all’attacco. Pasolini stesso si autorappresenta e c’è lì Petrolio, perciò non lo sto dicendo io, come un autore che accetta in qualche modo la forma minima di compromesso con l’industria culturale per poter avere una chance ulteriore solo di chi (parola non comprensibile) cosa relativa, ma di parola che possa in qualche modo incidere come progetto alternativo a quell’oggetto. Quindi un Pasolini in qualche modo che cerca di essere il cancro che possa disgregare il potere, ma da dentro. Quindi non un Pasolini innocente, un Pasolini che come gioca una partita sadomasochistica con la letteratura, così gioca una partita sadomasochistica con il potere. Ed in questo senso anche qui quando si parla della morte di Pasolini visto che all’inizio di questa giornata si è fatto riferimento ai programmi di Lucarelli, francamente ha poco senso ed è poco interessante chiedersi per l’ennesima volta come sia morto Pasolini. Chi crede davvero che Pasolini sia stato ucciso Perché aveva scoperto chissà cosa sul caso Mattei, o Perché Petrolio conteneva chissà cosa, credo che sia fuori strada. Negli anni ’70 Sciascia contro il potere forse dice cose anche più violente di quelle di Pasolini, non lo vanno ad ammazzare. Pasolini non aveva nessuna particolare carta segreta sull’ENI o su Mattei, aveva quei materiali che poi vediamo stipati in Petrolio e che sono materiali che l’intelligenza di Sinistra di quegli anni conosce, in particolare un libro che si intitola questo (parole non comprensibili)…Però ancora una volta l’atteggiamento di chi ha bisogno di credere Pasolini ucciso dal potere è l’atteggiamento di chi oggi dice qualcosa della nostra condizione intellettuale. In qualche modo siccome ci sappiamo o ci sanno non capaci di creare questa critica e il contrasto, la necessità di costruirci santini è qualcosa che dice molto della pochezza dell’oggi e che però è forviante rispetto al passato Perché la morte di Pasolini è stata certamente una morte politica, ma una morte politica nel senso che da subito Volponi e Sartr sul Corriere della Sera e su l’Unità spiegano, non nel senso che Pasolini viene ucciso dal potere con la “P” maiuscola, ma nel senso che l’omosessuale, comunista che fa dichiarazioni di voto per il PCI pur militando ad un certo punto con i radicali, che si permette di fare il moralizzatore ecc, ecc, nel contesto della Roma degli anni settanta, una Roma descritta molto bene da Parise ne “L’odore del sangue” percorsa da onde di neofascisti e non solo da loro, questo Pasolini viene idealmente ucciso da una intera comunità di individui che sono la comunità degli individui dell’Italia degli anni settanta, una comunità che più o meno è quella che conosciamo. Quindi, un giudizio politico addirittura in senso etimologico non nel senso di una morte commissionata dall’alto. Appunto la morte di chi sadomasochisticamente aveva lottato tanto contro la letteratura quanto contro l’Italia degli anni prima quaranta, poi cinquanta, poi sessanta infine settanta. Grazie. >>

una riproposizione di post (un anno fa)

Globalism word cloud concept on grey background

“Un blog non può neanche lontanamente risolvere i problemi ma può denunciarli annunciarli ed avviare una ricognizione, suscitando attenzione e dibattito”

RI-PARTIRE (appunti per una ri-partenza) parte 1

Fra le conseguenze negative della globalizzazione dei “mercati” e delle persone vi è stato di certo in contemporanea un degrado del livello di alfabetizzazione e di preparazione professionale, di acculturamento parallelo rispetto alle trasformazioni economiche e sociali che il mondo, soprattutto quello finanziario globale, stava subendo. A Prato l’imprenditoria piccola e media (ma in qualche caso anche quella medio-grande) non era stata costruita su una solida preparazione culturale ma piuttosto su una “praticità” istintiva che pure aveva prodotto eccellenze, destinate tuttavia a non reggere il passo sia per il susseguirsi di generazioni non sempre ben disposte ad una vita fatta soprattutto di sacrifici sia per il sopraggiungere di tecnologie innovative e mutamenti epocali nelle abitudini e nei consumi. Di fronte al tempo che scorre il mondo cambia e noi non sempre ce ne rendiamo conto.
La crisi del “tessile” a Prato è stata più volte annunciata ma poi in più occasioni con formule provvisorie è stata considerata come superata; ma non si è voluto riconoscere che il problema più importante era di tipo “culturale”, intendendo con questo termine la capacità complessiva di conoscere le trasformazioni ampie in atto. Ed è anche per questo che non si è percepita, forse non si è voluto, forse non si è riusciti a, percepire la cosiddetta “invasione” cinese nei suoi connotati “positivi”. Questa sottovalutazione dal punto di vista “politico” è stata “generale”, con qualche limitata eccezione, generando sia una forma di accoglienza umanitaria di tipo “cristiano” sia – dall’altra parte – un rifiuto categorico di stampo razzistico con in mezzo un atteggiamento ambiguo del tipo “non sono razzista, ma….” che si collocava in ogni caso in un’area culturalmente e socialmente assai modesta.
Se non si comprende questo punto di partenza non si è in grado di fornire alcuna soluzione al fenomeno che da un paio di decenni sta travagliando la società pratese e mettendo in crisi profonda la parte imprenditoriale “tessile”, non di certo quella immobiliarista, né quella commerciale che, grazie alla comunità cinese, ha visto, se non elevare, reggere i propri guadagni: se il mercato immobiliare è crollato meno che altrove lo si deve alla presenza straniera; se alcuni supermercati (vedi la PAM di via Pistoiese) reggono è per lo stesso motivo; se alcune concessionarie non hanno chiuso i battenti è perché hanno i migliori clienti fra la comunità cinese. Ad ogni modo il ”degrado” del territorio è direttamente collegato al degrado che la società “pratese” (quella fatta da “pratesi” doc o non doc poco importa) ha evidenziato negli ultimi venti\trenta anni e di ciò è indubbiamente colpevole la classe politica così come quella imprenditoriale e così anche l’intellighentia che non ha saputo interpretare i mutamenti e, laddove li ha riscontrati, poco ha fatto per divulgarli e chiedere alle diverse istituzioni azioni precise e decise per affrontarne le conseguenze.

…1…

RI-PARTIRE (appunti per una ri-partenza) parte 2 e finale

“Un blog non può neanche lontanamente risolvere i problemi ma può denunciarli annunciarli ed avviare una ricognizione, suscitando attenzione e dibattito”

Ognuno ha pensato a rincorrere i propri vantaggi, le proprie rendite di posizione: politici, imprenditori, intellettuali, quelli che avrebbero potuto e non hanno agito, tanti di quelli che oggi ancora sopravvivono a se stessi, complice il vento di rinnovamento ipocrita che sta investendo la nostra società. Non sarà facile modificare quello che oggi vediamo, per cui ne traggono vantaggio “politico” – in netta e chiara malafede – coloro che spingono a scelte estreme come i blitz hollywoodiani con grande utilizzo di mezzi e di uomini, coloro che urlano in modo insensato che “devono andare tutti via” o che “ci hanno portato e ci portano via il lavoro”, coloro che parlano più alla pancia che alle menti. Ed allora mi vengono in mente due film particolarmente significativi anche se non si tratta di “capolavori”; il primo è già chiaro dal titolo: “Un giorno senza messicani”. Eh già, meno male che si tratta di un solo “giorno”, anche perché i poveri americani non ne saprebbero fare a meno, visto che i messicani svolgono in quella città al confine fra gli States ed il Messico lavori molto umili ma altrettanto utili; eppure di questi messicani si dicono le cose peggiori fin quando non ci si rende conto della loro “utilità” fino ad allora mai riconosciuta. L’altro film è “La macchina ammazzacattivi” (1959) di Roberto Rossellini, una sorta di “favola dark nostrana” e lo utilizzo semplicemente per suggerire un sistema risolutivo per eliminare tutti quelli che non ci piacciono, quelli che anche temporaneamente ci disturbano, che sono colpevoli di qualcosa che non riusciamo nemmeno a spiegarci: lo hanno fatto anche in passato, ad esempio, con gli Ebrei, con i disabili, con i rom, con gli omosessuali, con gli oppositori. Che dite? Ci si vuole provare ancora una volta? Forse una sparizione “temporanea” – ma non di un solo giorno – potrebbe servire a togliere il velo che copre il preesistente “degrado” di cui non si vuole essere consapevoli per non assumersene in quota parte le profonde e fondamentali responsabilità.
Noi non pensiamo tuttavia di poter proporre soluzioni ma non vogliamo rinunciare a leggere, studiare, approfondire la realtà che ci circonda sapendo anche che lo facciamo in modo parziale e gravato da forme di ideologismi che si sono andati accumulando nel tempo e che difficilmente potremmo superare senza un “reset” impossibile per ora nel cervello umano. Ad ogni modo è del tutto evidente che il nostro Paese, e con esso la città di cui abbiamo parlato, evidenzia un’arretratezza “culturale” che la sua Storia non merita, anche se tale “gap” è inscritto nella sua Storia. Ne sono prove certe le difficoltà del settore dell’istruzione che ormai non forma più adeguati “quadri” dirigenti e professionisti: i migliori studenti, al termine del loro percorso formativo, frustrati da una costante sottovalutazione del “merito” e da una sopravvalutazione di ben altre doti non sempre significative dal punto di vista delle relative competenze, trovano il loro spazio vitale in altri Paesi, dai quali difficilmente tornano: è questo da anni il vero drammatico “spread” che inficia l’ingente impiego di risorse a fondo perduto. I dati sono di un’evidenza assoluta anche per il settore del Turismo nel quale il nostro Paese potrebbe eccellere, “dovrebbe” eccellere. Ne parleremo ancora in uno dei prossimi interventi.

Giuseppe Maddaluno

IL DOMINO LETTERARIO nuova edizione 2021-22 – secondo incontro

IL DOMINO LETTERARIO nuova edizione 2021-22 – secondo incontro: Alberto Di Matteo e il suo “Racconti del mondo rotto” giovedì 9 dicembre ore 21.00 al Circolo ARCI di via Cilea 3 San Paolo PRATO

Nel primo incontro abbiamo amabilmente sviscerato il mondo poetico, e letterario in tutte le sue sfaccettature, di Lorenzo Monticelli con la raccolta “Corpo a Corpo”. Come di consueto (è questa la “ratio” de IL DOMINO) è stato lo stesso Monticelli a designare il successivo autore, che a dire il vero era già presente ed è stato coprotagonista della serata.

L’autore è dunque Alberto Di Matteo. Quella che segue è la prefazione
di Massimo Acciai Baggiani ai suoi “RACCONTI DEL MONDO ROTTO” Porto Seguro Editore 2020

Diciotto racconti piuttosto eterogenei, surreali, sor­prendenti, che toccano vari temi di attualità. Racconti che pongono domande, stimolano la riflessione: Di Matteo riunisce in questo volume testi brevi e bre­vissimi, accomunati – come dichiara lo stesso autore – dalla fuga dalla noia e dall’impossibilità di reggere a lungo la pazienza. Da autore di genere fantastico, quale sono, ho apprezzato molto l’inventiva di queste storie; da lettore e da editor lo stile fluido e immedia­to, “teatrale” (non a caso l’autore è attore professioni­sta) che pure lascia molti sottintesi.

Le vicende e i personaggi si muovono “ai confini della realtà” (per citare una nota serie americana degli anni Sessanta) ma anche in situazioni assolutamente quotidiane, in piccoli borghi di provincia: una scul­tura che un artista misterioso ricava da un albero (Un fiore nel deserto), un uomo vede attorno a sé tutte per­sone col solito volto bovino (Tutti uguali), un sogno che coinvolge molte persone (Siamo ancora qui), una passeggiata di un bambino con la mamma (Ricordo di  bimbo), un uomo che ricorda la vita del padre moren­te (Pompeo)… solo per citare i primi racconti. Si parla anche di immigrazione, di calcio, di proteste studen­tesche, e molto altro.

I racconti che mi hanno colpito di più sono Lo scrit­tore e la Divina, dove si traccia un affascinante ritratto di chi, come me e Di Matteo, pratica questo affascinan­te “mestiere”, e l’inquietante Diario di un assessore, in cui il non proprio onesto protagonista scopre di aver perso la propria ombra e deve cercare di nasconde­re questo bizzarro e increscioso accidente, per evitare uno scandalo. Molto interessante anche Lettera a Pape Samba, in cui le usanze degli italiani sono osservate dal punto di vista straniante di un immigrato (mi fa pensare a quel delizioso libretto del 1920 di Tuiavii di Tiavea, in realtà un falso letterario di Erich Scheur­mann, Papalagi) mentre l’ultimo racconto, A pezzi, mi porta alla mente una vecchia canzone di Gaber del 1973, Quello che perde i pezzi. Tante le suggestioni, i richiami, gli ammiccamenti alla letteratura. L’autore conosce bene la materia che tratta, come si evince dal suo curriculum; le sue ambientazioni sono convincen­ti e la lettura molto gradevole.

Massimo Acciai Baggiani

IL DOMINO LETTERARIO edizione 2021/22 – dopo il primo incontro del 2 dicembre 2021 (verso il secondo)

IL DOMINO LETTERARIO edizione 2021/22 – dopo il primo incontro del 2 dicembre 2021 (verso il secondo)

Ieri sera al Circolo ARCI di via Cilea abbiamo dato il via alla nuova Edizione del “Domino letterario”.

Quest’anno sarà un nuovo soggetto ad occuparsi di questi eventi. Si è formato una nuova Associazione culturale; fondata da un gruppo di cittadine e cittadini della frazione San Paolo di Prato, “IDEE in Circolo” si propone di riavvivare il dibattito culturale e politico (quest’ultimo in senso molto ampio, molto al di là delle formazioni partitiche sempre più in crisi, soprattutto nelle realtà periferiche) nei territori emarginati.

Di “IDEE in Circolo” si è già parlato su questo Blog. Del “DOMINO LETTERARIO” anche: e quindi andiamo avanti.

Ieri sera non eravamo in molti al Circolo ma la serata ha raggiunto livelli molto alti, contando su due protagonisti, Lorenzo Monticelli e Alberto Di Matteo, due artisti prima che docente il primo e autore di testi teatrali il secondo.

Ho introdotto esplicando ai pochi presenti il significato de “IL DOMINO” e il progetto, a larghe linee, dell’Associazione “IDEE in Circolo”.

Ho annunciata la 13a edizione di “POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE” poesie di donne e per donne, che si svolgerà nel prossimo mese di marzo. Il Bando ( non si tratta, e le esperte e gli esperti lo sanno bene, di un concorso; ma di una compartecipazione) verrà presentato alla Stampa tra un paio di settimane: saranno indicate le modalità con cui i materiali verranno raccolti e gli aspetti “compartecipativi” delle/degli aderenti.

Nel presentare Lorenzo Monticelli ho spiegato i motivi della “mia” scelta: il primo autore viene invitato dall’organizzatore che sceglierà il secondo e via via via andando avanti. Con Lorenzo ho sin dai primi incontri, dopo il mio arrivo in Toscana, un particolare feeling culturale, collegato a tre elementi: la Scuola, il Teatro e il Cinema. Nel 1987 e nel 1988 abbiamo insieme partecipato con ruoli abbastanza diversi ad esperienze culturali significative nel settore del Film Making amatoriale.

Durante la prima fase della pandemia, quella più dura ma anche più ricca di stimoli, ho letto il suo “Sotto il pollaio”, una forma di ricostruzione della sua esperienza rivisitata e rielaborata in modo ironico, amaro e divertente al contempo. E mi sono riproposto di invitarlo proprio ad aprire con quel suo scritto questa nuova Edizione. Leggendo quei capitoli avevo sorriso, in modo malinconico, ricordando alcune caratteristiche del Lorenzo del secolo scorso.

Il tempo però è trascorso e quando stavamo per riemergere dalla pandemia, Lorenzo era già andato oltre e aveva pubblicato un libro di poesie, “Corpo a corpo”. Al mio invito a presentare il testo in prosa ha infatti frapposto un rifiuto, ma era interessato e disponibile a presentare i suoi versi.

Ho provveduto a ordinare il suo libro e non appena l’ho ricevuto ho intanto compreso il senso del titolo. Con i versi egli ingaggia un vero e proprio conflitto “corpo a corpo” con il suo passato e il suo presente, con le sue idiosincrasie congenite, i suoi convincimenti consolidati. Egli lancia uno sguardo vuoto verso il futuro senza trovare varchi, uno sguardo cupo ricolmo di quella ipocondria congenita e ormai rassegnata ma anche corrosiva ed irriverente, nella migliore tradizione toscana.

Il libro è ricco di spunti che rimandano a diverse tematiche, tra le quali vanno segnalate quelle che rimandano al rapporto esistenziale con il padre e con il figlio, quelle che afferiscono alla presenza/assenza di una divinità superiore con cui pure si vuole dialogare o, per dir meglio, ingaggiare un conflitto. Su tutto prevale poi la straordinaria forza vitale espressa di fronte alla consapevolezza della finitezza dell’esistenza e l’approssimarsi della vecchiaia e della morte.

L’incontro di ieri sera è stato molto piacevole, a riprova della qualità dei protagonisti. Il prossimo è previsto per il 9 dicembre, stesso luogo stessa ora. Alberto Di Matteo porterà il suo libro, “Racconti del mondo rotto”. Aspettiamo di avere un pubblico più numeroso ma attento e stimolante come quello del primo incontro.

Alberto Di Matteo


ANNIVERSARI 235 ANNI FA – 30 NOVEMBRE 1786

FESTA DELLA TOSCANA in ricordo di un evento del 30 novembre 1786 – 235 anni fa

235 anni fa il 30 novembre del 1786 il Granduca Pietro Leopoldo abolì la pena di morte nel Granducato di Toscana. Dal 2000 la Regione Toscana in questo giorno lo vuole ricordare assumendosi il compito di paladina della libertà e del rispetto dei diritti civili, opponendosi all’applicazione della pena capitale ancora vigente in alcuni paesi. Le Circoscrizioni di Prato in quella prima occasione assunsero un ruolo di primo piano organizzando riflessioni approfondite su quel tema attraverso momenti culturali quali il convegno che si svolse presso il centro per l’Arte contemporanea “Luigi Pecci”. Nel 2003 furono poi pubblicati gli atti con il titolo PACE E DIRITTI UMANI.
Qui di seguito riporto uno dei contributi “esterni” (l’autrice non era presente ma fu menzionata proprio in quanto un mese e mezzo prima aveva inviato una lettera a “Repubblica” nella quale discuteva del caso di Derek Rocco Barnabei, giustiziato dopo che sulla sua colpevolezza erano emersi seri dubbi), quello della Presidente del Parlamento Europeo di quel tempo, Nicole Fontaine, riportato nel libretto sopra menzionato.

Joshua Madalon

Nicole Fontaine, Lettera aperta agli americani

Nella sua stragrande maggioranza, senza distinzioni di nazionalità o di sensibilità politica, il Parlamento europeo, che è la voce democratica di 370 milioni di europei che costituiscono attualmente l’Unione europea, non comprende il fatto che gli Stati Uniti siano oggi l’unico, tra le grandi democrazie del mondo, a non aver rinunciato a comminare e applicare la pena di morte.

Ogni volta che un’esecuzione capitale è programmata in uno degli Stati del vostro paese, l’emozione e la riprovazione che essa suscita assumono, ormai, una dimensione mondiale. Tutti gli interventi a favore della clemenza, fatti dalle più alte autorità religiose o politiche presso i governatori da cui dipende la decisione finale, ricevono soltanto un netto rifiuto.

Il caso di Derek Rocco Barnabei ha suscitato un’emozione particolarmente grande in Europa, sia perché, ancora una volta, sussistono dubbi sulla sua reale colpevolezza, sia perché, oltre alla sua nazionalità americana, egli è anche originario di uno Stato membro dell’Unione europea, l’Italia.

Le iniziative diplomatiche, che invano in tanti abbiamo intrapreso presso il governatore della Virginia su richiesta dei parenti del condannato e delle associazioni che sostengono la sua causa, non hanno avuto alcun seguito. Mi permetto, allora, di dirigervi questa lettera aperta, non nello spirito di dare delle lezioni, ma in quello del dialogo leale che si addice all’amicizia che unisce i nostri grandi insiemi continentali.
Da questa parte dell’Atlantico, si riconosce che il vostro grande paese simbolizza ampiamente, in tutto il mondo, la libertà e la democrazia. Nessuno ha dimenticato ciò che l’Europa gli deve per averla aiutata a ritrovare la libertà al prezzo del sangue dei suoi figli negli ultimi due conflitti mondiali.

Nessuno contesta che la pena di morte sia stata riconosciuta dalla Corte Suprema conforme alla Costituzione degli Stati Uniti. Nessuno contesta che, in seguito a una condanna capitale, lunghi anni di procedure offrono ai condannati la possibilità di una revisione del loro processo. Nessuno contesta il diritto di una società organizzata a difendersi dai criminali che minacciano la sicurezza delle persone e dei beni, né quello di punirli nella misura dei loro delitti.

L’Europa non dimentica che, fino a poco tempo fa, essa stessa ha usato la pena di morte, e spesso con crudeltà. Alcuni Stati l’avevano abolita da tempo, nel loro diritto penale e nella pratica, ma meno di vent’anni fa alcune grandi nazioni europee, profondamente legate ai diritti dell’uomo e ai valori universali, tra cui il mio paese, la Francia, non vi avevano ancora rinunciato e quando i loro parlamenti hanno affrontato la sua abolizione, i dibattiti politici sono stati veementi quanto lo sono oggi negli Stati Uniti. Oggi, ogni polemica è spenta.

Si è però sviluppata in tutta l’Europa una presa di coscienza collettiva che ha travolto le esitazioni ancora esistenti. Questa presa di coscienza, alla quale mi permetto oggi di invitare il popolo americano, è fondata sui seguenti elementi: nessuno studio obiettivo ha mai dimostrato che la pena di morte abbia un effetto dissuasivo sulla grande criminalità e in nessuno dei paesi europei che l’hanno recentemente abolita si è avuto un aumento della grande criminalità; le società contemporanee hanno dei mezzi sufficienti per difendersi da essa senza spezzare il sacro principio della vita umana; la punizione per mezzo della pena di morte non è che la sopravvivenza arcaica della vecchia legge del taglione: poiché hai ucciso, anche tu morirai; il macabro copione delle esecuzioni capitali ha ben poco di degno ed è piuttosto il rito sacrificale di un omicidio legale; quando una società di diritto perfettamente stabilizzata e che dispone di altri mezzi per difendersi ricorre alla pena di morte, essa indebolisce il carattere sacro di ogni vita umana e l’autorità morale che essa può avere per difenderla dovunque essa sia offesa nel mondo; infine, troppi condannati a cui si toglie la vita sono stati poi riconosciuti innocenti e in quel caso è la società, anche in nome del diritto che si è data, ad aver commesso un crimine irreparabile.

In tutta la storia della giustizia della nostra società moderna, un solo innocente da noi messo a morte per errore, una morte che non comporta alcuna necessità, sarebbe sufficiente per condannare radicalmente il principio stesso di questa pena capitale. Ora, sappiamo tutti che il caso è proprio questo, in particolare negli Stati Uniti.

So che la maggioranza della popolazione del vostro paese rimane favorevole al mantenimento della pena di morte e che, in democrazia, il popolo è sovrano, ma tutto ciò può bastare a chi ha la responsabilità di guidare il proprio paese in modo saggio o moderno? Quando il presidente Lincoln abolì la schiavitù, aveva forse il sostegno della maggioranza degli Stati del Sud? Quando il presidente Roosevelt impegnò gli Stati Uniti al fianco degli europei per ristabilire la pace e la libertà nel mondo devastato dal nazismo o dai suoi alleati, ebbe egli immediatamente il sostegno maggioritario degli americani? Quando il presidente Kennedy impose la fine della segregazione razziale che perdurava in alcuni Stati, egli ebbe il coraggio, senza dubbio a costo della sua stessa vita, di andare controcorrente rispetto ai tanti che intendevano mantenerla, anche con la violenza. E’ possibile che gli uomini politici di oggi, per opportunismo o per motivi elettorali, non siano che una pallida ombra di quei grandi visionari che hanno fatto l’unione e la grandezza della nazione americana?