SONO NATO CON LA COSTITUZIONE ITALIANA
Nei primi giorni del 2008 festeggiando i sessanta anni della Costituzione italiana promulgata il 27 dicembre del 1947 fui invitato da un caro amico di Campi Bisenzio a tenere un intervento pubblico sulla nostra Carta. Quel che segue è il testo di quel mio contributo.
Come sempre mi accade in occasioni come queste, nel preparare – anche se breve – un intervento su un argomento così importante come quello di stasera sulla nostra Carta Costituzionale, ho messo insieme le poche conoscenze accumulate nei miei 61 anni con la rilettura di qualche pagina di “testimonianze eccellenti di prima mano” e cioè dei “costituenti” stessi e la lettura di qualche testo “giovane” uscito perlopiù nella stessa circostanza che ci spinge a discutere stasera, e cioè il 60° della Costituzione italiana.
La nostra Costituzione, dobbiamo dire, ha sessanta anni ma – come vorrei fosse per me – davvero non li dimostra. In questi anni spesso abbiamo sentito alzarsi voci che la ritenevano “vecchia” e superata dai tempi; ma a coloro che la considerano tale vorrei solo ricordare che una delle più belle e grandi Costituzioni, quella degli Stati Uniti d’America, ha già duecento e più anni, essendo stata promulgata nel settembre 1788, e dunque quasi 22° anni fa.
Quando gli amici mi hanno interpellato ho fatto presente che non sono un “costituzionalista” e che, oltre che essere un modesto docente di italiano e storia con la passione smodata per il Cinema, ritenevo e ritengo di poter essere ascritto più chiaramente alla categoria di “cittadino impegnato all’interno delle Istituzioni”, essendo infatti in questo periodo Presidente della Commissione Cultura e Formazione della Circoscrizione Est del Comune di Prato.
Voglio anche poter credere di essere stato invitato come tale, dunque; e come umile espressione di quella parte dei cittadini che hanno rappresentato in questo nostro Paese la “sinistra democratica e riformista” che sta contribuendo negli ultimi anni a cambiare decisamente e profondamente le regole, pur avendo il massimo rispetto verso quella prima parte della nostra Costituzione che sono i primi 54 articoli ( i primi 12 dei Principi fondamentali più tutti quelli sui Diritti e Doveri ).
Mi è parso di capire che mi si chieda di rappresentare in un “giuoco delle parti” le posizioni della Sinistra in quegli anni.
Gli eventi storici che sono stati rappresentati sono di certo alla base dei comportamenti diversi tenuti dalle diverse “parti in giuoco” ma la comune tragica esperienza dei Fascismi europei e di riflesso della Seconda Guerra Mondiale li aveva stemperati negli animi di chi, studioso di Storia, di Economia e di Politica, aveva potuto cogliere la genesi della tragedia nazionalistica e populistica nelle profonde divisioni proprio in quella parte più liberista e democratica che avrebbe dovuto raccogliere “insieme” i consensi:
Questa atmosfera è ben presente nel discorso pronunciato da Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente, l’ 8 febbraio 1947 dopo le dimissioni di Giuseppe Saragat.
Egli auspica che “dopo dibattiti lunghi ed anche appassionati, la Costituzione abbia il suggello – se non dell’unanimità dell’Assemblea – per lo meno di un tale numero di voti da dare garanzia anche ai più sospettosi e malvolenti che la nostra legge fondamentale, somma di libertà già raggiunte ed avviamento ad altre, maggiori, di sociale contenuto che essa appena delinea, non sarà frutto d’una vittoria di parte”.
E’ evidente che tale assunto di partenza, che allora i nostri Padri costituenti avvertivano, pur condizionato da una “tragedia” da cui si usciva, deve servire da monito costante nei confronti delle nostre classi dirigenti e deve essere sempre più patrimonio diffuso nelle giovani generazioni cui dovremo inevitabilmente affidare le sorti del nostro Paese.
Occorrerà evitare che una soluzione positiva debba essere necessariamente il frutto di eventi drammatici. Occorrerà forse impegnarsi a scrivere “oggi” nuove regole al di là della Costituzione, senza toccare la Costituzione e cioè non “contro” di essa, regole che si impongano di “normalizzare” questo nostro Paese. Per fare questo, lo ripeto, non è affatto necessario modificare la Costituzione nel suo impianto “fondamentale” ma sarà invece necessario che il “comune sentire” diffuso di un recupero del “senso etico” dell’impegno politico conduca ad un accordo che porti a “regole” che impongano eticamente un’irreprensibilità di comportamento da parte dei rappresentanti pubblici ad ogni livello in ogni settore della nostra vita pubblica, così come andrebbero drasticamente limitate e sottolineo LIMITATE tutte le forme di “privilegio” perché anacronistiche in quanto relative ad un periodo in cui la nostra società doveva garantire davvero a tutti nella estrema diffusa indigenza l’accesso alle cariche elettive.
E’ quest’ultima parte una deviazione dal contesto vero e proprio per il quale noi siamo qui, e me ne scuso.
Ritorniamo al tema.
Porre in evidenza le “differenze” potrebbe essere abbastanza semplice e forse, in modo autosevero, addirittura semplicistico sarebbe anche andare a connotarsi in sede ideologica, richiamandosi alle differenti radici, alle differenti culture, ai tre sostanziali fondamentali filoni culturali presenti nell’Assemblea Costituente: quello liberaldemocratico, quello cattolico e quello marxista.
Bisogna invece ribadire che proprio in quella particolare temperie quelle differenze servirono davvero ad arricchire di contenuti il dettato costituzionale, piuttosto che a delinearne i contrasti, i quali invece connotarono molti degli eventi che precedettero, che accompagnarono e seguirono negli anni a venire la costruzione, la scrittura e la lenta attuazione della nostra Costituzione.
Furono quelli gli anni che divisero il mondo all’interno della Guerra Fredda.
Nel tempo in cui i nostri Padri costituenti si applicarono alla stesura della Costituzione non mancarono di certo i contrasti ma anche in essi si avvertiva fra i diversi avversari la consapevolezza della dialettica necessaria, per cui era sempre massima l’attenzione per tutti gli interventi per tutte le proposte per tutte le idee che venivano espresse.
VITTORIO FOA in Cinquant’anni di Repubblica italiana pag. 45
“Ho molti ricordi. Il capo della Democrazia Cristiana era Alcide De Gasperi, quello del Partito Comunista era Palmiro Togliatti, il leader socialista era Pietro Nenni; poi c’erano un piccolo Partito d’Azione e un Partito Liberale, con tanti grossi nomi di un passato senza ritorno. Indubbiamente vi erano profondi contrasti, ma quando prendeva la parola De Gasperi, Togliatti lo ascoltava con attenzione e rispetto, e quando parlavano Togliatti oppure Nenni, la destra e il centro facevano silenzio.
Ricordo la drammatica seduta finale dell’Assemblea quando il giovane deputato La Pira chiese di scrivere nella Costituzione un richiamo a Dio, e il tono affettuoso e paterno con il quale Togliatti gli spiegò che la cosa era impossibile.”
Ovviamente non mancarono le differenziazioni. Dell’ Assemblea Costituente facevano parte, nel complesso dei 556 deputati, 207 afferenti alla DC, 115 al PS, 104 al PCI, 41 all’Unione Democratica Nazionale (liberali), 30 al Movimento dell’Uomo Qualunque, 23 al PRI, 16 al Blocco Nazionale della libertà, 7 al Partito d’Azione.
Sembrava, dunque, quasi logico che vi fossero delle differenziazioni, delle contrapposizioni. Ma sono sempre più convinto che in definitiva non si possa, non si debba parlare di “compromesso costituzionale”.
Vorrei a tale proposito utilizzare le parole di una persona a me molto cara, riportate da un suo intervento nello stesso libro di cui ho parlato prima.
Parlo del prof. Pietro Scoppola che ci ha lasciato pochi mesi orsono.
PIETRO SCOPPOLA in Cinquant’anni di Repubblica italiana pag.136
Riferendosi in particolare all’art.3 Pietro Scoppola dice
“Se teniamo presenti le posizioni da cui partivano le diverse forze politiche presenti nell’Assemblea Costituente, ci rendiamo conto che l’opera compiuta dai costituenti ha avuto un grande rilievo culturale e politico; ci rendiamo conto che il cosiddetto “compromesso costituzionale” ha avuto un grande spessore.
Poi quasi con una sorta di correzione aggiunge
“Occorre liberarsi dalla versione riduttiva e negativa oggi ricorrente del “compromesso costituzionale” . Prima di ogni compromesso fra i partiti vi fu la coscienza ben viva nei costituenti – che si ritrova nei loro scritti e nei loro ricordi – di una grande responsabilità storica: quella di dar voce alla domanda che saliva dal Paese di una radicale rifondazione della convivenza dopo gli orrori della guerra. Occorreva una risposta che fosse all’altezza della vicenda epocale in cui l’Italia era stata coinvolta. Il fondamento vero della Costituzione, prima che nel compromesso fra i Partiti, è in questo suo stretto legame con la Storia.”
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