giornata di riposo (parziale) ripubblico nella sua interezza il RACCONTO D’AUTUNNO-INVERNO (con annunci di primavera) – BUON NATALE 2019

giornata di riposo (parziale) ripubblico nella sua interezza il RACCONTO D’AUTUNNO-INVERNO (con annunci di primavera) – BUON NATALE 2019

Giovedi 19 dicembre, è l’ultimo giorno dell’anno nel quale dialogo con gli stranieri per insegnare quel minimo di lingua italiana. C’è già da qualche giorno in città la nevrotica smania di consumo che caratterizza le feste. Il traffico è già intenso alle otto; c’è da andare al lavoro e c’è anche da accompagnare i bambini a scuola. Noi da qualche tempo non abbiamo questo impegno. Da San Paolo al centro occorre attraversare Chiesanuova. E càpita spesso di dover stare in fila dietro camion compattatori. E autisti che non conoscono le regole della precedenza e della segnalazione di cambio di direzione. Bisogna essere prudenti. Per tutto questo per rispettare la mia ansia di puntualità mi anticipo di una decina di minuti. Anche perchè per evitare un parcheggio a pagamento fermo la mia auto in una zona libera, più lontana del solito da Piazza Mercatale. Faccio a piedi lungo la ciclabile, da una parte il fiume che in questi giorni è gonfio di acqua, al di là di esso il borgo magnifico del Cantiere con il suo skyline basso popolare; e dall’altra parte la fabbrica Calamai esempio di archeologia industriale riconvertita in modo corretto.

Mi inoltro poi nel sottopasso della linea ferroviaria che congiunge Firenze a Pistoia e Viareggio e vado verso l’ingresso della Passerella che congiunge le due rive del Bisenzio. Non devo attraversarla ma solo costeggiarla. Alla fermata della Cap, le autolinee cittadine, c’è gente in attesa. Faccio uno slalom rapido ma “Maestro!” sento una voce roca che sembra rivolta a me. Mi giro e rivedo uno dei miei ex allievi, un nigeriano, che mi sorride e mi augura, condito da uno sguardo dolce e tranquillo, buone feste. Mi fermo, sono come sempre mi accade in anticipo, e lo abbraccio scambiando anche le mie “buone feste” e poi “ma anche voi festeggiate il Natale?”. Non mi risponde, lo sguardo diviene solo un po’ più serio e “Parto per il mio paese tra qualche giorno”, solo “un po’” più serio. “Allora, festeggerai con la tua famiglia?!”. “No, torno perché è morta mia madre!” Cerco di non far riconoscere il gelo che è dentro di me per essere stato così insistente e inopportuno. “Mi dispiace…ma hai problemi a tornare, poi?” “No, vengo” facendo il segno del volo “in aereo, non in barcone”. Lo abbraccio di nuovo con un sentimento diverso rispetto al primo e lo saluto, augurandomi abbia una buona fortuna. Ci vuole così poco per riconoscere che l’umanità ha colori diversi e tocca a noi distinguerli e farne una ricchezza da condividere. Proseguo verso la Piazza, attraverso via Sant’Antonio. Non c’è molto traffico. Uso il marciapiede anche se potrei agevolmente stare sulla strada che è a senso unico verso la mia direzione di marcia. Da lontano vedo arrivare uno dei giovani con il quale mi sono sempre confrontato sin da quando lui era un ragazzo di Liceo, lo stesso frequentato da mia figlia Lavinia. Negli ultimi tempi il nostro confronto si è diradato: abbiamo avuto delle divergenze, sempre però mantenute all’interno di un rapporto di rispetto.

2.
Proseguo su una linea diretta, di incontro. Due veicoli umani che viaggiano su posizioni opposte. Una forma di infantilismo che non mi abbandona. Sorrido ed il giovane sorride per quel che sa fare. Giovani significa anche saper distinguere le differenze e fidarsi delle persone libere; ma appare, sin dal sorriso appena accennato che dalla prossemica impertubata, incapace di volare, forse impaurito da prospettive incerte. “Come va?” generiche domande. “Sono sempre più convinto che il futuro senza un vero cambiamento non abbia sbocchi positivi. Se non si risponde in modo significativo alle domande della stragrande maggioranza della gente, che è sempre più bisognosa di riprendere fiducia, si offre spazio alle Destre, quelle peggiori.”
Mi risponde “Chi dice che noi non cambiamo e ci rinnoviamo; è il tuo punto di vista”. Capisco e pur isnistendo mi rendo sempre più conto della divergenza di vedute, con punti di vista sempre più distanti e gli ricordo “Hai detto da tempo che ormai non avevo più nulla da condividere con il tuo Partito, anche se è stato per tanto tempo il mio!”.
Ciascuno ha fretta di riprendere il cammino. “Auguri! Saluti alla famiglia!” e “Auguri! Saluti anche alla tua!”
Attraverso lo sboco di via Santa Margherita per entrare in Piazza Mercatale. E mi avvio verso San Bartolomeo, con il campanile che ricorda quello di Venezia; salgo la scalinata ed entro nell’atrio, imbocco la porticina che conduce al piccolo Chiostro. Salgo le scale interne. Non sono ancora le 9. Do una mano alla segretaria del corso per mettere in ordine i registri ed aprire tutte le imposte. Fa freddo dentro, più freddo che fuori: oggi non c’è il riscaldamento, la caldaia non funziona, e temo per la mia salute oltre che per quella degli allievi che ancora tardano a salire. I miei allievi ormai “storici” riferiti però a questi ultimi mesi (c’è un turn over incessante e frequente) arrivano puntuali. Noto che una di loro, una giovane signora marocchina, puntuale come gli altri non c’è e chiedo se fosse stata già assente lo scorso martedì, giorno in cui non ci sono io a condividere questa esperienza. “Ha l’influenza; anche i suoi due bambini” mi dice una delle tre giovani donne cinesi. Come sempre, colgo al volo il tema. E lo sviluppo. La prima delle due ore parte sempre da un argomento utile per la conoscenza della lingua di uso quotidiano. Il lessico farmaceutico, il riconoscere i primi sintomi e saperli esporre, le precauzioni da adottare: sono propedeutiche alla coniugazione ed alla declinazione dei termini, maschile e femminile, singolare e plurale. La seconda ora, poco prima o poco dopo, è riservata ad una serie di esercizi su comparativo e superlativo e sui verbi impersonali e riflessivi, sull’uso frequente di questi. C’è una grande partecipazione, soprattutto da parte delle ragazze cinesi che si divertono un mondo a ripetere le parole con la “erre”. “State davvero diventando brave, soprattutto con la doppia “erre” – dico loro. Si aiutano tra di loro ed aiutano anche il “grande uomo” del Pakistan, capelli e baffi nerissimi, che ha più difficoltà a seguire. E’ più lento, la sua scuola “coranica” gli ha insegnato a leggere ma non a scrivere e quindi impiega più tempo a copiare.
Al termine delle due ore, solitamente c’è fretta di andar via. Oggi sembra tutto meno frenetico.
3.
C’è aria di festa. Le tre ragazze cinesi si attardano, attendono che anche il “grande uomo” si congedi. Con aria di complicità inattesa mi porgono una borsina colorata “Questo è per lei!” mi dice la più vivace tra loro. Smetto di preparare il mio zaino e “Grazie! Cos’è?” “Un piccolo pensiero” fermandosi sulla “erre” come sempre (…rrro, rrro!). Lo prendo e guardo dentro: c’è una confezione trasparente ed infiocchettata di rosso. La sollevo e la osservo: è una bolla di vetro che contiene un piccolo grazioso presepe, simbolo della natività. Sorrido, non posso che ringraziare del dono speciale che mi hanno consegnato. Come segno di apprezzamento concreto sistemo il dono su un tavolino e scatto una foto con il mio smartphone, la invio subito a mia moglie con la sottolineatura dell’importanza del dono, segno del riconoscimento delle nostre tradizioni, che vanno al di là della specificità laica che mi contraddistingue.
D’altra parte anche io, laico ed ateo, non posso non dirmi “cristiano”, intimamente e costitutivamente, così come aveva scritto nel suo breve saggio del 1942 Benedetto Croce. Anche la mia presenza in un contesto cattolico e religioso, anche interreligioso, assume una significazione speciale.
Saluto e mentre le ragazze escono mi soffermo a registrare gli ultimi argomenti trattati. Un attimo e i nuovi allievi entrano; salutano con rispetto e deferenza, ma non sono i miei. Esco dopo un paio di minuti e mi soffermo a parlare con le altre colleghe. Nel pomeriggio ci sarà una festa, un classico rendez-vous a chiusura dell’anno solare. Ci sarà il Vescovo. Si riprenderà il 9 gennaio. Avverto che difficilmente potrò partecipare e annuncio che sarò via per tutta la metà del mese prossimo: vado a Napoli. C’è una notazione pregiudizievole da parte di una delle segretarie organizzative; con una smorfia che è tutto un programma e qualche battutina contornata da beffardo sorriso dileggia la città partenopea. Le faccio notare che la mia città natale è a pieno titolo una delle capitali della Cultura mondiale, forse non superiore a Firenze ma di certo non inferiore ad essa. Un luogo nel quale la passione e l’inventività non hanno paragoni e sono elementi sostanziali di creatività e genialità; l’arte e la Storia sono diffuse in ogni angolo, molto più di quanto avvenga in realtà baciate maggiormente dalla ricchezza materiale. Ad ogni modo raccolgo il sostegno delle mie colleghe, che dimostrano di conoscere bene la realtà di cui accenno in rapida necessaria sintesi.
Saluto. Devo andare in banca…devo pagare l’IMU sulle seconde case.
Non c’è una gran fila. E poi gli sportelli sono tutti aperti ed operativi. Mentre attendo do uno sguardo ad alcuni libri che sono a disposizione dei clienti dietro una minima offerta di un solo euro: c’è Telethon nei prossimi giorni. Due signore in attesa parlottano tra loro e non posso fare a meno di ascoltarle.
“Vuoi sapere” dice una signora sobriamente vestita sulla via dei sessanta all’altra molto più giovane, quarantenne molto più appariscente “vuoi sapere cosa ha combinato mio nipote?”
“Chi? Andrea? Quanti anni ha fatto?”
“Quattro. A settembre”
“Cosa avrebbe combinato?”
“Nulla di grave, ma è sorprendete ad ogni modo!” aggiunge la “nonna” compiaciuta visibilmente.
“E allora?”
“Ha chiamato il padre mentre era in ufficio e gli ha annunciato che aveva deciso di sposarsi….”
“Mah, guarda un po’ quel soldo di cacio!” commentò la più giovane. “E cosa gli ha risposto Vittorio?”
“Vittorio mi ha detto che era rimasto incuriosito, anche se lì per lì stava per chiedergli di ragionarne in un altro momento: in ufficio si lavora; ma invece gli ha chiesto subito con chi volesse sposarsi….”
“E con chi?…”
“Con me…” la nonna era, come si dice a Napoli, “priata” cioè “lusingata”.
“Con te?… e Vittorio?”
“Vittorio…eh Vittorio gli ha risposto che non poteva sposare la nonna perchè era sua madre”
“E Andrea?”
“Andrea…” la nonna era visibilmente commossa “il piccolino non si è perso d’animo e gli ha risposto”
Momento di attesa.
“Gli ha semplicemente detto: e perchè mai non posso sposare la tua mamma; tu, non hai sposato la “mia”?”
Indubbiamente nulla da obiettare!

Care amiche e cari amici, Buon Natale! State sereni, ma seriamente, non per metafora negativa come ormai è diventata consuetudine nell’agone politico.

Joshua Madalon