“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – quarta parte (vedi post 14 febbraio 2020)

“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – quarta parte (vedi post 14 febbraio 2020)

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A contribuire alla determinazione di Pietro Leopoldo era stata anche l’attività del Professore di diritto pubblico che era collega di Tanucci e che di lui riprese l’insegnamento e soprattutto l’esempio qui in Toscana. Francesco Maria Gianni, che poi fu, come si sa, l’estensore materiale del codice e di tutti i codici e gli editti e le ordinative di riforma che poi appunto passeranno alla storia con il nome del sovrano.

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Ma soprattutto il grande artefice della riforma del codice criminale insieme a Gianni fu Pompeo Neri, altro professore di Diritto penale, che era un sostenitore abbastanza determinato dell’applicazione e della consequenzialità dell’applicazione delle leggi di intendenza rispetto alla materia penale ed alla materia specifica della punizione della pena che si ritrovavano in quell’aureo libretto che è “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria.

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Ora non c’è stato mai probabilmente nella storia della cultura occidentale – almeno non ne abbiamo prove fino ad ora – un libro così esile; sono 97 pagine, è un testo smilzissimo, di poche pagine: appunto, nessuna delle edizioni che io conosco, supera le 100, non si è dato mai caso di un libro così smilzo e direi anche per certi aspetti di non facile lettura, ma anche così fondamentale. Leggendo il paragrafo ventottesimo dedicato alla pena di morte, vi accorgerete che appunto la lingua di Beccaria non è certamente una lingua corriva e semplice ma è una lingua complessa, molto articolata ed anche tutta piena di neologismi, tutta piena anche di echi francesi e dialettali, nonostante appunto si tratti di un libro di non facile lettura, di un libro molto complesso e molto articolato da un punto di vista teorico e filosofico, non c’è libro appunto nella storia della cultura occidentale che si possa paragonare a questo per il numero di effetti, per la conseguenza, per la vitalità,per la longevità della prospettiva e direi anche per la forza anticipatrice, per la dinamica ed esplosiva utopia che esso contiene, abbiamo quindi un libro molto breve e molto conciso, molto compatto che però ha fatto scuola a partire dall’anno della sua uscita che, vi ricordo, è il 1764, anno della prima edizione ma il libro ne conoscerà ben sette in vita di Beccaria e soprattutto conoscerà un destino singolare che merita forse un breve cenno, nel senso che la prima edizione di Beccaria del 1764 è un testo che circola appunto come afferente a Beccaria insieme a Pietro Verri, con cui il primo degli autori in realtà lo scrisse e lo articolò.
Giunta però in terra di Francia l’eco dell’importanza di questo scritto, il traduttore francese Andrea Morellet, non solo lo traduce ma lo riordina, dandogli una sequenza e anche una struttura probabilmente molto più sicura e molto più compatta rispetto alla prima edizione.
Beccaria approvò questa edizione Morellet e anzi non solo la approvò, ma se ne servì, tanto è vero che la sesta edizione, quella che di solito viene stampata, diciamo nelle edizioni non filologiche , è la traduzione italiana della traduzione francese di Morellet, tanto che noi abbiamo un testo che viene tradotto in un’altra lingua e ritradotto in italiano di modo che appunto migliori, venga sviluppato, venga meglio fatto conoscere attraverso questa forma di collaborazione non solo tra traduttore ed autore ma tra appartenenti a due lingue diverse, questo a dimostrare non solo lo straordinario quasi spasmodico interesse che “Dei delitti e delle pene” suscita nell’intellettualità europea, ma anche il fatto che il testo veniva incontro ad esigenze di riforma molto profonde, molto radicate, non solo nella cultura milanese del ‘700 ma anche nella cultura francese.

….quarta parte…..

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