17 aprile – FANTASMI e pratiche magiche – parte 1

FANTASMI e pratiche magiche – parte 1

Mio zio sin da bambino vedeva i morti e ci dialogava; un’altra mia parente, una prozia, soleva “fare gli occhi” per togliere il malocchio. Non ho mai approfondito con loro i temi dell’occulto; una sorta di discrezione me lo ha impedito. I miei genitori, non so neanche perché mai lo facessero, d’estate mi mandavano insieme ad una delle mie zie “signorine” per “fare il bagno” di mare da zia Giovannina, che viveva in un caseggiato posto al limite dell’area archeologica di Baia nei Campi Flegrei. Era per me uno dei luoghi magici della mia pubertà, che  apriva la mia esistenza a mondi molto diversi ed affascinanti, da quelli antichi archeologici di cui era (ed è ancora oggi ancor più) ricca la mia terra, i Campi Flegrei e le grazie delle cugine di mio padre, che avevano da qualche anno ormai superata la fase dell’adolescenza, con cui andavo al mare e poi tornavo alla loro casa fino a sera. La zia sollecitata da mio padre, qualche volta mi ha sottoposto alla pratica magica per eliminare il malocchio. Ero sempre titubante ed in primo luogo non comprendevo le ragioni: stavo bene, avevo anche buoni risultati a scuola. La loro era una “precauzione”; non si sapeva mai se “qualcuno avesse messo addosso a me il malocchio”. Pur tuttavia anche se scettico osservavo in un misto di incredulità e curiosità quegli strani cerchi di olio allargarsi e sparire ed ascoltavo i mormorii della officiante e osservavo incuriosito i suoi segni di croce.  Quanto allo zio, lui abitava in un seminterrato su via Napoli più o meno di fronte alla struttura di “Vicienzo ‘a mmare” uno storico prefabbricato in legno che si spingeva su palafitte nel mare. Non saprei dire se i “fantasmi” li vedesse lì o nell’altra casa ormai diroccata alle spalle del Corso Garibaldi, che se ricordo bene si chiamava “dint’’e Ggesuiti”. Di sicuro, però, era davvero un tipo particolare; piccolissimo, non credo che superasse il metro e quaranta, ma lo ricordo sempre allegro anche se non credo se la passasse bene fin quando è rimasto a Pozzuoli. Poi ebbe una grande occasione per migliorare la sua vita e quella della famiglia che era anche numerosa e andò a Roma, come usciere al Ministero, mi sembra quello degli Interni ed ottenne l’uso di uno degli appartamenti del Villaggio Olimpico, dopo il 1960, anno delle Olimpiadi di Roma, quelle di Berruti e di Abebe Bikila.

Questa “tempesta” di ricordi mi è soggiunta in questi ultimi giorni, dopo aver visto le sei puntate del “Commissario Ricciardi” alle quali ho aggiunto, di riflesso come “corollari” le 24 puntate delle due serie de “La porta rossa”.

Le due “serie” sono accomunate da un unico interprete protagonista, il bravo Lino Guanciale, attore prevalentemente di teatro, che non rinuncia alla staticità tipica degli spazi ristretti pur in un modello artistico diverso come è il Cinema, nell’interpretare con aplomb aristocratico il ruolo del Commissario Luigi Alfredo Ricciardi, unico erede di una nobile famiglia cilentana, che negli anni Trenta svolge la sua funzione di Commissario nella Regia Questura di Napoli.

Ma le consonanze tra l’una e l’altra non finiscono qui; e di questo tratterò nel prossimo blocco.