IL CAMBIAMENTO in peggio o in meglio? CHISSA’!

CAMBIO VERSO? sì ma quello delle poesie

Perché mai – mi vado chiedendo negli ultimi tempi – ho impegnato tanti dei miei anni nella Politica? E’ un mondo in genere di un’aridità e di una volgarità incommensurabile; non dico che non vi siano tante persone colte, raffinate, belle davvero “dentro”: dico che vi prevalgono essenzialmente le mezze cartucce che non si chiedono a chi serve il loro impegno ma a chi possa interessare il loro voto ed il loro appoggio e come trarne benefici personali o, al massimo, quelli del loro più stretto entourage. In questo non vi è alcuna differenza fra Destra, Centro o Sinistra e non salvo nessuna di queste categorie, considerandole di pari livello: infimo ovviamente. Certamente, e qui per correttezza mi ripeto, vi sono tantissime persone in buona fede che hanno portato, e continuano a portare, acqua ai mulini delle loro forze politiche; persone che non solo ci credono ma che sono pronte a giurare sulla onestà dei loro riferimenti nei diversi gradi di carriera. Per le loro capacità di sopportazione o di dabbenaggine li invidio ma non sono più disponibile a confondermi con loro. Quello che è accaduto nelle recenti elezioni amministrative regionali è il frutto di uno smantellamento evidentemente voluto – forse anche accelerato dagli scandalosi e criminosi comportamenti diffusi su tutto il territorio ed in tutti i Partiti – da una occulta regia di tutto l’ordinamento del nostro Stato. Ogni anello si tiene all’interno di una logica incontrovertibile e la Storia non va mai dimenticata; gli italiani ogni tanto se lo sentono ripetere ma non sono più in grado neanche di “ricordare” perché quasi sempre la dimenticanza fa rima con ignoranza. E non è quindi immotivato il mio allontanamento volontario dalla Politica all’interno di un Partito; mi dedicherò alla lettura ed alla scrittura. In modo esclusivo, continuando però a denunciare la deriva drammatica del nostro Paese, della nostra Democrazia e degli ideali che l’avevano creata all’indomani delle Seconda Guerra Mondiale.

Giuseppe Maddaluno

VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – parte 18

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I GIORNI – 18

A casa mia. Telefonate anonime. Sapevo chi era. Pazienza. La voce vigliacca. Un solo interesse, purtroppo comune. Sempre, o quasi, alla stessa ora. Ogni giorno, più volte. Un amico, minacce ed offese. Un amico. Era. Non un nemico. La nemica tramava. Un’ipocrita spandeva sorrisi. Povero, colui che li raccoglieva. Povero e cieco, non ha più niente da perdere. Ormai.
Il tempo. Passerà. Tutto via come se fosse il vento. Non guardare dietro. Alzati, e cammina. Rasenta i muri. Presto verrà la luce ad illuminarti.
Il temporale avanzava. Fulmini e tuoni. Tanti. La pioggia. Tutto bagnato. Sentir di essere vivo. Incamminarsi di nuovo. E gridare “Ti amo” in faccia al mondo per quanto di esso è ancora naturale. Sperando che la gente ti creda pazzo. Gridarlo forte. Forte. Forte. Più forte. Nell’attesa del niente.
Quella sera, l’eclisse. Tutti i giornali ne parlavano. Totale, dicevano. Uno spettacolo, commento. Né io né l’altro si aveva voglia. Fingemmo di dimenticare.
Sul muretto. Il via vai. I negozi. Un’edicola. Vi entrammo. Ne uscimmo: un rotocalco e l’enigmistica. Questa, per me. uno sguardo comune alle barzellette. Risate, domande, risposte. Indovinelli strani. Incroci di parole risolte alla luce dei negozi, sul muretto. Lo sguardo diviso tra lo scritto e i passanti. Primo e secondo faro intermittente.
Inverno inoltrato. Strade piene di foglie, di sabbia. Il vento le porta con sé, le sparge dappertutto. Le case sulla sabbia. Dolore di un esilio. Arrivare di notte in una casa che non è tua. Consumare una cena, affrettata, al lume di una candela. Il vento, il suo sibilo ululato e dormire, lontano dal tuo paese. Conoscere e vivere l’”otium” latino con i tuoi volumi preferiti e pensieri che si concretizzano su fogli di fortuna. Tra il vento e la pioggia, passeggiare in un lungo viale alberato. I rami e le foglie squassati e scomposte deliziose assordanti.
Sulla spiaggia, seduto su un masso, ascoltare ed intuire le voci del mare, nell’umano silenzio, per ore. E ti sembra di vedere ogni cosa impossibile a vedersi. Fantasmi di un mondo perduto. Si alzano dal mare, dalle sterpaglie mediterranee, per giocare a rimpiattino con te.
Il vento si ferma per un attimo. Il silenzio. Qualche passo, lo senti. Ti accorgi, però, di essere solo. Come te, altra gente. Dopo il primo, tanti altri. Come te. In esilio. Riconosci un amico. Abbracci e baci. Ricordi comuni, problemi e dolori, abbracci e baci. Tristi rievocazioni. Abbracci e baci. L’animo e la voce, muti. Un nuovo mondo da scoprire, una nuova vita. lavati da ogni esperienza. Senza pregiudizi, senza pudore. Esaltazione dell’animo. Nel dolore ritrovi, come spesso accade, l’amico che avevi perduto e ti abbandona l’amico cui avevi creduto. Nuove amicizie, senza pregiudizi, senza pudore. Nuove esperienze. Serate trascorse in modo diverso. Il ritrovarsi come nell’Inferno di Dante.

I GIORNI – fine parte 18 – continua….

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EPIFANIE – CAPRICCI DI BAMBINI – parte 2

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EPIFANIE – CAPRICCI DI BAMBINI – parte 2

Eugenio

Eugenio ha poco meno di un anno e da circa tre settimane riesce a bere da solo il latte dal bicchiere. Per cautela il suo bicchiere è di plastica con dei disegnini colorati di rosso e di blu raffiguranti dei cavalli in libertà, “Spirit cavallo selvaggio”; non parla ancora anche se da qualche tempo si sforza di esprimere fonemi che abbiano vaga corrispondenza con vere e proprie parole.
In sintesi, è un inventore!
E come tutti i bambini spesso mostra il broncio o sorride compiaciuto dinanzi al comportamento imitativo e così idiota degli adulti. E quando sorride è gioco facile per i parenti interpretare tale riflesso; non lo è per niente quando si imbroncia ed urla e piange, congestionando tutto il suo bel faccino. Le ipotesi più disparate uniscono e dividono la famiglia; ma non sempre: a volte si riesce ad azzeccare il motivo di quello che agli sprovveduti e superficiali appare tout court come un “capriccio”.
Il padre di Eugenio, Filippo, si ricordò ad un certo punto, prima di issare bandiera bianca, di uno strano vezzo della madre, di cui raccontavano tempo addietro le zie. Quando quella era bambina, la più piccola e viziata della famiglia, era solita piantar grane davanti alla sua tazza di latte, chiedendo con insistenza fino alle lacrime: “’A voglio chiena chiena”. E allora Filippo provò a riempire fino all’orlo la tazza, ottenendo il totale rasserenamento del pupo e degli animi agitati della famiglia.

G.M.

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