PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – quindicesima parte

PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – quindicesima parte

PONTECORVO OSPITE DI “AZIONE SINDACALE” IL GIORNO DELLA GUERRA.

UNA GIORNATA PARTICOLARE di Ornella Nembi

Gillo Pontecorvo arriva a Prato il 16 gennaio,in tarda serata. Chiede subito notizie sulla crisi del Golfo, con quella sete di novità che ci ha incollati tutti, per ore, davanti ai televisori. Pontecorvo è venuto a Prato per partecipare ad un incontro organizzato da “Azione Sindacale’ e dal “Coordinamento donne della Cgil”, per discutere e tentare di approfondire il rapporto fra il cinema ed il mondo del lavoro.
L’incontro, fissato per il 17 gennaio, non ci sarà; la guerra, quella “vera”, raccontata tante volte da Pontecorvo nei suoi film (primo fra tutti ‘La battaglia di Algeri’), non è più solo una minaccia.
Pontecorvo ammette di avere sperato fino in fondo. “Sono convinto che si poteva aspettare” afferma il regista “si poteva dare una chance in più alla pace, si doveva continuare l’embargo.
Il comportamento dell’Onu aveva lasciato grandi speranze. La decisione di un embargo strettissimo era una grossa possibilità. Faceva sperare che l’orrore della guerra potesse uscire dal nostro orizzonte”. Pontecorvo non esita neppure un pò a partecipare alla manifestazione per la pace, indetta dalla Cgil. Si lancia in una corsa, anzi ci sfida lui che è stato uno sportivo per arrivare alla testa del corteo. Pontecorvo non ama parlare in pubblico, anzi è questa, da sempre, la sua paura. Tuttavia è instancabile e vivace, per niente schivo, quando si tratta di parlare senza avere davanti un microfono. A proposito di parlare in pubblico ci racconta, subito dopo la manifestazione, un episodio divertente, accaduto dopo la liberazione. ‘A quei tempi ero Presidente del Fronte della Gioventù -dice Pontecorvo – ma continuavo a non parlare in pubblico. Cercavo qualsiasi scappatoia, scrivevo biglietti, delegavo amici, mi adoperavo in tutte le maniere. Finchè un giorno Luigi Longo, che allora era uno dei vicesegretari del Pci, mi rimproverò dicendomi che faceva parte del mio lavoro parlare in pubblico. Io continuavo a cercare scappatoie finché, durante una riunione dei quadri del Pci del Piemonte, improvvisamente, senza avvisarmi, Longo mi chiamò al microfono. Nei quattro metri che mi separavano da quell’oggetto tanto temuto, cercai di inventarmi una via di uscita. Allora esordii dicendo che, in quella occasione, mi sembrava più giusto dare la parola ad un partigiano locale. Ci ero riuscito. Guardai Longo. L ‘avevo fregato ancora una volta”. Pontecorvo ricorda poi la sua uscita, insieme a quella di tanti altri intellettuali e militanti, dal Pci nel 1956. “Non volli uscire clamorosamente, come fecero altri” rìcorda Pontecorvo “Ero iscritto al partito dal 1941, in epoca clandestina. Comunicai la mia decisione alle persone con le quali ero in rapporto maggiore di amicizia, Giancarlo Pajetta ed Enrico Berlinguer. Non mi trovavo d’accordo soprattutto per la questione dell’Ungheria e poi sul centralismo democratico. Uscivo restando amico, come sono sempre rimasto tanto da essere stato candidato come indipendente nelle liste del Pci. Però uscivo”.

fine quindicesima parte

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