30 dicembre – Il mondo dopo questa “lezione” sarà migliore? Ne abbiamo già scritto e parlato. E ne riparleremo, e scriveremo ancora.

Il mondo dopo questa “lezione” sarà migliore?

Ce lo siamo augurato tutti ed in minima parte ci abbiamo creduto. Perlomeno noi, quelli del ceto medio apparentemente per ora  “garantiti”, lo abbiamo potuto pensare, avendo davanti a noi “intorno a noi” uno scenario molto ristretto e relativo che agisce da “velo” su tutto il resto del mondo e non ci consente di vedere e di poter percepire e capire quel che accade fuori dalla nostra “palla di vetro”. Di noi , quelli che verranno dopo, diranno “forse” che siamo stati degli inguaribili indefessi ottimisti. Lo vedete: ho scritto “forse”, a dimostrazione che un lume di ottimismo ancora arde.

Abbiamo potuto ascoltare voci che hanno fatto compagnia a noi “internet-nauti” nella solitudine del lock down. Abbiamo contrastato le voci pessimistiche, a cominciare da quelle disfattiste per mera ignoranza e fede ideologica (che molto spesso coincidono)  o quelle negazioniste e non solo i no-vax – che avversavano le posizioni della scienza. Abbiamo costituito piccoli gruppi amicali sulle piattaforme digitali, imparando in poco tempo ad utilizzarle. Ci siamo difesi quasi a mani nude dall’aggressione del virus e continuiamo a farlo fin quando, o noi o loro, qualcuno vincerà questa battaglia. Che, detto tra noi, sarà lunga e, come dicono alcuni esperti,  probabilmente “infinita”.

E, con questo, ho speso – dilapidato – quel lumicino di ottimismo di cui vantavo il possesso.

Ma questo “segnale” così pessimistico deve far scattare in noi, al di là della resilienza necessaria a sopravvivere, quello scatto di orgoglio utile a rimetterci in piedi ed in marcia innanzitutto con la testa, poi con il cuore e le braccia e le gambe. Questo complesso umano deve farsi carico del futuro, al di là di quanto già ora stanno tentando di progettare i potentati dai locali ai nazionali ed internazionali: mentre noi eravamo nei nostri gusci di noce, in quelle palle di vetro rassicuranti, fuori avviavano a gestire il quadro economico globale con una visione “antica” di carattere utilitarista e non umanista. Sarebbe la fine delle libertà e non certo simile a quella limitazione che è stata resa necessaria dagli eventi pandemici. Si andrebbe verso una umanità nella quale la stragrande maggioranza – molto più ampia di quanto non sia ora – vivrebbe in condizioni di vera e propria schiavitù collegata al soddisfacimento dei bisogni primari, mentre una minoranza – ancora più ridotta di quanto lo sia ora – godrebbe dei frutti ricavati dal lavoro dei molti “schiavi”.

La pandemìa ha messo in evidenza la necessità di cambiare il modello di sviluppo. Occorre ribaltare la visione attuale, globale, quella che ha prodotto le attuali forme di ingiustizia (il “quadro” spaventoso che ho sopra sintetizzato al massimo ha già le sue turpi radici nella realtà) e rimodulare gli interventi, valorizzando soprattutto le realtà locali, a partire dall’agricoltura che superi le pratiche della monocoltura, e dall’artigianato locale recuperato soprattutto nelle tradizioni. Ovviamente non potremmo limitarci a questo e, nello stesso tempo, dovremmo procedere ad un cambiamento significativo del  nostro stile di vita, troppo teso alla pratica del consumismo senza valore.

Ne abbiamo già scritto e parlato. E ne riparleremo, e scriveremo ancora.