I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 18 ( per la parte 17 vedi 12 novembre )

18. Chi parla di scuole in questi giorni in queste stanze lo fa in modo arido, ignorando del tutto come esse funzionino, ignorando cosa abbiano saputo produrre ed in che modo lo hanno potuto fare. E questo devo dire che è un sostanziale primo elemento di sfiducia nei confronti di amministratori così impreparati ed insensibili. Non basta imparare l’ABC legislativo sulla scuola, non bastano quattro slogans ripetuti e conditi di “politichese” per conoscere come funziona una scuola e come essa si rapporta ad uno specifico territorio. Io non ho dubbi che il “Dagomari” sia capace di rapportarsi ad un territorio in una situazione diversa: ve lo dice uno che avrebbe voglia di cambiare scuola solo per un desiderio innato di cambiamento; ve lo dice uno che, fatta una esperienza, la accantona e ne coglie gli elementi positivi, rigettando quelli negativi. Io ho forti dubbi sulla volontà politica di far effettivamente crescere questa esperienza, e poi ve lo dimostrerò.

Si è parlato non meno di un anno fa di “Scuola Aperta”: andate a leggervi di cosa si tratta; si è fatto un gran parlare di appartenenza, di territorialità; si sono fatti progetti, si sono tenuti convegni su questo tema. E poi? In un battibaleno ci si dimentica di tutto e si condanna una scuola alla distruzione, irridendo chi oggi parla di appartenenza, di territorialità.

Quella che è un’operazione ragionevole, necessaria, urgente da condurre a termine, cioè la soluzione del problema del “Copernico” finisce per essere realizzata a discapito di altri. Fra l’altro se questa operazione è davvero contrassegnata da onestà e chiarezza, fatemi dire allora che c’è anche della dabbenaggine e dell’ignoranza.
Vedete, questo atto rappresenta non solo la possibile soluzione di problemi annosi che Prato si porta dietro da tempo, ma dovrebbe consentire a questa città, a questa Provincia, di avere di fronte a sé il quadro completo della scuola degli anni Duemila, dei primi anni Duemila. E si comincia male, davvero male, perché la scelta di portare in una zona già fornita di quel servizio, in una sede fortemente inadeguata, una scuola come quella del “Dagomari” equivale praticamente a decretarne la fine. Non è un suggerimento, il mio, ma vi assicuro, se proprio lo volete sapere, che il “Dagomari”, gli fosse offerta la sede attuale del “Keynes”, ci andrebbe di corsa. Noi non facciamo un problema di zona; siamo di natura proletaria, non siamo aristocratici come altri. I problemi sono altrove. E non ci sogneremmo mai e poi mai di chiedere apertamente una sede occupata attualmente da altri; invece qualche altro in questa città non ha neanche avuto il buon gusto di stilare un documento nel quale si fosse avvertito minimamente un po’, non dico tanto, un po’ di imbarazzo. Niente di tutto questo, per carità. Noblesse oblige. Anzi si sono sentiti in dovere di fare ben altro. E’ un fatto lampante che l’attuale clima di tensione sia responsabilità degli amministratori per il modo in cui hanno condotto questa partita, ma anche di quel documento, che sarebbe stato molto meglio non aver fatto.