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AGENDA POLITICA PER LA SINISTRA A PRATO – primi appunti

AGENDA POLITICA PER LA SINISTRA A PRATO – primi appunti

Uno dei più grossi problemi della Sinistra in Italia indubbiamente è stato ed è la sua parcellizzazione all’interno di una galassia melassica composta da posizioni distinte e personali, o poco, ma davvero poco, più.

Ed allora se davvero si vuole contare all’interno di un quadro politico locale e nazionale occorre fare di necessità virtù, una volta per tutte, ma non in senso tattico. Occorre dare un senso, un lungo respiro alle idee politiche della Sinistra. A partire da qui e, perchè no, a partire da noi, a partire da Prato. Poi, se capiranno, lo esporteremo, lo acquisiranno metodologicamente in altre realtà, facendo opportune chiarezze, laddove fossero necessarie.

Intanto interroghiamoci su cosa sia oggi nel 2017 la Sinistra, su cosa debba essere nei prossimi decenni.

Il mondo è cambiato, cambia ma i valori di riferimento rimangono:

occorre abbassare progressivamente il livello delle diseguaglianze sociali, la cui forbice ha subito nel corso degli utlimi anni una divaricazione insopportabile;

occorre valorizzare i meriti, recuperando la dignità del lavoro in generale attraverso riconoscimenti formali e sostanziali;

occorre costruire progetti che rivalutino la Cultura e la Conoscenza a partire dal basso, operando soprattutto nelle periferie con la creazione di centri sociali diffusi che sorreggano in modo libero ed autonomo i bisogni primari della gente, per poter abbattere sempre più efficacemente il sentimento di abbandono e di insicurezza.

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POST PRIMARIE PD(R)

POST PRIMARIE PD(R)

C’era qualcuno che ci chiedeva di partecipare, rinnegando il nostro biasimevole pensiero; qualcuno c’è cascato ed ha fatto crescere la partecipazione: niente di male!
E’ importante che la “democrazia” proprio quando non ci fa comodo accettarne gli esiti possa essere praticata. Ma così è! la tornata delle Primarie del 30 aprile proposta dal PD è stata suonata e cantata, nell’ottica di un vero e proprio “teatrino” della vecchia Politica. E indubbiamente ha fatto chiarezza profonda sulle caratteristiche di quel Partito che non ha “nulla” a che vedere con quell’altro precedente che tanti come me hanno fondato. Quelli che non riconoscono questa modificazione genetica se in buona fede è perchè non sono in grado politicamente di valutare tali cambiamenti; se in mala fede è perchè si adattano, si acconciano per raccogliere gli oboli del potere.
Accade spesso così e basterebbe aprire i libri di Storia per riconoscere i “conformisti” di sempre, quelli che non ci arrivano e quelli che accettano consapevoli che in quel modo riusciranno a barcamenarsi tra quelle onde. Lo avevamo anche detto di fronte agli inviti: vi aspettiamo dopo, venite via; se lo farete tardi servirà a poco la vostra scelta. Là dentro manca l’aria, non c’è abbastanza ossigeno in un ambiente dove c’è chi ne consuma tre quarti ed un quarto è da dividerlo in due. Si rischia l’asfissia. Venite via; non vi fate intimidire dalle offese di coloro che continuano a dire che sarà “vostra”, solo vostra, la responsabilità di un tracollo. L’ambizione ha reso cieca quella parte, che utilizza la vittoria con arroganza, che non ascolta le idee che vengono dalla parte sinistra e strumentalmente accoglie invece formule di Destra allo scopo di aggregare elettorato reazionario. Venite via, la strada della Sinistra è sempre più sgombra, c’è bisogno di voi: se sono vere, ed oggettivamente lo sono, le divisioni nel campo delle Sinistre, con fin troppi personalismi, con distinzioni allo scopo di poter contare quel briciolino che consenta di collocarsi semmai alla testa del gruppo, aiutateci a metterle da parte. Una Sinistra unita potrebbe aspirare ad un consenso a due cifre (quelle intere, per intendersi) purché sia in grado di comprendere la necessità costitutiva, non quella tattica ma quella strategica che faccia davvero ben comprendere alla gente che un’alternativa è possibile, un’alternativa di vera SINISTRA.

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“PRIMO MAGGIO a Tricarico” ROSSO POMPEIANO di Abdon Alinovi – un ricordo di Mario Garuglieri e Rocco Scotellaro

“Rosso pompeiano” di Abdon ALINOVI con inediti di Mario Garuglieri: “Memoria alla Corte d’Assise” Carcere delle Murate, Firenze 17 agosto 1922 e “RICORDO di GRAMSCI”

La “narrazione” di Abdon Alinovi parte dal giugno 1941, allorquando a Eboli di ritorno da Spoleto dove aveva conseguito il diploma di maturità classica, ebbe modo di conoscere Mario Garuglieri, un confinato fiorentino, calzolaio di professione, che era stato per dodici anni in carcere:

“Non per delitto comune”, subito precisò. Era stato vittima di persecuzione politica grave, e gli ultimi tre anni li aveva scontati a contatto con un Maestro speciale, di cui non fece immediatamente il nome…..”

Era stato a Turi, in una cella abbastanza vicina a quella di Antonio Gramsci.

Più avanti nel libro, 536 pagine di una eccezionale lieve scorrevolezza, un capitolo è dedicato ad un Primo Maggio, quello del 1944 a Tricarico con Rocco Scotellaro e Carlo Groebert che, per inciso, fu anche Sindaco della mia città agli inizi del secolo scorso.

“Per la prima volta in Tricarico, il Primo Maggio 1944, proprio sotto i finestroni della Pretura celebrammo la Festa del Lavoro. Un grande tavolo davanti alla sede della Sezione PCI; una sedia per il primo passo. Salimmo in tre, Carlo, Rocco ed io. Parlò prima Rocco, poi toccò a me, chiuse Groebert. Un successo….”
L’amicizia con Rocco Scotellaro sarà arricchita da altre occasioni importanti, di cui Abdon Alinovi ci parla in questo suo “Rosso pompeiano”.

Nel chiudere il capitolo, l’autore si lascia trasportare dai ricordi e:
“Di questi tempi mi torna spesso il ricordo di Rocco, e mi piace qui recitare per chi mi sta a cuore, e me stesso, i suoi sonanti versi:

“Sempre nuova è l’alba”

Non gridatemi dentro
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.
Beviamoci insieme una tazza colma di vino.
Che all’ilare tempo della sera
s’acquieti il nostro vento disperato.
Spuntano ai pali ancora le teste dei briganti e la caverna
lindo conserva un guanciale di pietra.
Ma dai sentieri non si torna indietro
altre ali fuggiranno dalle paglie della cova
perchè lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova! E’ nuova!

LE LEZIONI DI GRAMSCI – Abdon Alinovi e “Rosso pompeiano” (quel che disse quando fondammo il Circolo Sezione Nuova San Paolo di quel che fu il PD)

LE LEZIONI DI GRAMSCI – Abdon Alinovi e “Rosso pompeiano”

Studiando Gramsci, leggendone e rileggendone le pagine, non posso dimenticare chi, pur non incontrandolo direttamente per motivi se non altro leggermente divaricati dal punto di vista temporaneo, si è sentito suo allievo e compagno nel corso della vita, attraversando le esperienze della lotta all’antifascismo, del dopoguerra e di larghissima parte della storia repubblicana fino ai giorni nostri.

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Abdon Alinovi è stato uno straordinario punto di riferimento di tantissime generazioni di militanti nella Sinistra soprattutto quella meridionale; non ha mai smesso di credere nel valore profondo della Cultura e dell’impegno politico totale. Cinque anni fa nel corso del processo di fondazione della Sezione Nuova San Paolo di quello che fu il Partito Democratico in quella realtà avemmo la fortuna di incrociarlo su Facebook ed invitato formalmente così come di norma si fa con gli amici di quel “social” egli ci rispose:

Grazie di quest’invito, partecipo da…Napoli. Interessa me, ma anche voi, capire perché Prato è stata una delle prime città italiane, 1912, ad avere un Sindaco socialista. Si chiamava Ferdinando Targetti. Nel dopoguerra e fino agli anni ’80, la maggioranza è stata sempre di sinistra e così il Sindaco. Eleggeva da sola un deputato della circoscrizione di Firenze e un senatore. Fare l’analisi, che cosa è cambiato nell’economia, nella società, nella politica , nella testa della gente? Se volete esplorare il futuro dovete analizzare il passato. Non per restaurarlo; al contrario per cogliere le contraddizioni e superarlo in avanti. Alla cieca non si va da nessuna parte. Tutto quel che vi sto dicendo viene da Gramsci. Non sono io un maestro. Grazie.
Abdon Alinovi

Ho conosciuto anche Valeria, sua figlia, e da lei ho saputo che aveva tracciato le sue memorie in un libro, “Rosso pompeiano” (il significato del titolo è qui sotto spiegato da Giuseppe Vacca che recensisce l’opera su “l’Unità”, luglio 2016). Sarebbe molto bello avere tra noi questa straordinaria figura di militante “integrale”, testimone della nostra Storia.

Riprendo il testo di quell’articolo dello studioso gramsciano trascritto dallo stesso Abdon Alinovi sulla sua bacheca Facebook:

Abdon Alinovi, varcata la soglia dei novant’anni, ha affidato a un affascinante racconto il bilancio intellettuale e civile della sua vita, scritto con grande passione e maestria narrativa. Accade a quanti vivo- no una vita degna di sentire quasi il dovere di trasmetterne il significato alle generazioni successive e questo ha fatto anche Alinovi con l’aiuto della figlia Valeria in Rosso pompeiano (Città del Sole, 2015), memorie dense di messaggi fin dal titolo semplice e familiare solo all’apparenza. Esso richiama il colore della “casa dell’infanzia” ritratta in copertina: “una villa che tutti chiamavano la casa rossa per il rosso pompeiano dell’edificio” in cui Abdon visse l’infanzia a Eboli. Ma inoltrandosi nella lettura non si sfugge alla sensazione che egli abbia scelto quella coloritura di rosso per evocare un modo particolare di vivere la sua esperienza: la scoperta del “Partito italiano del comunismo” e la dedizione di una vita alla politica.
Il genere è la memorialistica dei comunisti italiani, ma per avvicinarci al libro di Alinovi viene subito in mente un paragone con due grandi modelli: Una scelta di vita di Giorgio Amendola e Il dubbio dei vincitori di Pietro Ingrao. Se del primo condivide l’orgoglio per il contributo eccezionale dei comunisti italiani alla lotta antifascista e all’edificazione della Repubblica, del secondo ricorda lo spirito di ricerca e l’assillo per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, narrato non con il senno di poi, ma ripercorrendo momenti topici dell’esperienza.
Alinovi non ha scritto un’autobiografia; ha concentrato il racconto sugli anni di guerra, l’ingresso nella lotta clandestina, lo sbarco degli alleati a Paestum, la “svolta di Salerno”, la guerra di liberazione, la nascita del “partito nuovo” e della Repubblica: una doppia iniziazione, sua e della nazione democratica, in un intreccio stringente. Con grande generosità, ma anche per ragioni strategiche, egli racconta la sua esperienza attraverso la figura di Ma- rio Garuglieri, confinato a Eboli negli anni ’30 e suo “maestro”, che gli trasmise la lezione di Gramsci ben prima che divenisse noto ai militanti del “partito nuovo”. Chi studia Gramsci si imbatte prima o poi in Garuglieri perché dopo la testimonianza di Giuseppe Ceresa, pubblicata da Togliatti a Parigi nel 1938 e ripubblicata in Italia una decina di anni dopo, quella di Garuglieri fu la prima memoria di Gramsci in carcere pubblicata su “Società” alla fine del 1946; e fra le testimonianze dei comunisti che vissero accanto a lui nel carcere di Turi quelle di Ceresa e Garuglieri appaiono le più fedeli sia perché più vicine nel tempo, sia perché “disinteressate”. Non è possibile tratteggiare qui la figura di Garuglieri; giova invece soffermarsi sulla felice escogitazione con cui Alinovi, attraverso l’apostolato di Garuglieri, racconta la sua formazione gramsciana antelitteram. Quando Togliatti l’11 aprile 1944 illustrò al cinema Modernissimo di Napoli “la politica di unità nazionale dei comunisti italiani”, Alinovi vi ravvisò i fondamenti del pensiero gramsciano trasmessigli da Garuglieri e questo, a ventun’anni, decise la sua vita. Ma cosa sono per Alinovi il “partito nuovo” e la “democrazia progressiva”? Sono innanzitutto la conciliazione di classe e nazione, per cui attraverso l’unificazione politica delle masse lavoratrici si può cambiare il corso della vita nazionale, creare una democrazia in cui le classi dirigenti superano i vecchi stecca- ti corporativi e dare inizio a un nuovo cammino di cui non si possono prestabilire i tempi e la meta finale. La “democrazia progressiva” mette continuamente alla prova le finalità particolari delle classi e dei gruppi sociali perché traccia un percorso che non ha un fine preordinato, ma deve rispondere alle esigenze profonde della nazione nel- l’affrontare le sfide che le vengono dal vivere, contendere e forgiarsi nell’aspro cimento di un mondo “grande e terribile”. Per questo la formazione di un “partito di governo delle classi lavoratrici” è una “necessità storica” della vita nazionale: esso è un partito di massa, ma non è solo la rappresentanza politica di una o più classi subalterne; è un reagente della vita intellettuale che rimette in discussione la storia del Paese e vuole plasmarne i destini. Questo è per Alinovi lo “intellettuale collettivo”, e l’espressione, di conio togliattiano, assume un significato preciso che ne illumina la narrazione e la riflessione retrospettiva. “Partito nuovo” e “democrazia progressiva” furono due grandi i- dee-forza che già guidavano il ”maestro” Garuglieri nel calibrare l’azione clandestina di un partito che apriva la strada a una pluralità di gruppi e personalità antifasciste via via che tornavano all’azione dopo la caduta di Mussolini: le attirava a sé unificandole in un organismo ricco e plurale, ma aspramente insidiato da lotte intestine e tenaci resistenze settarie vecchie e nuove.
Le memorie di Alinovi sono un affresco della vita italiana fra il 1943 e il 1946 riguardante un’area geografica limitata ma significativa all’incrocio tra la Campania, la Basilicata e la Puglia. Esse ricostruiscono vividamente un paesaggio meridionale in cui il fascismo, l’antifascismo, la guerra e la costruzione del Pci furono cosa diversa dal Nord e dal Centro; e diverso sarebbe stato il partito per tutta la sua storia. La riflessione retrospettiva ne mette in luce l’ambivalenza con un acume di giudizi che scombinano gli stereotipi della riflessione storiografica. Un grande partito di massa, di classe e di popolo, concepito per superare le fratture culturali delle classi subalterne e dei ceti intellettuali, che però per impellenti necessità di crescita si alimenta fin dall’inizio del mito dell’URSS di cui si giova soprattutto l’apparato burocratico. Questo gli imprime una pesantezza e una duplicità che non scaturiscono solo dalle contrapposizioni della Guerra Fredda, ma derivano anche dall’interesse di ampi strati della sua classe dirigente ad alimentare la “boria” di partito su cui poggia il loro modesto potere. L’introiezione del “legame di ferro” con l’URSS blocca, quindi, il progetto originario del “partito nuovo” e ne impedisce la possibilità di svilupparsi come un partito della nazione secondo il disegno togliattiano.
Alinovi ci offre così una chiave per comprendere le difficoltà di riprodursi di quella “connessione sentimentale” col popolo-nazione che aveva spinto una nuova generazione antifascista ad aderire al “partito nuovo” divenendone nel giro di un decennio la classe dirigente. Quell’afflato rivive con straordinaria intensità nella lettera Caro Pietro, caro Centenario scritta a Ingrao nel maggio 2015 e inserita nel volume, la quale testimonia l’affinità fra la lezione gramsciana trasmessa ad Alinovi da Garuglieri e l’ispirazione cristiana di tanta parte del cattolicesimo democratico. Ma queste costituirono una risorsa eccezionale, difficile da rigenerare dopo la stagione eroica della Repubblica e soprattutto quando negli anni ’70 entrò in crisi la sua impalcatura democratica.

PER UNA SINISTRA NUOVA

…in nome di Antonio Gramsci….Gramsci_Stampa-620x400

PER UNA SINISTRA NUOVA

Con la Festa del 1°maggio 2017 si è liquidata del tutto la storia del Partito che aveva una parte delle sue radici nel movimento operaio. Una volta per tutte: non vi era di certo soluzione diversa all’orizzonte.
Ce ne dobbiamo fare una ragione, senza illusioni, e cercare di andare avanti rifondando la SINISTRA, non però quella che guarda al passato senza analizzare gli errori ma quella che da questi ultimi trae le necessarie energie per riconnettersi a quella parte di persone che, in modo evidentemente disperato, affidano ancor più oggi il loro futuro e quello dei loro figli e nipoti ad un gruppo di dilettanti demagoghi senza Cultura ma con la loro primitività indorata da una patina di onestà o ad una Destra che basa la sua essenza sulle paure e le incertezze diffuse.

Rifondare significa avere la capacità di rinunciare alle strutture consolidate alla ricerca di ricostruire una vera egemonia culturale oltre che politica partendo dalla persona.

I valori individuali si dovranno misurare all’interno di un contenitore unico con le effettive necessità primarie. Occorre condividere per ri-partire (il verbo ha più sensi: avere nuove chances e suddividere i compiti) da una vecchia Sinistra divisa e rissosa, basata su protagonismi molecolari, ad una SINISTRA NUOVA unificata e pluricellulare.
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DOMENICA 30 APRILE VADO AL MARE

DOMENICA 30 APRILE VADO AL MARE

…e sì, vado a rinfrescarmi la memoria sugli inviti che Renzi rivolse – ipocritamente senza dirlo in modo esplicito come aveva invece fatto prima Craxi – al tempo non così lontano del famoso referendum sulle trivelle (se lo sono ricordato senzaltro una parte di quel 60% di italiane e italiani che ne hanno bocciato soprattutto l’arroganza lo scorso dicembre). Vado al mare e non seguo gli accorati inviti di quel gruppo di persone che credono che, partecipando, possono arginare il “fenomeno” ed aiutare la nostra “democrazia”; ho detto loro che è proprio mostrando la pochezza e la autoreferenzialità di questa leadership con il non partecipare al voto che si forniscono elementi utili per superarla; e non possono chiedere, a chi ha più e più volte sanzionato la partecipazione di elementi “anomali” (non elettori o elettori strumentali del PD) alle Primarie delle due tornate a questa precedenti, di recarsi ai Circoli per partecipare e, pur non sentendosi più “elettore” nemmeno potenziale di quel Partito, dichiararne, sottoscrivendola, l’adesione.
C’è pura follia a chiederlo e scarso rispetto a pensarlo.
Tra le altre cose in questo giochino nemmeno tanto intelligente dell’uno contro tutti, sarebbe logico che gli sconfitti facessero come al tempo dei tiranni greci, allorchè si votava e gli sconfitti erano ostracizzati: non di certo passati per le armi (in quella modalità cruenta del “non fare prigionieri”!) ma costretti all’esilio. Lo fecero anche illustri nostri contemporanei non politici come James Joyce o poeti come Pablo Neruda: non mi paragono di certo a questi, anche se avverto la sindrome dell’esiliato, di colui che appartiene ad un territorio neutro. Non suggerisco nulla di preciso, se non di utilizzare la coerenza: come si fa a dire tutto il peggio sulla gestione del Partito da parte di Renzi (lui fa così, io farei….) e rimanere poi al suo interno?
La Sinistra ha bisogno di chiarezza, di autonomia, di schiettezza: c’è spazio di manovra, il lavoro non manca.

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QUANDO LA “COPPIA” SCOPPIA!

QUANDO LA “COPPIA” SCOPPIA!

L’altro giorno parlavamo di coppie “scoppiate”; l’usura dei rapporti con il tempo che scorre porta via gli entusiasmi, le passioni, le complicità, le scoperte di avere pensieri comuni da condividere, e tanti progetti da mettere in piedi e traguardi da conquistare. Nel corso degli anni noi che gli “anta” li abbiamo superati da oltre un trentennio quanti episodi di divisione e di sbandamenti vari abbiamo incrociato e ci sembra, per ora, che questi turbini non ci abbiano ancora scossi….
E’ la stessa cosa, pensavo, con quelle passioni politiche che abbiamo coltivato e con quelle belle compagnie che ci hanno tradito; eppure dagli anni giovanili quante battaglie abbiamo condiviso, dagli anni Sessanta, quando in un paio di occasioni abbiamo messo a repentaglio noi stessi ed abbiamo conosciuto le “questure”: già allora la Scuola non ci sembrava tanto “buona”, ma non conoscevamo ancora quella dei nostri tempi. E quante altre manifestazioni, occupazioni, cortei abbiamo organizzato e più in là nel tempo, quando noi credevamo ancora di poter cambiare il mondo in modo diverso da quello che ci stavano lasciando i nostri genitori, abbiamo coltivato i nostri ideali mai e poi mai considerando che potevano essere delle illusioni.
Io ancora ci credo, ma non posso condividere questi sogni maturi con coloro che mentono sapendo di mentire ed illudono sapendo di illudere.
Non è assolutamente possibile camminare fianco a fianco con coloro che hanno, mentendo spudoratamente nell’ammantarsi di idealità, coltivato i propri personali vantaggi ottenuti anche grazie al sostegno disinteressato di tante persone. E continuano a farlo imperturbati ed ipocriti, pretendendo addirittura che, dopo il divorzio, si possa ancora per un tantino convivere, semmai giusto il tempo di acconciarsi meglio. E’ come in una “coppia scoppiata”: è ben difficile ricomporre i pezzi. E poi a cosa servirebbe? Ad arrabbiarsi ancora di più, a protrarre le sofferenze. Ben si sa che in questo caso per chi ne traesse vantaggi, queste sarebbero molto ridotte; ma – personalmente – sono ben convinto di evitare qualsiasi occasione.
Allo stesso tempo, voglio avvertire coloro che pensano a manovre diversive, non dirette ma “circolari” che con me si astengano dal riprodurle se non desiderano il mio odio eterno.

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Non abbiamo bisogno di foglie di fico…che celino le nudità del sovrano di turno.

Non abbiamo bisogno di foglie di fico…che celino le nudità del sovrano di turno.

Da che mondo è mondo ci provano ed alla fine dei conti una parte ci casca: per canalizzare gli scontenti, per normalizzare i dissidenti, si inventano “alternative” per drenare una parte delle acque ribelli e riportarle nell’alveo, imprigionandole con blandizie e promesse al solo scopo di neutralizzare quella che il potere considera un pericolo per il mantenimento dei suoi benefici.
Le chiamo “foglie di fico” come quelle che al tempo della post-Controriforma venivano apposte alle divinità ed ai personaggi scolpiti o dipinti così come “mamma” li aveva confezionati.
Ovviamente molti ci cascano e credono che davvero si possa produrre un cambiamento nel corpo vile delle forze politiche. Non me ne intendo di quelle di Destra ma sono abbastanza esperto di quelle della Sinistra, che non ha ancora imparato a rispettare le persone”libere”, anzi si diverte a dileggiarle, riservando loro a volte ipocriti “coccodrilli” positivi in loro morte. Che pena mi fece quel consesso comunale allorquando, fresco di nomina elettiva al Consiglio, fui partecipe dell’orazione funebre per uno dei Sindaci della città di Prato più galantuomo che essa ricordi. Ma, lo si sa, così va il mondo: molto male, infatti, esso continua ada andare!

Ieri pomeriggio davanti ad un importante Supermercato di Montemurlo ho incontrato due rappresentanti del Comitato pro-Orlando impegnati a portare acqua al mulino del proprio candidato alle Primarie del Partito Democratico che si svolgeranno il prossimo 30 aprile. Saluto cordiale come di norma si fa in un contesto civile di rapporti umani, ma declino l’invito a partecipare alle Primarie, in quanto non-elettore del Partito Democratico. Mi invitano a mettere da parte il dissenso e a dare un contributo con il mio voto ad una “minoranza”; “con il cuore spezzato” dico io “non posso partecipare, in quanto “non posso” dichiararmi “elettore” di quel Partito. “…che hai fondato…” mi si dice; e questo rende ancora più seria e grave la mia scelta.
Il fatto è che io considero completamente conclusa la storia di quel Partito che ho contribuito a fondare; e ritengo che soprattutto la figura di Orlando sia una delle “foglie di fico” per ricondurre a più miti consigli i recalcitranti “di bocca buona”, quelli che appartengono al classico “buonismo caciottesco” all’italiana. Mi viene ricordata la figura di Fabrizio Barca, come mio amico, sostenitore di Orlando in questa fase ed a me sovviene che lo stesso Barca sia a conti fatti stato al tempo in cui sembrava poter incarnare un vero rinnovamento (ci eravamo “cascati”, forse?) un’altra classica “foglia di fico” visto la parabola della sua azione politica.
E poi, a proposito di “foglie di fico”, andate a vedere chi c’è tra i sostenitori eccellenti di Orlando: figure “grigie” da quando erano giovani!
Non c’è vita su Marte! e non c’è vita nel PD: solo ectoplasmi plaudenti ad un gruppo di potere che continuerà il suo viaggio verso il baratro.

My name is Joshua

Dopo i tramonti ci sono le albe – ricordiamocelo!

Tramonto

Dopo i tramonti ci sono le albe – ricordiamocelo!

Questa mattina riflettevo su quanto è accaduto di recente intorno allo Spazio AUT di via Filippino 24, il luogo nel quale ho deciso di impegnare il mio tempo residuo nell’elaborazione di progettualità culturale con valenze politiche e politiche con valenze culturali. C’è irritazione e un po’ di rabbia verso l’atteggiamento “padronale” di chi finora senza che gli fosse stato chiesto (perlomeno così a me pare) ha pagato l’affitto di quei locali. Ho cercato di capire, come faccio sempre più spesso con l’età che avanza (ero anch’io un giovane scalpitante puledro), ascoltando gli altri che vivono quella realtà da più tempo, alcuni di loro dall’inizio, dalla fondazione, dall’apertura degli spazi. Tuttavia ho voluto esprimere il mio disagio, non solo quello attuale che condivido solo in parte (ed è per questo che scrivo qui) ma soprattutto quello che ho percepito sin dal primo momento di vita di quegli spazi: c’era – già allora – qualcosa che non mi convinceva del tutto: avrei dovuto esprimerlo? In effetti lo feci ad un compagno che si vantava di aver contribuito – immagino con il suo impegno diretto – a creare un “luogo” nel quale coinvolgere tanti giovani. Conoscendo le motivazioni e le frequentazioni del compagno di sopra, ricordo bene che gli urlai di non ingannare quei giovani, come spesso avevo visto fare da parte di presunti politici mediatori anche in occasione di altri dissensi espressi da gruppi dei quali anche io facevo parte. Era la solita trappola da inganno.
Ora, però, l’inganno si è svelato ed allora più che inalberarsi occorre avviare abbastanza rapidamente una riflessione. A me sembra che abbiano più problemi quelli che ora ci sembrano prevaricatori di quanti se ne abbia noi che ci siamo sentiti ingannati. Il rapporto di forza è quanto mai pendente verso coloro che posseggono un po’ di Cultura e la praticano per crescere senza presumere di averne troppa, a sfavore di chi forse possiede momentanee risorse che sono ben poca cosa rispetto ai valori civili che ci sorreggono.
E, allora, andiamo avanti. Dopo un provvisorio “tramonto” l’alba ci sorride!

Appunto ecco quel che stamattina ho inviato a tre dei miei compagni con cui dialogo negli ultimi tempi:

Non sempre quello che appare un impedimento porta con sè elementi negativi. L’intelligenza umana deve prevalere sull’ottusità. Occorreva maggiore chiarezza e quel che è accaduto permette a ciascuno di noi di ottenerla. Si procedeva su un cammino di ambiguità, di cose non dette ma frequentemente pensate o dette tra pochi. E’ dunque necessario, al di là delle possibili dichiarazioni “ufficiali” o personali, dei “distinguo”, reimpossessarsi della nostra autonomia, senza per questo dover rinunciare a proporre una linea politica alternativa. La scelta di consentire ad una forza politica ben distinta, il Partito Democratico, di occupare uno dei due spazi all’interno dei quali si è svolta finora l’attività culturale-politica di AUT e LeftLab, non può essere accolta come un elemento marginale collegato a giustificazioni meramente economicistiche; in quell’azione è venuto meno essenzialmente un possibile rapporto umano di fiducia tra chi possiede risorse e le mette a disposizione e chi, soprattutto giovani, ha bisogno di quegli spazi per esprimere “LIBERAMENTE” la propria essenza.
La parte potenzialmente meno libera per vincoli di carattere economico ha la possibilità di contrapporsi razionalmente a tutto questo, senza esprimere necessariamente il proprio dissenso sdegnato a volte negativamente sguaiato. Occorre dunque fare gruppo, unirsi, fare “massa”, arricchendo di Cultura questo “impasse” politico.

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My name is Joshua

COME ABBIAMO PREPARATO LA SERATA DEL 7 APRILE – presentazione del libro di Michele Gesualdi “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” con Seun Balù Isingbadebo, maria Laura Cheli e Sandra Gesualdi terza parte

COME ABBIAMO PREPARATO LA SERATA DEL 7 APRILE – presentazione del libro di Michele Gesualdi “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” con Seun Balù Isingbadebo, maria Laura Cheli e Sandra Gesualdi terza parte

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Non conoscevo Sandra Gesualdi fino agli inizi di gennaio 2017. Con suo padre, Michele, avevo intessuto rapporti allorquando, Presidente della Provincia di Prato, eletto direttamente dai cittadini (quella del 2004 fu la prima volta che ciò avveniva), ci si incontrò a Prato per la intitolazione di una sala della nuova sede della Circoscrizione Est del Comune di Prato nella zona de “I Lecci”. In quell’occasione da membro dell’Esecutivo come Presidente della Commissione Scuola e Cultura insieme a Luigi Palombo, fratello di don Ezio, con il quale don Milani si era fortemente legato in amicizia sin dagli anni di San Donato, inaugurammo una dependance al pianoterra formata da alcune stanze das utilizzare sia per seminari che per una piccola biblioteca, intitolandola poprio al Priore di Barbiana. Da quel momento, cultore della memoria e dell’impegno che don Milani mi aveva ispirato, ho più volte incontrato Michele Gesualdi, organizzando incontri sui principali testi donmilaniani e su quello che Michele nella sede di Barbiana prima e nella sede fiorentina della Fondazione andava proponendo per diffondere il metodo di Barbiana.

Chi conosce la “Storia di Prato” non quella di Fernand Braudel ma quella più recente sa bene che nel 2009 in questa città, dopo un lunghissimo ininterrotto periodo di amministrazioni di Centrosinistra per le profonde responsabilità dei dirigenti politici del PD, prevalse il Centrodestra e tra le poche linee vendicative si apprestò a cambiare l’intitolazione della sala della Circoscrizione Est assegnandola ad un altro don, diversamente importante e significativo per la simbologia prescelta dai precedenti amministratori, Luigi Sturzo, che quasi certamente – io penso – fosse stato possibile sentirlo, non sarebbe per niente stato d’accordo. Ci fu un sollevamento di protesta ma poi ci rendemmo conto che probabilmente lo stesso don Milani avrebbe detto “I do not care”, assestando uno schiaffo morale a tutti e continuando imperterrito a procedere nella cura civile dei suoi perenni (tanti di noi compresi) ragazzi.

Ora, nell’approssimarsi di un anniversario importante è stato lo stesso Michele ad avvertirne l’esigenza e, di fronte a difficoltà connesse alla salute, ha impegnato in prima persona Sandra, sua figlia a cooperare per la redazione editoriale di un nuovo libro, “Don Milani – L’esilio di Barbiana”, che raccoglie alcuni episodi già noti accanto ad altri meno noti o del tutto ignoti finora, frutto della sua quotidiana presenza accanto al Priore sia a Barbiana che a Firenze negli ultimi giorni della sua vita.

Come tante volte accade, avevo ricevuto l’invito a partecipare alla presentazione del libro il 26 novembre u.s. nella sala del Gonfalone in Palazzo Panciatichi a Firenze ma la mia pigrizia è notevole (non sanno le amiche e gli amici che mi invitano a Firenze che quelle pochissime volte che mi sono mosso sono un segnale che dovrebbe inorgoglirle/i) e mi sono accontentato di seguire il servizio su Rai 3 Regionale rammaricandomi per non esserci stato, anche perché ho visto la forza e la sofferenza sul volto di Michele. E così, quando invece ho letto che Sandra avrebbe presentato il libro a Sesto Fiorentino presso la Libreria Rinascita agli inizi del mese di gennaio 2017 mi ci sono precipitato. E lì ho conosciuto direttamente Sandra ed in coda all’evento con una certa improntitudine (mi sono presentato e le ho chiesto se poteva darmi una data per Prato, mentre si proiettavano le immagini riprese dalla cinepresa del professor Agostino Ammannati, ricevendo un “Ne parliamo dopo!” che era un giusto rimprovero) sono riuscito ad avere il suo cellulare e l’impegno generico ad essere a Prato per la fine di marzo.

Il resto al prossimo post

….fine terza parte… continua….

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