6 giugno – INFER(N)I – Inferni – non solo Dante – Il sogno di Scipione di Marco Tullio Cicerone

Ouverture da “Il sogno di Scipione” Mozart

Tra i tanti testi che affrontano il tema dell’aldilà utilizzando l’escamotage di un “sogno” vi è questo racconto di Cicerone che all’interno di un testo più ampio ci presenta in funzione profetica la Storia delle future imprese di Scipione Emiliano, a lui annunciata in “sogno” dal nonno adottivo Scipione l’Africano. Nel testo che segue che ha una funzione didattica educativa di tipo filosofica troviamo una profonda lezione di etica intesa a valorizzare l’esistenza umana alla quale si impone grande rispetto. Allo stesso tempo vi è la descrizione di questo luogo celeste annunciandogli che gli dei riserveranno a lui, come a tutti gli altri uomini virtuosi l’immortalità dell’anima ospitata in eterno nella Via Lattea: quindi non un luogo oscuro come gli Inferi ma una sede luminosa celeste.

Va proprio in questo caso tenuto presente che agli Inferi (luogo buio nelle viscere della terra, Ade per i Greci – Averno per i Romani) non vi sono distinzioni dal punto di vista del “merito” conseguito in vita. Tutto appare come una destinazione “comune” con la differenza che si tratta sempre di uomini (o donne, ma poche) celebri.

Il testo è tradotto da Fabio Stok


Da parte mia, non appena mi fu possibile soffocare le lacrime e riacquistare l’uso della parola, dissi: «Ti prego, o padre ottimo e veneratissimo, visto che questa è la vera vita, come ho appreso dall’Africano , a che pro rimango sulla Terra? Non è meglio che mi affretti a venire in questo luogo, fra voi? ». «Questo non è il modo – rispose lui –. Non è infatti possibile che ti venga aperto l’accesso a questo luogo, se a liberarti dalla prigionia del corpo non è quel dio di cui tutto ciò che qui vedi è il tempio . Gli uomini, infatti, sono procreati con il compito di custodire quella sfera che vedi al centro di questo tempio, e che è denominata Terra, ed è loro assegnata un’anima derivata da quei fuochi eterni che voi chiamate astri e stelle. Questi fuochi, sotto forma di masse sferiche, percorrono con velocità stupefacente, animati da intelligenze divine, proprie orbite circolari. È per questo, o Publio, che tu e tutti gli uomini devoti dovete custodire l’anima in quella prigione che è il corpo, e non potete lasciare la vita umana se non per ordine di colui che vi ha consegnato l’anima ; diversamente voi sembrereste tradire il compito umano che vi è stato assegnato dal dio. Quindi tu, Scipione, pratica la giustizia e il dovere della pietà, che se è importante nei rapporti con i genitori e con i familiari, è importantissimo nei confronti della patria, e segui così l’esempio di tuo nonno, qui presente, e di me stesso, che sono quello che ti ha generato. Questo tipo di vita costituisce la via che porta verso il cielo e verso questa confraternita di uomini che sono già vissuti e che ora, liberatisi del, corpo vivono in questo luogo che tu stai vedendo (e infatti era un cerchio luminoso, di uno splendore abbagliante, in mezzo ai fuochi astrali) e che voi chiamate, come avete appreso dai Greci, Via Lattea» .

Da quel luogo potevo osservare tutto il resto, che mi appariva di mirabile lucentezza. C’erano infatti stelle che non abbiamo mai visto da qui, ed esse erano tutte così grandi che noi non lo sospettiamo neppure; fra gli astri, il più piccolo era quello che sta più lontano dal cielo e più vicino alla Terra, e che brilla di luce altrui. Le stelle, poi, erano corpi celesti assai più grandi della Terra, e questa mi apparve anzi così piccola che mi venne una stretta al cuore nel vedere che il nostro impero non occupa che un piccolo punto di essa. Continuando io ad osservarla con sempre maggiore interesse, l’Africano intervenne: «Ti prego, quanto ancora la tua mente continuerà a rivolgere lo sguardo verso terra? Non vedi in quali templi sei entrato? Hai qui nove cerchi, o meglio sfere, tutte connesse fra loro, delle quali una è quella del cielo, la più esterna, che contiene tutte le altre; essa è lo stesso dio supremo, che comprende e tiene insieme tutto il resto. In essa sono fissate le orbite eterne percorse dalle stelle in rotazione; ad essa sono sottoposte le sette sfere che ruotano all’indietro, in senso contrario a quello del cielo. Di queste sfere, una è quella occupata dall’astro che sulla Terra chiamano con il nome di Saturno. Quindi viene quello folgorante che prende il nome da Giove e che agli uomini porta prosperità e salute. Poi c’è quello rosso e rovinoso per la Terra, a cui date il nome di Marte. Viene poi la regione all’incirca intermedia, più sotto, che è occupata dal Sole, guida, principe e reggitore degli altri astri, anima del mondo e suo equilibratore; esso è tanto grande da arrivare con i suoi raggi dappertutto. Gli fanno seguito l’orbita di Venere e quella di Mercurio, mentre nella sfera più bassa ruota la Luna, che ha luce dai raggi del Sole. Al di sotto di essa non c’è più nulla che non sia mortale e caduco, con l’eccezione delle anime assegnate quali doni divini al genere umano; sopra la Luna, invece, ogni cosa è eterna. Infatti la nona sfera, quella centrale, cioè la Terra, non è dotata di movimento ed è la più bassa, e verso di essa cadono, per inclinazione naturale, tutti i gravi». Fui preso da meraviglia all’osservazione di tutte queste cose, e quando mi ripresi dallo stupore dissi: «Che cos’è? che musica è questa, così intensa e così piacevole, che riempie le mie orecchie?». Egli rispose: «È quella prodotta dall’energia che muove le sfere stesse, composta da note emesse ad intervalli ineguali, ma tuttavia distribuiti ciascuno sulla base di un rapporto razionale: ne deriva una precisa varietà di armonie, nelle quali i toni alti si mescolano a quelli gravi. Non sarebbe possibile, del resto, che movimenti così ampi si verifichino in silenzio, ed è la natura che fa sì che le sfere estreme producano le une suoni gravi, le altre suoni acuti. Per questa ragione il cerchio più alto del cielo, quello delle stelle, essendo il suo movimento più rapido, produce ruotando un suono alto e acuto; quello della Luna, invece, che è il più basso, emette il suono più grave; la nona sfera, cioè la Terra, resta infatti immobile ed è sempre ferma nella posizione che occupa, al centro dell’universo. Le altre otto sfere, invece, avendo due di esse la stessa tonalità, emettono sette diversi suoni, a diversi intervalli (è questo il numero che sta per così dire alla radice di tutte le cose). Uomini dotti, imitando questo meccanismo con gli strumenti a corda e con il canto, si garantirono così il ritorno in questo luogo, e come loro hanno fatto coloro che nella loro vita terrena affrontarono, grazie alle loro straordinarie capacità, argomenti divini. Le orecchie degli uomini, riempite da questo suono, sono diventate sorde, e nessuno dei sensi è in voi così debole come questo; così accade nella località chiamata Catadupa, dove il Nilo precipita da montagne assai alte: la popolazione di quella località, a causa del grande frastuono, ha perso il senso dell’udito. Anche il suono provocato dalla velocissima rotazione dell’intero mondo, è così forte che le orecchie degli uomini non sono in grado di ascoltarlo; analogamente non potete fissare direttamente il Sole perché il vostro senso della vista è vinto dai suoi raggi.