19 giugno – PICCERE’ – un recupero con revisione – 3 (per la parte 2 vedi 2 giugno)

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Il viaggio fu lungo; i bambini erano davvero monelli e Adelaide dovette rimproverarli più e più volte. Era la prima volta ed erano tante le prime volte una dietro l’ altre per Picceré, che non solo non aveva mai visto il mare ma dovette anche imbarcarsi entrando nella pancia di un palazzo enorme tutto fatto di ferro che portava tante automobili dall’altra parte del mare verso quello che chiamavano “il continente” e poi una volta usciti fuori da quel buco l’auto continuò a percorrere strade piccole e grandi e lei guardava dal finestrino, e gli occhi saettavano su tutto e bevevano le novità che le andavano incontro. Si fermarono in un posto con aiuole verdi e fiorite verso il primo pomeriggio e Adelaide da un cesto che aveva nel portabagagli aveva tirato fuori una mezza forma di caciocavallo ed un mezzo prosciutto e con due pagnotte aveva cominciato, seduta in un angolo ed appoggiato il tutto su una ampia tovaglia, ad affettare formaggio, prosciutto e pane ed aveva distribuito la merenda al marito, alle “pesti” ed a Piccerè, che andava trasformando l’entusiasmo in tristezza. Poi ai ragazzi ed alla giovane aveva dato una bottiglia di acqua perché la bevessero a canna ed a Stefano – ed un po’ anche per sé – una fiaschetta di vino rubizzo delle loro fertili campagne siciliane. Arrivarono a Prato che era buio; i ragazzi si erano stancati di saltellare e provocarsi a vicenda e si erano addormentati. Piccerè saettava con gli occhi da ogni parte anche se non capiva quasi niente, tanti erano i paesaggi che scorrevano; e sul far della sera poi tutto era indistinto difficile e la ragazza era davvero confusa, ancora più triste: forse era il buio della notte che incombeva. Adelaide lo capì e quando si fermarono che erano sotto casa chiese al marito di provvedere lui ai ragazzi e a scaricare la macchina e presa sottobraccio la giovane la volle accompagnare amorevolmente in casa mostrandole la sua cameretta. Era troppo stanca e lasciatala lì a mettere a posto le sue poche cose ché dopo qualche minuto sarebbe poi salita a prenderla per una cena frettolosa giusto per non andare a dormire digiuni, Adelaide la ritrovò che già dormiva alla grande, le spense la luce, le rimboccò le lenzuola e le diede un bacio sulla fronte.

La città, quella mattina, si era risvegliata con i soliti rumori, soliti per chi la vive e vi si è abituato. Sotto la casa di Adelaide e ……. dove la sera prima era arrivata, Piccerè cominciò a sentire strani e prolungati progressivamente prolungati rumori che venivano da lontano, si avvicinavano si allontanavano ma poi riprendevano e poi si mescolavano ad altri che provenivano da altre direzioni; così almeno pareva a Piccerè, che non ne aveva mai sentiti di così fastidiosi fino a quel mattino. A casa sua era la natura a tenerle compagnia nei giorni di vento che scendeva forte dalle alture o proveniva dal mare lontano e squassava il fogliame degli alberi di gelso o le querce che circondavano il fosso che separava la proprietà della sua famiglia da quella di compare Sauro; erano i galli che già alle prime luci intonavano il loro rituale risveglio o le mucche che attendevano le cure giornaliere; erano le voci degli “uomini” che si occupavano di preparare le prime attività sorseggiando tazzoni di caffelatte mentre finivano di vestirsi; le donne, le sorelle più grandi, avevano il compito di preparare in silenzio una prima colazione veloce. A Piccerè non toccavano questi lavori mattutini ed ascoltava in silenzio poltrendo ancora una buona mezzora nelle lenzuola ruvide di tela grezza. A casa sua…fino alla mattina prima.