Parte 2
Il paese era piccolo e tutti conoscevano tutti; Piccerè era
piccolina di statura così come il nomignolo con cui la chiamavano, anche quando
aveva raggiunto l’età di 16 anni ed era ormai guardata dai giovani – quei pochi
rozzi e brutti che circolavano ancora, anche perché negli anni sessanta la
strada più facile per tanti era stata quella del “continente”, Torino, Milano,
la Germania – non era interessata a loro. Anche se come tutti gli altri della
famiglia non aveva frequentato nemmeno un giorno di scuola Picceré era
vivacissima per la furbizia e non si lasciava lusingare dalle sollecitazioni
delle altre sorelle più grandi che, essendo già sposate, la spingevano a
scegliere la sua strada presentandole di tanto in tanto qualche “rozzo”
pretendente. Un’estate, era il 1963, era tornata per un grave lutto nella
famiglia del marito una sua cugina, Adelaide, che viveva a Prato. Adelaide era
una bella giovane donna, più elegante che bella ma davvero faceva la sua figura
in mezzo a quelle contadine ed a quei buzzurri. Vennero con una bella auto
portando con loro i due figli che non avevano nemmeno conosciuto il nonno, che
era morto in quei giorni. Adelaide parlava di quella città, Prato, decantandone
l’operosità ed anche la facilità di trovare lavoro, diceva “meglio che a Torino
o a Milano o in Francia, in Belgio e Germania”. “Certo, la “ggente ce chiamme
marrocchine ma se lavori t’apprezza anche perché so’ ggeluse del modo con cui
stammo assieme ridendo e facendo un po’ casino; lloro so’ fridde, ma a nnuje
che ce n’ mporta”. Piccerè beveva a gorgoglioni tutto quello che la cugina
raccontava e già sognava la sua libertà.
Ce ne volle d’impegno da parte di Adelaide e Stefano, suo marito, per
convincere Gesualdo a farla partire per Prato a fine agosto. Ma il padre
stimava moltissimo quel suo nipote acquisito e conosceva sin dalla nascita
anche Adelaide, donna pia e coraggiosa; e poi a Prato aveva anche un altro
fratello più grande di lui che aveva fatto il meccanico e quindi per Picceré ci
sarebbe stata possibilità di controllo da parte della famiglia e se voleva lui
stesso poteva salire a riprendersela, anche se si stava facendo vecchio e gli
acciacchi lo bloccavano nelle ossa. Le sorelle erano gelose di questa
avventura; sotto sotto appunto la invidiavano ma la loro vita era stata
segnata; la prima, Filomena, aveva già una bambina di cinque mesi, la seconda.
Concetta, era in attesa da sette mesi ed ogni tanto minacciava di sgravare
anzitempo, non avendo mai smesso di lavorare nei campi.
Con la valigia di cartone chiusa tutta intorno con lo spago sistemata sul
portapacchi Piccerè salì sulla Fiat 1500 celeste sedendosi come una signora
dietro con i due diavoletti; e qualche lacrimuccia la versò dopo aver
abbracciato la mamma e il padre e salutato sorelle e fratelli.
A Prato, lo aveva promesso, avrebbe fatto la brava e si sarebbe subito cercato
un lavoro; Adelaide aveva detto a tutti che sarebbe stata ospite da loro fin
quanto avesse voluto e semmai – nel pensiero di Adelaide questa idea le
balenava – avrebbe potuto accudire alle due “pesti” di casa. In più le aveva
anche fatto capire che a due passi da casa loro, una delle sue cugine aveva da
poco aperto un bar e forse avrebbe già lì trovato lavoro.