26 giugno – INFER(N)I – Non solo Dante – Eneide 3/c La profezia di Anchise

Appena vide Enea che gli veniva incontro attraverso il bel prato gli tese le mani piangendo di gioia: «Finalmente sei giunto, la tua pietà – che tanto ho aspettato – ha potuto vincere le durezze del cammino? Ti vedo, sento la nota voce, posso parlarti, figlio! Speravo di vederti e calcolavo il tempo: né la trepida attesa m’ha ingannato. Attraverso quali terre, attraverso quanti mari portato, da quanti pericoli sbattuto, o figlio, ti accolgo! E quanto ho temuto i pericoli del regno della Libia !» E l’eroe: «La tua Ombra dolente, tante volte veduta in sogno, mi spinse a venire quaggiù: le mie navi sono ferme sul Tirreno . Deh, lasciami prendere la tua mano! Non sottrarti al mio abbraccio!» Così dicendo bagnava le gote di pianto. Tre volte cercò di gettargli le braccia al collo, tre volte l’Ombra, invano abbracciata, gli sfuggì dalle mani simile ai venti leggeri o ad un alato sogno . Nella valle appartata Enea vede una selva solitaria, fruscianti virgulti e il fiume Lete che bagna quel paese di pace.  Intorno ad esso si aggiravano popoli e genti innumerevoli : così nell’estate serena le api si posano sui fiori colorati e sui candidi gigli e tutta la pianura risuona del loro ronzio. Enea stupisce alla vista improvvisa e ne chiede il significato, che fiume sia quello laggiù, chi siano le anime che affollano le rive. E Anchise: «Coloro cui tocca incarnarsi una seconda volta, bevono al Lete un’acqua che fa dimenticare gli affanni, un lungo oblio. Ma è tanto che desidero mostrarti, una per una, le anime che un giorno saranno i miei discendenti; così sempre di più potrai rallegrarti d’aver raggiunto l’Italia ». «Padre, dobbiamo credere che ci siano delle anime che fuggono di qui per salire nell’aria terrestre e ritornare di nuovo nei pesanti corpi? Che desiderio insensato di vita possono avere, infelici?» Eneide, canto VI trad.ne di C. Vivaldi vv.833-873

Ora ti svelerò con parole quale gloria si riserbi
alla prole dardania, quali discendenti dall’italica
gente siano sul punto di sorgere, anime illustri
e che formeranno la nostra gloria, e ti ammaestrerò sul tuo
fato. Quel giovane, vedi, che si appoggia alla pura asta,
ha in sorte i luoghi prossimi alla luce, per primo
sorgerà agli aliti eterei; commisto di sangue italico,
Silvio, nome albano, tua postuma prole
che tardi a te carico d’anni la sposa Lavinia
alleverà nelle selve, re e padre di re
da cui la nostra stirpe dominerà su Alba la Lunga.
Vicino a lui è Proca, gloria della gente troiana,
e Capi, e Numitore, e Silvio Enea che ti rinnoverà
nel nome, in uguale misura egregio nella pietà
e nell’armi, se mai otterrà di regnare su Alba.
Che giovani! che grandi forze dimostrano, guarda,
ed hanno le tempie ombreggiate dal premio cittadino della
quercia!

Questi Nomento e Gabi e la città di Fidene,
quelli ti ergeranno sui monti le rocche collatine,
Pomezia e Castro d’lnuo e Bola e Cora.
Questi saranno i nomi, ora sono terre prive di nome.
E all’avo s’accompagnerà il marzio Romolo,
che la madre Ilia partorirà, del sangue
di Assaraco. Vedi come si erge il duplice cimiero sull’elmo,
e già il Padre lo segna dell’onore proprio degli dei?

trad.ne di Luca Canali

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