11 luglio – PICCERE’ – un recupero con revisione – 4

Ora era a Prato, da sua cugina Adelaide; era “come” fuggita” dalla sua famiglia, una fuga non proprio autorizzata dal “padre padrone” che l’aveva addirittura minacciata di non volerla più vedere, tanta sarebbe stata la sua vergogna se fosse partita e che, da vigliacco qual era, non si era nemmeno presentato quella mattina a salutare la nipote e la figlia minore, che per qualche giorno – questi erano gli accordi – si sarebbe trattenuta in Toscana a cercare lavoro. Piccerè non si era pentita, perlomeno non ancora, anche se la sera prima al suo arrivo in quella casa nuova, per quelle strade nuove, affollate di gente ma anonime e del tutto sconosciute, si era lasciata prendere dalla paura e dallo sconforto e la tristezza le aveva riempito il cuore. Era però qualcosa di irrazionale, forse solo un timore naturale, avrebbe potuto dirlo “esistenziale”, verso il suo futuro. Di casa sua avrebbe, solo poi, provato nostalgia profonda per gli odori ed i sapori. Quella mattina si era risvegliata e, per un certo languorino allo stomaco, si era ricordata che la sera prima non aveva nemmeno cenato tanta era stata la stanchezza e l’emozione del lungo viaggio dalla Sicilia, durato un’intera giornata.
Non era abituata a tanto lusso, o perlomeno così le parve quando dopo aver disceso le scale interne del terratetto entrò in una cucina ampia e luminosa con grandi vetrages e vi trovò una tavola apparecchiata con ogni bendidio a sua disposizione; i due “monelli” di bambini con i quali aveva avuto contrasti durante il viaggio erano già compostamente seduti a sorseggiare del buon latte solo lievemente macchiato con della cioccolata. Sembravano molto lontanamente somiglianti a quelli che avevano imperversato nei giorni precedenti facendo dannare un po’ tutti; sembravano dei “piccoli lord”. Piccerè non era abituata e per questo motivo non si sedette nemmeno. Prese dal tavolo senza sedersi una tazza di latte e due biscotti e si mise in un angolo di fronte alla grande finestra alle spalle dell’acquaio e lì bevve in pochi sorsi il latte e mangiò quei primi due biscotti, che poi seppe erano tipici prodotti di quella città.

“No, per il momento no! Abbiamo già trovato” La cugina di Adelaide, quella che aveva aperto il bar in via Bologna a pochi passi da casa, purtroppo da qualche giorno aveva assunto una ragazza di Barberino che era passata a cercar lavoro. “Però” – dopo aver dato uno sguardo a Piccerè, disse – “c’è l’ingegnere Puccini che proprio stamattina, facendo come al solito colazione, mi ha chiesto se conoscevo qualche brava ragazza da mandargli a servizio. Se vuoi ”aggiunse ad Adelaide” domattina quando ritorna ti mando a chiamare”.
Andò così che due giorni dopo di prima mattina Adelaide accompagnò Piccerè in casa Puccini (erano fra l’altro imparentati, per un ramo lontano però, con il maestro di Torre del Lago) in Santa Trinita. La vecchia governante di famiglia – Eugenio Puccini era un famoso ingegnere tessile – non era più in grado di seguire le loro varie vicissitudini e si era ritirata, sostenuta da una buona pensione, da dei nipoti che ne avevano bisogno per i loro figli piccoli. La moglie dell’ingegnere per gli studi svolti avrebbe potuto insegnare ma aveva preferito fare la “signora” e si impegnava “a tempo pieno” soprattutto in una delle società cristiane caritatevoli. Caritatevole senz’altro fuori casa, abbastanza despota e piena di superbia in casa.