29 LUGLIO un recupero strumentale p.1

Nel corso del mese di marzo 2021 si è svolta una sorta di blackcomedy italiana – la denuncia di Zingaretti (il fratello dell’interprete del commissario Montalbano) riapriva i cuori alla speranza di un “rinnovamento” – A conti fatti, oggi, quella speranza è del tutto svanita – Il post che segue serva da promemoria

UNA DOMANDA DA PORSI (tra le tante, con urgenza) – prima parte – un preambolo  (nella seconda parte la domanda)

Agli inizi di questo mese, al termine di un percorso molto irto di ostacoli, il Segretario del Partito Democratico si è dimesso da quel ruolo. Lo ha fatto in modo inedito, inusuale nel mondo della Politica, lanciando un atto di accusa all’intero Partito. Ha detto: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.

Di fatto, che le cose nel Partito Democratico non funzionassero, più di qualcuno se ne era accorto. Anche Zingaretti; ed è chiaro che, quando sei in un meccanismo che stenta a procedere, inceppato da mille convenzioni e convenienze, hai milioni di difficoltà ad uscirne in modo elegante. Anche per questo motivo, non sarebbe stato comprensibile, ed accettabile, un passo indietro (sarebbe apparso come una resa per debolezza, e Zingaretti non può essere attaccato su quel versante): era necessario esprimersi con una formula di “attacco” agli stessi organigrammi e apparati da lui “virtualmente” coordinati, quelle “correnti” litigiose ed ipocrite, molto più avvezze a mantenere le loro posizioni in equilibrio.

Il Segretario con la sua scelta non aveva alcuna intenzione di farsi pregare per ritornare in quella posizione ed ha contribuito forse proprio per questo motivo ad indicare la via di uscita, che possiede in gran parte anche il senso della figura che è stata chiamata a subentrare. In realtà il Partito Democratico stava vivendo una contraddizione strutturale sin dalla sua costituzione. Va ricordato che nelle prime consultazioni “primarie”, quelle costituenti di domenica 14 dicembre 2007, tra i candidati c’era anche il “nuovo” Segretario, Enrico Letta. Le “speranze e le aspettative” per un “cambio di passo metodologico” con le quali tanti avevano accolto questo nuovo Partito furono presto deluse (su questo Blog ne ho trattato e continuo a farlo pubblicando testi “storici” dell’esperienza personale locale). Il clou di questa tendenza, che portava sempre più lontano il Partito dalle masse più deboli e da quella parte che ne avrebbe voluto privilegiare le ragioni, è stato l’ingresso veemente di Renzi e di coloro che, oltre Matteo Renzi, anche loro fondamentalmente estranei a quegli obiettivi, lontani anni luce da essi, oltre che da una consistente parte già “interna” ne sollecitavano l’avvento per costruirsi fortune poco più che personali. E’ nato così il “renzismo” che non ha nulla da spartire con le idee “democratiche” (non necessariamente rivoluzionarie) che erano alla base dei programmi preparatori del nuovo Partito. Ho scritto – e detto – in più occasioni che per riaprire nuovi “cantieri” non vi è il bisogno di inventare nuove formule progettuali: basterebbe andare a ripescare ciò che si “scriveva e diceva” nella fase costituente.

Nella seconda parte mi porrò la “domanda” che è indubbiamente molto – ma davvero molto – retorica e la cui risposta è proprio per questo motivo unica. Senza questa “unicità” non c’è futuro, non c’è via d’uscita da questo “cul de sac” o “tunnel buio” nel quale ci siamo inoltrati.

C’è consapevolezza o un nuovo tatticismo deleterio?

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