un recupero per una nuova riproposizione

STORYTELLING (digital) e METANARRAZIONE – proseguendo il lavoro in TRAMEDIQUARTIERE


Scrivevamo l’altro giorno: “Stamattina piove. Le prime gocce tamburellando sulle tettoie mi hanno svegliato: che ore sono? Dieci alle sette; tra qualche minuto anche il telefono sussulterà, vibrerà e poi suonerà. Decido di staccare la “sveglia”, non ne ho più bisogno e non voglio disturbare gli altri che continuano tranquillamente a dormire; mi alzo e vado in cucina a prepararmi il solito caffè. C’è meno luce del solito. Eppure siamo già al 15 di maggio. Con la tazzina di caffè fumante vado davanti all’ampia vetrage del salone attraverso la quale osservo la vasta pianura che va verso il mare, al di là delle colline pistoiesi che nascondono la piana di Montecatini e tutto il resto verso occidente. Le nuvole sono basse e continua a piovere. Ieri mattina a quest’ora la luce era così intensa e sono riuscito a fare una serie di buone riprese ed ottime foto.
Meno male, mi dico e continuo a dirlo mentre accedo al balcone esterno che guarda verso il Montalbano e si affaccia sul giardino e sulla vecchia Pieve. Sul balcone i fiori di cactus che ieri mattina erano aperti e turgidi si sono afflosciati, altri ne stanno nascendo e quando saranno pronti, come sempre faccio, li fotograferò. I colori della natura tendono in prevalenza al grigio, grigio-verdi, e la pioggia copre con il suo cadere a tratti i suoni ed i rumori della vita della gente che va a lavorare: è ancora presto per il “traffico” scolastico che tra poco si materializzerà. E continuo a pensare tra me e me: “Meno male che ieri mattina sono riuscito a fare le foto e le riprese di cui oggi avrò bisogno. Stamattina sarebbero state così cupe!”.
Da martedì insieme a pochi altri seguo un corso intensivo di soli quattro giorni: lavoriamo su “temi e storia” di questo territorio. Siamo a Prato. Quartiere San Paolo, periferia Ovest della città post-industriale. E’ piacevole ed interessante, forse anche utile. Siamo soltanto in sei suddivisi equamente quanto a genere ed età anagrafica. Il primo appuntamento è in una delle scuole della città appena alla periferia del nostro territorio. Mi sono presentato come uno scolaretto per l’appello del primo giorno. Molte le facce a me già note: in definitiva ad occuparci di Cultura ci si conosce. Sento subito che ci divertiremo, insieme. Handicap assoluto è la mia profonda impreparazione linguistica con l’inglese. La docente anche se in possesso di un curriculum internazionale di primissimo livello dal suo canto non capisce un’acca della nostra lingua: e questo mi consola ma non giustifica entrambi. C’è grande attenzione in tutti ma il più indisciplinato è colui che dovrebbe , per età soprattutto e per la professione che ha svolto, essere da esempio, cioè io. Mi distraggo, chiacchiero, insomma disturbo come un giovane allievo disabituato alla disciplina. L’americana mi guarda con severità e con quel solo sguardo impone il silenzio. Ciascuno viene chiamato poi a confessare in una sorta di autoanalisi, della quale non parlerò, le origini del proprio nome e della propria storia familiare. Io scherzo sul significato del mio cognome che richiama atmosfere donchisciottesche e sulle attività “carpentieristiche e marinare” di mio nonno paterno.

L’americana detta poi compiti e tempi. A ciascuno la sua storia. Non ne parlerò per rispettare la consegna del “silenzio” anche se qualche indicazione emergerà dal “racconto”. Discutiamo, scambiandoci idee ed opinioni, poi scriviamo. Amo la sintesi: lo so che voi (che leggete) non lo direste, che non siete d’accordo. Molti dicono che sono un “grafomane”. Ma io, in effetti, scrivo molto ma poi taglio: scorcio e taglio.

E così andiamo avanti fino ad ora di pranzo: non tutti però sono pronti e quindi si ripartirà  più tardi per il confronto finale, dopo pranzo.

La scrittura deve essere sintetica (e dagli con questa “sintesi”!) e sincopata per poter poi più agevolmente trasformarsi in uno story board dove le parole e le immagini si mescolino. Mentre le parole sono lì già pronte sul foglio di carta la docente ci invita a reperire quante più immagini possibili da poter collegare.

Dopo il pranzo infatti ciascuno di noi lavora per costituire il proprio esclusivo “database” da cui attingere poi foto e riprese in video da utilizzare.

Dalla prima scrittura a questo punto si passa ad una rielaborazione ad uso di traccia sonora parlata da ciascuno di noi. Dovremo essere noi a leggerla domattina, mercoledì 13 maggio, registrandola su una traccia audio che poi entrerà a far parte del nostro personale bottino.

Si ritorna a casa, però, con un compito da svolgere: cercare una musica da utilizzare, adattandola alle immagini. E’ una delle operazioni che mi coinvolgono a pieno;  il suono musicale deve appartenere alle immagini con il ritmo che acquistano nel mio pensiero; i movimenti delle persone e degli oggetti devono corrispondere nel miglior modo possibile alle note all’interno della loro composizione; devono viaggiare all’unisono come corpi in un amplesso erotico. Ne sono stato sempre convinto: ascoltare musica genera orgasmi mentali.

“La bellezza espressa da un artista non può risvegliarci un’emozione cinetica o una sensazione puramente fisica. Essa risveglia o dovrebbe risvegliare, produce o dovrebbe produrre, una stasi estetica, una pietà o un terrore ideali, una stasi protratta e finalmente dissolta da quello ch’io chiamo il ritmo della bellezza…..Il ritmo….è il primo rapporto estetico formale tra le varie parti di un tutto estetico oppure di un tutto estetico colle sue parti o con una sola oppure di una qualunque delle parti col tutto estetico al quale questa appartiene”

(da “Dedalus” di James Joyce trad.ne di Cesare Pavese, Frassinelli editore pag. 251)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *