DENTRO il lockdown – tempo di riflessioni e di proposte “critiche e costruttive”

Riprendiamo a trattare della “scuola”. Certamente tra i temi “generali” insieme a quelli sanitari ed economici quelli del settore “istruzione” rivestono primaria importanza.

Sono stato tra quelli che richiedevano di fronte ai dati allarmanti all’avvio della fase autunnale di questa pandemia l’adozione di sistemi alternativi al normale orario scolastico fino alla possibile chiusura delle attività in presenza e il contemporaneo utilizzo della didattica a distanza.

La Ministra, il Governo ed alcuni settori del mondo dell’Istruzione hanno proseguito a descrivere un “mondo” della Scuola estremamente sicuro, immune da contagi: “La Scuola è il luogo più sicuro”, dicevano. Aggiungo “in modalità ideologica!”, cioè come “credo assoluto acritico”. Provo a ragionare con una sintesi: è ormai assodato che uno dei motivi per cui l’attuale diffusione del contagio è così alta è dovuto al fallimento dei sistemi di tracciamento dei contagi; per cui non è possibile affermare che in un luogo piuttosto che in un altro qualcuno si sia infettato. I giovani, soprattutto quelli più grandicelli non hanno – nel tempo in cui hanno avuto assoluta libertà dagli impegni scolastici (non mi riferisco alle “vacanze” terminate intorno alla metà di settembre) vissuto vita monacale, ma sono stati nei parchi, nei cinema, nelle piazze, nei pub e via dicendo. Finito l’orario scolastico non solo salivano sugli autobus ma si intrattenevano prima e dopo i loro impegni, in modo particolare poi nei weekend, insieme ai loro coetanei e non sempre rispettavano – in modo particolare – i criteri preventivi della trasmissione del virus.  Sappiamo anche che i più giovani sono più resistenti in linea di massima al contagio con sintomi: sono per lo più asintomatici e, proprio per questo, subdolamente più pericolosi per gli anziani. Quindi, anche per questo motivo, trovo non proprio corretta l’assegnazione di “grande sicurezza” in modo generalizzato totale alla Scuola.

Ho già scritto degli spazi angusti e dei numeri eccessivi di allievi distribuiti nelle classi; i corridoi di alcune scuole, dove inevitabilmente si transita anche vociando (non è bello che lo si faccia ma così è, purtroppo), sono molto stretti, e così anche le scale di accesso e di uscita; le aule non possono contenere gli stessi allievi che vi erano fino all’anno scorso; i banchi – quelli che c’erano e che, per fortuna, in qualche scuola ci sono ancora – erano sufficientemente ampi da mantenere il distanziamento (i “nuovi” sono per lo più inadeguati anche per le attività più avanzate “sognate” dalla Ministra “ad usum delphini”).

Ho già scritto che condivido le preoccupazioni di quanti – in modo particolare in questa seconda fase – temono per il futuro di queste generazioni dal punto di vista dell’apprendimento. Potremmo dire che ci sono state tante altre volte in cui generazioni intere non hanno potuto accedere all’Istruzione, ivi compreso tanti che hanno vissuto durante il periodo della seconda guerra mondiale e che sono stati nostri “maestri”. “Potremmo” ma, dopo averlo appena accennato, “provo” a lanciare una “critica costruttiva”. “Critica” perché, come per il resto fanno in troppi in modo subdolo, trovo disdicevole che il Governo (in primo luogo la Ministra Azzolina) non abbia allestito un progetto per la didattica a distanza, in “previsione” (gli “esperti” avevano lanciato l’allarme già da tempo: “ci sarà un ritorno dei contagi in autunno”) della ripresa della pandemia e della necessità di interventi adeguati.

Quel “treno” lì è ormai perduto e allora ecco la parte “costruttiva”: avviare da subito un percorso che sia in grado da una parte di fornire adeguati e più sostanziosi strumenti per rendere più efficace possibile la DaD; preparare una strategia di recupero delle attività curricolari per i prossimi anni scolastici.

Infine, va sottolineato che la “Scuola” non poteva funzionare in presenza “come se tutto – fuori di essa – fosse normale”: erano numerose le classi dimezzate,  gli studenti e i docenti contagiati. E dopo tutto ugualmente non avrebbe funzionato.