VIAGGIATORI – una serie di racconti – “Mare e monti” prima parte

pozzuoli

Appoggiò la valigia sul letto. Aveva acceso la luce, entrando nella camera della pensioncina, alla quale Giovanna lo aveva accompagnato. La camera era piccola, ma confortevole. Non c’era un balcone, non ne aveva visti nemmeno in altri edifici, solo una finestra alta. La aprì. C’erano nuvole basse; sembrava nebbia, ma a quasi 900 metri di altezza era improbabile che lo fosse. La stanza era calda, riscaldata da un termosifone massiccio; aprì la valigia.
Il mare, soprattutto in tempesta, scaglia onde poderose ad infrangersi sulla scogliera. A Filippo piaceva avvicinarsi pericolosamente agli scogli: le tempeste lo rasserenavano, anche la pioggia, non usava mai l’ombrello, gli infondeva tranquillità. Era nato e vissuto sul mare, nel mare ed era estasiato dalla sua forza, dalla sua inesauribile potenza.

Aveva aperto la valigia ed aveva avvertito un profumo sottilmente familiare; non era solo la spicandossa, come si chiamava a Napoli la lavanda; l’aria del mare nei giorni di libeccio contribuiva, anche a volte lentamente, a far asciugare il bucato sull’ampio terrazzo di casa sua. Era l’odore, il profumo di casa, del suo mare, che non distava che poche centinaia di metri, che permaneva su alcuni degli indumenti che, con amore ed un po’ frettolosamente, sua madre aveva sistemato.

Filippo aveva ricevuto un telegramma due giorni prima. Doveva raggiungere Belluno al più presto. C’era un numero di telefono da richiamare: era una nomina per l’insegnamento della sua disciplina, Geografia, in un Professionale per il Commercio. Il giovane non li fece attendere; chiamò subito. Gentili ma gelidi, professionali o scostanti? Gli chiesero di presentarsi a loro entro il giorno dopo, anche a tardissima mattinata. Filippo era pronto. Aveva sperato che quel telegramma arrivasse. Ne parlò con il padre e le due sorelle e poi chiese alla madre, già molto preoccupata ed ansiosa, di preparargli la valigia e corse subito ad acquistare il biglietto del treno. Sarebbe partito la sera stessa con il buio, in cuccetta da Napoli a Padova e poi da lì per Belluno.

La vita in Sicilia, in uno dei tanti paesini dell’interno, soprattutto per una ragazza, non consentiva grandi sbocchi: gli ambienti risentivano ancora di una forma antica di patriarcalità ed i maschi assumevano il ruolo di genere dominante sulle scelte di vita degli altri membri della famiglia, le figlie e le sorelle; a meno che non ci si ribellasse distintamente. E gli esempi non mancavano, ormai, sia di forzosa e violenta repressione sia di decisa e consapevole ribellione. Giovanna da un po’ aveva alzato la testa sin dagli anni dell’Università e dopo la laurea in Matematica aveva fatto domanda di insegnamento in Veneto sapendo che l’avrebbe ottenuto; e ci riuscì. A lei non sarebbe mancato il mare, ma il sole sì. Ad Auronzo a ottobre inoltrato nuvole basse, la neve, il freddo, il ghiaccio ai bordi delle strade.

Decisa, evoluta sin dagli anni degli studi a Palermo, Giovanna, dopo una sola notte alla Pensione “Aquila reale”, aveva trovato insieme ad altri due colleghi, anche loro appena giunti in quella zona, una stanza in un appartamento all’interno di un condominio nuovo poco a ridosso dalla via Alpini, la strada regionale 48 che collega Auronzo a Misurina. Sapeva vivere liberamente ormai mantenendo il suo equilibrio mentale al di fuori dai sentimenti; aveva avuto un ragazzo nei primi anni dell’Università ma era stata una relazione impossibile, visto il taglio provinciale di lui che avrebbe privilegiato la permanenza nell’isola a qualunque costo. Con i maschi non permetteva ambiguità, non era ammiccante e provocatoria anche se le armi le possedeva proprio tutte.

fine prima parte

Tre cime