FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI – incontro con Cristina Giuntini primo premio per la narrativa al Premio Sovente 2014

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Il Festival della letteratura nei Campi Flegrei – Libri di mare libri di terra ed il Premio dedicato a Michele Sovente, indimenticato amico, poeta e narratore squisito si è concluso da tre settimane e già subito dopo la cerimonia di premiazione alla Casina Vanvitelliana, avendo ascoltato i nomi dei vincitori (anche noi organizzatori, in primis Angela Schiavone, abbiamo saputo solo poco prima dell’annuncio ufficiale chi aveva vinto), mi ero ripromesso di raggiungere in modo diretto l’autrice del racconto che aveva vinto, Cristina Giuntini di Prato. Eh già, abito anche io a Prato, mi sono detto: come faccio a non conoscerla? Devo assolutamente riparare. Per uno come me, cane mastino, abituato a ricercare e trovare non sarebbe stato difficile. Ed è così che, attraverso sistemi ormai abituali (gli account di Facebook) mi sono lanciato al suo inseguimento. Cristina Giuntini è fiorentina approdata per amore e per matrimonio conseguente a Prato. Lavora in una ditta di importexport e scrive racconti, partecipando a tutti i concorsi di cui riceve notizia. Ha un’altra grande passione per la musica e segue sempre da vicino l’Eurovision Song Contest. Al mio invito accetta di incontrarmi presso una delle Librerie più importanti di Prato, gestita dalla casa editrice Giunti, Soprattutto Libri in via Mazzoni. Parliamo di narrativa, di cultura, di musica e poi sotto un diluvio “universale” (nel mentre una tromba d’aria aveva letteralmente capovolto un tavolo sul mio terrazzo) entriamo in una cioccolateria accanto alla stazione di Porta al Serraglio. Le chiedo l’impegno di venire nei Campi Flegrei per ritirare direttamente il Premio e concordiamo una data. Accetta che io pubblichi sul Blog il suo racconto. Ci salutiamo poi in attesa di risentirci presto per definire il tutto.
Ecco il racconto:

Il futuro nel passato

“Abbiamo quasi finito, manca solo il salone.”
Ant sospirò. Bonificare case abbandonate era la parte del suo lavoro di Addetto alla Sicurezza (o AddSic, come veniva definito) che amava di meno, ma negli ultimi tempi ne erano state segnalate molte, nei dintorni di Mil. Non erano quasi mai vuote: normalmente i proprietari avevano finito i loro giorni in un istituto senza che nessuno si preoccupasse dei mobili e degli oggetti che avevano lasciato indietro. Ogni volta che entrava in una casa abbandonata, ad Ant sembrava di profanare il passato di chi ci aveva vissuto, e uno strano mal di stomaco lo tormentava per vari giorni, una volta terminato il suo lavoro.
Alb, il suo collega, iniziò ad arrotolare il tappeto, con aria seria e professionale. Non sembrava condividere il suo stato d’animo. Dall’altra parte della stanza, Ant estrasse qualcosa da un mobile. Sembrava un parallelepipedo impolverato. Alb si avvicinò.
“Che cos’è?”
“Non lo so…” In quel momento l’oggetto sembrò sfaldarsi. I due sussultarono, ma subito dopo si resero conto che si era semplicemente aperto, rivelando un’enorme quantità di lamine sottili, friabili e giallastre, scritte da entrambi i lati.
“Strano, sembrerebbe una storia come quelle che si leggono sugli eBook reader, ma non è illuminata.”
Incuriositi, rimasero fermi per qualche minuto, scorrendo le frasi con gli occhi.
“Curioso…” osservò Ant.
“Cosa?”
“Le parole. Sono lunghe. Non ho mai visto parole così lunghe. E questi? Giovanna, Luciano… Da come sono usati, sembrerebbero nomi propri, ma hanno molto più di tre lettere.”
Alb alzò le spalle. “In ogni caso, è roba vecchia.”
“Lo porto in ufficio, comunque.”
***

“Guarda.” Ant gli mostrò lo schermo. “E’ stata dura, ma ho trovato dei siti che ne parlano. Pare che si chiamasse libro, e avesse la stessa funzione dei nostri reader.”
“Deve essere molto vecchio: quasi non riesco a capire di cosa parli. Sembra un’altra lingua.”
“A quanto risulta, una volta non si usavano abbreviazioni. “X” si scriveva “Per”. “Cmq” era “Comunque”. Le frasi erano più articolate.”
“Poco pratico. E quei nomi mai sentiti?”
“Sembra che i nostri nomi attuali non siano che abbreviazioni. Una volta i nomi erano Giuliano, Carlotta, Maddalena, ma poi, a forza di abbreviarli in Giu, Car, Mad, ci si è dimenticati degli originali.”
“E quindi i nostri nomi…?”
“Il mio, probabilmente, sarebbe stato Antonio, o Antonello. Il tuo, Alberto. Escluderei Albino: pare che fosse già in disuso quando questo libro è stato scritto.”
“Alberto…” Alb scosse la testa. “Suona così assurdo. In ogni caso,” aggiunse, alzando le spalle, “a chi potrebbe interessare?”
“Beh, rispetto a un reader, questo non ha bisogno di energia, la batteria non si scarica, se cade per terra non si rompe. Non è una cattiva idea.”
“E quanti volumi contiene?”
“Uno.”
“Uno solo! Ah!” Alb emise una risata canzonatoria. “Ridicolo! Immagina quanto spazio ci vorrebbe, in una casa, per conservare tutte le storie che può contenere un reader! Non ha futuro, credimi! ”

***

Giovanna sgranò gli occhioni neri. “Ma davvero, nonno Ant,” chiese, “quando eri giovane non c’erano i libri? E per leggere c’era bisogno dell’energia elettrica?”
“E si parlava in modo così strano, con “X”, “Cmq” e “TVB”?” incalzò Luciano.
Ant sorrise, accarezzando con lo sguardo l’enorme biblioteca dei nipoti. “Eh già!” rispose. “E se io, quel giorno, avessi ascoltato il mio amico Alb, non so a che punto saremmo adesso.”
“E invece sei l’editore più importante della terra!” strillò Luciano, gioioso.
Ant sorrise. Sì, lo era. Ma soprattutto aveva riabituato il mondo alla bellezza della parola.
E quello contava molto di più.

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VIAGGIATORI – una serie di racconti “Cloudy sun”

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Cloudy sun – prima parte

Professionalmente avveduto o un perfido insolente? L’impiegato della ditta di mezzi pubblici delle linee che partono da Stansted non aveva nemmeno chiesto conto dell’età della signora che si trovava di fronte e l’aveva già accreditata come anziana fornendole biglietti scontati. Londra aveva accolto Giulietta ed Armando con un cielo terso del tutto insolito per quelle latitudini; c’era anche un vento abbastanza sostenuto freschino per i turisti che arrivano dal Sud ma gradevole, quasi estivo, per gli autoctoni. Eh già! gli autoctoni che, quando il cielo è coperto, lo identificano con cloudy sun, ovvero “sole nuvoloso”. Avevano programmato quel viaggio per incontrare degli amici che si erano trasferiti da qualche anno a Cambridge, dove si occupavano di materie davvero particolari per un’Università straniera ritenuta di certo a torto anglofonocentrica, retorica latina e papirologia araba. Giulietta ed Armando erano in pensione, mentre Lucio e Francesca, più giovani di loro di circa 10 anni, erano in piena attività e giravano il mondo: erano stati anche a Roma (erano entrambi però originari della Calabria) dove si erano conosciuti ed avevano conosciuto Giulietta ed Armando durante un Seminario organizzato dal Dipartimento Scienze dell’antichità dell’Università della Sapienza. Sarebbero andati a casa loro, all’interno di un College che metteva a disposizione delle stanze anche per gli ospiti dei docenti per un tempo limitato. Né Armando né Giulietta erano stati mai a Cambridge e le aspettative erano alte; ne avevano letto e sentito parlare come di un luogo davvero particolare, costruito quasi esclusivamente per gli “studi avanzati e specialistici”, come Oxford o Harvard che prese il nome dal suo fondatore che apparteneva ad un gruppo di emigrati inglesi che fondarono una nuova città chiamata Cambridge, presso Boston. Ne parlavano identificando quel territorio come un grande parco inframmezzato da nuclei abitativi e strutture universitarie. Il viaggio da Stansted a Cambridge durò circa un’ora; si attraversava un’autostrada, la bretella n.8, con scarsissimo traffico senza vedere nemmeno un centro abitato ed, anche a ridosso della città di Cambridge, c’erano solo case basse – tipo terratetto – inframmezzate da vaste porzioni di verde. La fermata del bus era a ridosso di un Parco frequentato da un po’ di gente seduta sui prati, malgrado il vento, che ai “nostri” apparve anche un po’ freddino. Lucio era venuto incontro ai suoi amici e dopo i saluti cordialissimi si erano avviati verso il College; avevano attraversato il grande Parco e si erano inoltrati su una strada abbastanza trafficata; poi per una stradina laterale erano giunti sul Cam ed erano entrati, dopo aver attraversato un piccolo ponte in legno, in un sentiero ciclopedonale in mezzo ad un Parco di cui non si scorgeva la fine. Arrivarono dopo qualche minuto ad un caseggiato dietro una fitta boscaglia composta da alberi di alto fusto e videro venir loro incontro Francesca, sorridente e splendida in una di quelle gonne plissettate lunghe fino ai piedi con disegni floreali: l’avresti detta già una tipica donna “british” solida e ben piantata. Il tempo era cambiato e, portati dal vento, grigi nuvoloni si erano addensati e già poco prima di arrivare a casa degli amici iniziava a cadere una pioggerellina sottile sottile. Quella sera nel cottage del College, formato da stanze basse e piene di mobili che emanavano insieme al legno del parquet un intenso odore misto di pulizia e di antico, dopo una lunga chiacchierata a cena e dopo cena, Armando e Giulietta si erano ritirati nella loro camera e ben presto si erano addormentati al tepore di un piumone accogliente. Era luglio inoltrato ed in Italia di certo stavano soffrendo l’afa. Il giorno dopo avrebbero potuto visitare, da soli, perché Lucio e Francesca erano impegnati nei loro Dipartimenti, la città di Cambridge.

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