CAMBIO VERSO per la mia vita – 2

Kant 1

C’è un po’ di confusione nella mente di coloro che hanno festeggiato qualche mese fa credendo in buona fede o strumentalizzando in malafede le idee di cambiamento che nella Sinistra venivano annunciate. Il Partito Democratico dopo aver accolto l’idea che – essendo il mondo cambiato – occorreva aprirsi al massimo senza steccati ideologici, senza un briciolo che fosse un briciolo di ideologia democratica (eh sì, perché non è mica detto che quando si parla di ideologie si debbano per forza intendere quelle che avevano prodotto disastri e fallimenti) fondata su diritti, doveri e democrazia, oggi si va accorgendo che nei Circoli non si discute più, che non sono più frequentati, che vi è un calo vertiginoso di adesioni. Poiché il difetto di memoria è molto diffuso sia perché è connaturato all’animo umano, in particolare quello italiano, sia perché conviene dimenticare in buona fede (si soffre di meno, si pratica la rimozione psichica) o in mala fede (superiamo l’ostacolo di lato per poter andare avanti nelle nostre convenienze), è chiaro che non ci si ricorderà dei tanti che, in nome e per conto dei “rinnovatori” sono miracolosamente apparsi ai “gazebo” nei giorni del voto ma, sollecitati a continuare la loro partecipazione in modo più assiduo o hanno fatto spallucce e declinato subito l’invito o hanno affermato che coloro che fino a quel momento si erano impegnati non avevano compreso che il mondo era cambiato e che non sarebbe stato più possibile una militanza siffatta d’ora in poi,  e che il futuro era  del Partito 2.0.
Poiché non scrivo per altri ma per me (cioè esprimo il “mio” pensiero) confermo che non sono più disponibile a supportare con il mio impegno questa “pratica”; c’è una parte del Partito, un gruppo non molto nutrito che ritiene (di certo ha ritenuto) di poter utilizzare la forzalavoro di altri a proprio vantaggio, ne ha strumentalizzato le intelligenze e le capacità organizzative, ha continuato ad utilizzare in un percorso di “rinnovamento” le vecchie pratiche, i vecchi metodi, quelle e quelli che servono a mantenere in piedi un Gruppo di Potere esclusivamente per il perseguimento dei propri interessi senza avere idee, senza una progettualità. Lo disse anche un mio amico e compagno:” Questi non sanno cosa fare, non sanno dove andare, non c’è un’idea, c’è un livello di avventurismo.” Ecco, anche a Prato c’è!
Il senso di tutto questo: sono uno dei tantissimi che non prenderà la tessera di questo Partito Democratico; largo a coloro che vogliono farsi avanti; largo a coloro che ancora desiderano farsi umiliare, largo a coloro che sbandierano la loro coerenza rifacendosi alle ideologie d’antan, che come leggete io continuo a rispettare. E vorrei ricordare che un mondo senza ideologie, passioni, sentimenti è un mondo arido, povero, pieno di cinismo ed ipocrisia. Io, dunque, come ho scritto l’altro giorno, “CAMBIO VERSO” ma non è la stessa cosa “vuota” che qualcuno demagogicamente sbandiera.

Immanuel_Kant

GARUM – Voci e sapori dal mondo antico – Campi Flegrei – EDIZIONI VALTREND

 

 

 

Il diario

 

Ho ricevuto un dono dall’Associazione “Il Diario del Viaggiatore” per mano della sua Presidente Angela Schiavone . Un pacchettino elegante contenente un libro che ho già letto ed una confezione di Garum. Cos’è il Garum? I Romani  conservavano le alici sotto sale in botti di legno dalle quali colava un liquido, il Garum, che fu utilizzato come condimento in alcune ricette (nel libro se ne trovano moltissime). Bella la confezione; interessanti gli argomenti storici ed enogastronomici trattati come le ricette, che proverò – contro la volontà della famiglia intera – a riprodurre. Del libro parlerò più diffusamente nei prossimi giorni.

 

Garum 2

EPIFANIE – UN RACCONTO 2

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Epifanie

…preferisco utilizzare gli Inter City. E non solo perché si trovano biglietti scontati su Internet. Di certo ho preso a sconto anche dei ticket sulle Freccie “multicolori”; ma vuoi mettere a confronto il mondo dei Treni super veloci con quello che trovi negli scompartimenti di seconda classe sugli Intercity? Sui primi c’è in generale ( le eccezioni non mancano ma sono rare) un atteggiamento molto riservato e compito, molto spesso si viaggia da soli, come i funzionari, gli amministratori, i professionisti, i dipendenti pubblici e privati che si spostano ed hanno bisogno di arrivare velocemente; sui secondi viaggiano le famiglie e l’appartenenza sociale è molto trasversale, molto più variegata. Aggiungi poi che  il treno ferma anche in alcune stazioni nelle quali non c’è la “linea veloce” e così c’è un gran movimento ad ogni fermata. In una delle mie ultime “partenze” per Napoli mi è accaduto un fatto straordinario: a Chiusi è salita una signora, che è entrata nello scompartimento dove ero, ha sistemato la valigia sulle griglie e poi è uscita per salutare i suoi accompagnatori. Ha agito così in fretta da dimenticare poi il numero dello scompartimento in cui aveva depositato la sua valigia. Nulla di strano, capita! Quante volte a casa non ricordiamo dove abbiamo messo le chiavi della macchina o quelle di casa? Dopo un po’, ma un buon quarto d’ora dalla partenza verso Orte, la rivedo arrivare confusa, ed io la rassicuro “E’ questo il suo scompartimento; venga!”. Poi, osservandola con attenzione, rilevo che somiglia moltissimo ad una delle attrici di teatro, soprattutto televisivo (era l’epoca degli sceneggiati), degli anni Sessanta e Settanta. Non ne ricordo il nome ma azzardo la richiesta. “Sì” mi dice “sono Anna Maria Ackermann”. Non vi racconterò di certo quello che accadde nelle quattro ore circa di durata del viaggio verso Napoli (Anna Maria Ackermann abita a Napoli); ma immaginatevelo. Abbiamo parlato di Eduardo De Filippo con cui ha debuttato; dei fratelli Giuffrè, di Mariano Rigillo, di Pupella Maggio; abbiamo parlato dei giovani comici napoletani e dei giovani talenti fra gli autori, come Arnolfo Petri. Abbiamo parlato di Cinema e delle nostre passioni. Ha accennato ad un suo “buen retiro” dalle parti di Chianciano, vantandone le straordinarie bellezze della campagna e delle colline verdi e ricche di olivi e viti.  Con gli altri viaggiatori si è anche discusso di questioni sociali, della politica e delle speranze legate alle promesse ed a volte il tono del confronto si è anche elevato fra la rabbia e le speranze deluse. Poi, ci siamo salutati e scambiati il numero di cellulare, dandoci un appuntamento a breve al Caffè del San Carlo in Piazza Trieste e Trento a due passi (due, davvero) dalla Galleria Umberto I, dal Palazzo Reale, da Piazza Plebiscito e nel ventre dell’antico Teatro.
I viaggi sono pieni di sorprese; ma anche quando tutto è organizzato il piacere non manca; come quella volta che ho dato appuntamento ad una mia amica nella tratta Arezzo-Chiusi. Giovanna era molto più che un’amica; l’avevo contattata su quei siti ammiccanti alla ricerca di un’emozione in più ma senza mentire. Ne ho perso le tracce ma non mi dispiacerebbe ritrovarla per rivivere quella giovinezza tardiva che fa tanto bene al “cuore”! Ne accennerò in una delle prossime mie sortite…. E di “epifanie” siamo alla ricerca; ma esse sopravvengono quando meno te le aspetti!

…alla prossima….

iMMAGINE BELLA

 

 

PASSIONE VIGO/TRUFFAUT POZZUOLI LUX IN FABULA 21 OTTOBRE 2014 ORE 18.00 – contributo di Roberto Volpe

 

 

Vigo

 

JEAN VIGO, REGISTA ANARCHICO E LIRICO FRANCESE

Jean Vigo nasce nel 1905 da Miguel Vigo, detto Almereyda, un politico e giornalista anarchico che, negli ultimi anni della sua vita, adotterà uno stile di vita ricco e dispendioso, abbandonando gli ideali della gioventù. Tuttavia, siccome Almereyda dava fastidio ad alcune persone potenti, verrà portato in un carcere e, lì, assassinato.

Jean Vigo, da bambino viene costretto a continui spostamenti dai genitori, che a volte lo portano anche alle loro riunioni politiche. Una volta arrivato in età scolare, viene affidato ad un collegio, dove si adottano misure molte restrittive per la disciplina dei bambini, collegio e misure che ispireranno poi il suo primo lungometraggio Zero in condotta.

La prima opera degna di rilievo del regista francese è invece A proposito di Nizza, un documentario sulla vita della nota città turistica francese, che mette a confronto, in maniera a volte ironica e scherzosa, a volte triste e amara, le differenze sociali vigenti in quel luogo.

Dopo questo documentario, Vigo realizza Zero in condotta, film, come si diceva prima, ambientato in un collegio francese di quegli anni; per questo film, il regista attingerà, oltre che ai propri ricordi, anche a quelli raccontatigli dal padre.

Nel film fu adottato il metodo della ripetizione di alcune parole per ovviare alle difficoltà di dizione dei bambini, che non riuscivano a pronunciare bene alcuni lemmi,mentre per quanto riguarda il pensiero di Vigo, esso non è sempre facile da riconoscere lungo tutto il film, e spesso l’ azione è oscura; inoltre, il film presenta moltissimi difetti tecnici: mancanza di chiarezza ed azione, di ritmo, assenza di copione, recitazione scadente, sonorizzazione idem.

Tutto questo, però, viene controbilanciato dall’ autenticità di fondo della sceneggiatura, dall’ unità profonda del montaggio, e dall’ ottimo apporto della musica, che alzano di molto la qualità del film.

Una volta uscito nelle sale, il film ricevette parecchi commenti negativi dalla critica ed ebbe problemi anche con la censura, soprattutto quella di provenienza cattolica, finché non si giunse addirittura alla proibizione di esso nelle sale.

Nonostante la censura,  però, il film riuscì ad arrivare in Belgio, dove Vigo era molto amato ed apprezzato.

Gli intenti del film, almeno nelle intenzioni, non erano scopertamente sovversivi e rivoluzionari: scriveva Vigo, infatti: “non ho intenzione di accompagnarvi in un mondo da rifare, come le guide di Cook portano i turisti nei vicoli tubercolotici dei quartieri poveri e pittoreschi.”

Da alcuni critici venne fatto anche un parallelo tra Vigo e Celine, in senso artistico, suggerito dal fatto che da poco era uscito Viaggio al termine della notte dello scrittore francese.

Dopo qualche tempo, Vigo comincia a girare un film ambientato nel mondo del circo, per poi abbandonarlo poco dopo e per passare ad un film sul nuoto, La natation de Taris, film che gli sarà utile per girare il suo successivo, ed ultimo, lungometraggio, L’Atalante.

Questo film narra la storia di una giovane coppia di sposini che decide di andare a vivere sulla barca di lui, un tale Jean, un giovanotto laborioso e scontroso. Juliette, la sua compagna, si sente però attratta dalle lusinghe della città e decide, un giorno, di fuggire dalla barca per scoprire questo nuovo mondo.

Vedendo il proprio padrone continuamente intristito da questo avvenimento, il padre Jules, un suo aiutante di bordo, decide di andare in cerca della donna, trovandola alla fine in un negozio cittadino e riportandola sulla barca, poiché era rimasta delusa dalla vita in città, ed anche lei sentiva la mancanza del suo sposo.

A questo proposito, c’è da dire che Vigo ha saputo fare di Juliette un personaggio coerente, che attraversa vari stati esistenziali (dall’ ingenuità alla lussuria, per giungere poi alla maturazione), a differenza della Juliette dell’opera letteraria che ha ispirato il film, che era un personaggio più piatto e spento.

Per quanto riguarda l’analisi delle singole scene, possiamo dire che il momento della riattivazione del fonografo è molto importante per far riacquistare fiducia a Jean e che, durante le riprese, anche i gatti sembrarono facilitare le riprese, ponendosi in cerchio intorno ad esso.

Inoltre, notiamo che c’è un certo mimetismo tra il personaggio del Père Jules e il mozzo che, in una scena, ripete addirittura le sue stesse parole in una stessa situazione, senza neppure averle ascoltate.

Uno dei difetti del film, rispetto alla sceneggiatura originale, è la mancanza di unità scenica, che produce numerose e fastidiose pause lungo il suo corso; inoltre, gli attori di “L’Atalante” sono quasi tutti di qualità mediocre, con gli estremi tra Louis Lefèvre, che era un attore totalmente incapace e goffo, e  Michel Simon, che invece era un grande caratterista ed un uomo di spiccata personalità.

La malattia, però, durante le riprese del film, non dava tregua a Vigo, ed alcuni suoi amici dovettero sostituirlo al montaggio ed alle riprese di alcune scene, mentre, per quanto riguarda le scelte di marketing, temendo un fiasco al botteghino, i produttori cambiarono il titolo in “La chaland qui passe”, ed inserirono una canzoncina melodrammatica a fare da traino (per la cronaca, la versione francese del successo italiano “Parlami d’amore Marilù”): la critica tuttavia lo accolse benevolmente, anche se qualcuno disse che era un po’ malato e torbido.

Vigo, però, già sette mesi prima dell’uscita del film, si era messo a letto per una setticemia streptococcica di origine influenzale: nonostante la malattia grave, comunque, il regista trovava spesso la forza di sorridere e di fare addirittura degli scherzi ai suoi familiari.

Alla fine Vigo, stremato dalla malattia, morì, nel 1934, mentre la moglie Lydou cominciò a delirare per il dolore: dopo la sua morte la critica, come spesso succede in questi casi, si profuse in lodi sperticate per lui, mentre, alcuni tempi dopo, la censura applicò numerosi tagli a “L’Atalante”, inclusa la scena in cui il Pere Jules si metteva una sigaretta nell’ombelico.

Alcuni critici, qualche tempo dopo la sua morte, cominciarono ad inserire Vigo nel filone surrealista, insieme ad Eluard e Dalì, mentre, al botteghino, La chaland qui passe faceva mezzo fiasco, nonostante i cambiamenti operati: così, i produttori decisero di riprendere il titolo di L’Atalante e di reinserire le sequenze tagliate.

Una delle critiche più importanti, al film, fu quella di Nino Franck, uno stimato critico passato ai collaborazionisti, che tacciava i film di Vigo di carenza di qualità riguardo ai dialoghi.

Comunque, per quanto concerne le  influenze artistiche del regista, il padre Almereyda esercitò sicuramente una grande influenza sentimentale su Vigo, mentre lo scrittore Jean De Saint-prix esercitò un’influenza strettamente filosofica su di lui.

Le simpatie politiche di Vigo, invece, andavano in parte al movimento comunista, in parte a quello socialista ed in parte a quello anarchico: questo eclettismo politico lo costrinse spesso a violente discussioni coi militanti comunisti suoi conoscenti.

MARCO SETTIMINI- LO SPETTATORE DELEUZIANO, IL CORPO E IL FANTOCCIO SPIRITUALE NE L’ATALANTE

Secondo il critico Marco Settimini, nel cinema esiste una specie di centro idealizzato ed una immagine del soggetto che non smette di costruirsi in continuità: “esemplarmente”, scrive Settimini, “in La natation par Jean Taris di Vigo la m.d.p. si fa coinvolgere in maniere esplicita nel rapporto tra l’acqua e la corporeità del nuotatore, immergendosi in piscina per seguire la danza del corpo del nuotatore medesimo.”

Grande, inoltre, osserva che in La natation e Zero in condotta il corpo viene mostrato in tutta la sua purezza infantile, in contrasto con l’orrida impurità adulta. Con L’Atalante, invece,viene mostrato un corpo più sensuale, un corpo che può attrarre e sedurre, ma anche respingere, distruggere, sconvolgere.

In Vigo c’è una volontà didattica e pedagogica insieme ad una creativa, in cui si scambiano realismo e poeticità; l’erotismo, invece, non è scabroso, ma è, in un certo senso, atmosferico, ovvero appena avvertito tra le scene del film.

Con L’Atalante, sostiene Settimini,siamo sommersi da manichini, pupazzi, specchi ecc. che rendono quasi lo spettatore simile ad uno di questi oggetti,  quasi un dispositivo, mentre un altro tema interessante è quello dell’acqua: la visione del mondo di chi sta a terra, infatti, si contrappone fermamente a quella di chi naviga (nell’acqua il movimento si crea tra due movimenti; sulla terra, tra due punti fermi).

In Vigo, come anche in tanti altri artisti francesi, il Tempo non è quello normale, cronologico, ma quello simultaneo, in cui degli attimi sembrano durare ore: a questo proposito, si avverte anche che con L’Atalante c’è il tentativo stravagante e paradossale di contenere l’universo in continua espansione-movimento.

Infine, l’elemento della luce è altresì importante, in quanto, secondo Settimini,” essa si fa movimento puro, pura luce; ed è una luminosità  che non può smettere di circolare, e che definisce forme luminose nella sua dinamicità”, creando, a volte, un “dualismo tra paesaggio lunare e paesaggio solare, che intercomunicano nel grigio”.

 

Roberto Volpe

 

 

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