PASSIONE VIGOTRUFFAUT – PozzuoliPrato – L’analisi di Federica Nerini

A Pozzuoli l’iniziativa che abbiamo svolto presso l’Associazione “Lux in Fabula” ha visto la partecipazione e l’intervento di Germana Volpe, Roberto Volpe e Emma Prisco (autrice di un video che presenterò anche a Prato giovedì prossimo 30 ottobre ore 15.00 presso il Liceo “Cicognini”). L’intervento conclusivo è stato quello di Federica Nerini, la più giovane del Gruppo. Ve lo propongo.

Federica Nerini

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Germana Volpe

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Roberto Volpe

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Emma Prisco

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CONFERENZA: “Passione Vigo/Truffaut”.
Il mio studio non è una apologia della Psicoanalisi freudiana, né un lavoro scientifico, ma un elaborato creato per farvi capire come le nostre azioni siano condizionate da eventi, esperienze, attimi e soprattutto da traumi, che l’uomo ha vissuto nel corso della sua esistenza. A volte siamo malinconici, talvolta felici, in altri tempi nostalgici, sebbene non riusciamo a capire il perché. Noi siamo dotati di una FORZA OSCURA (inconscio), che manovra le nostre azioni grazie a delle istanze psichiche guidate dalla rimozione: i RICORDI RIMOSSI ci governano. NOI SIAMO CIO’ CHE VIVIAMO. Quindi siamo totalmente schiavi di noi stessi, solo che non ce ne accorgiamo. Ho studiato libri che raccontavano la biografia di questi due registi francesi, ho analizzato i film scoprendo le diverse tecniche e sfumature cinematografiche, dopo aver letto le sceneggiature sono poi arrivata ad una conclusione: l’INFANZIA e la FIGURA del PADRE sono entrambe fondamentali per aver segnato psicologicamente l’attività d’astrazione dei due cineasti. Ora analizzeremo questi due aspetti affascinanti per capire i loro concepimenti creativi:
L’infanzia di François Truffaut è un’infanzia difficile. La madre partorirà a diciotto anni, in un primo momento lo alleverà una balia, poi verrà cresciuto dalla nonna materna. Sarà lei ad accudirlo e a insegnargli l’educazione infantile. Successivamente la madre si sposerà con un certo Roland Truffaut, un designer industriale che darà il cognome al bambino nonostante non sia il padre biologico. Il piccolo François quindi crescerà con il malessere e la consapevolezza di non aver mai conosciuto il suo vero padre biologico, e di non essere un bambino come gli altri. La madre non l’allatterà mai “mostrando la più alta forma d’amore verso il figlio dando in dono se stessa”. La madre ama il suo bambino perché è la sua creatura e non perché abbia fatto qualcosa per meritarselo (archetipo junghiano). L’amore materno è incondizionato, mentre l’ amore paterno è condizionato. La concezione dell’amore materno può essere spiegata con la storia biblica della creazione. La terra promessa (simbolo di madre) è descritta come “traboccante di latte e miele”. Il LATTE è simbolo delle cure che la madre dà al bambino, mentre il MIELE allude alla dolcezza della vita, la felicità di sentirsi vivi. Quindi per essere una brava mamma bisogna dare sia del latte, sia del miele. Ma non sempre è così. Se il bambino non vive questo meccanismo, sarà turbato da un trauma per tutta la vita. Possiamo studiare varie scene de “I 400 colpi” (capolavoro autobiografico), in cui il piccolo Antoine è sofferente, non vivendo un’infanzia normale. Antoine alla psicologa in riformatorio dice: “All’inizio mi avevano affidato ad una balia; poi quando sono mancati i soldi, mi hanno mandato da mia nonna… quando lei è diventata troppo vecchia per tenermi, allora sono tornato dai miei genitori, in quel momento, avevo già otto anni, mi sono accorto che mia madre non mi voleva bene, lei avrebbe voluto abortire”. E ancora in “Non drammatizziamo è solo questione di corna” egli afferma ad un amico: “Io non mi innamoro di una ragazza in particolare, io mi innamoro di tutta la famiglia: il padre, la madre… mi piacciono le ragazze che hanno genitori gentili. Adoro i genitori degli altri, insomma!”.
Il personaggio di Truffaut, Antoine avrà sempre la mancanza di non essere stato amato nella prima parte della sua infanzia, generando un disturbo della sfera affettiva. “L’uomo che amava le donne” in realtà non ne amava neanche una, poiché non avendo avuto l’amore necessario nell’infanzia (periodo fondamentale per la formazione della personalità individuale) vorrà o conquistarsi l’amore degli altri, oppure realizzare il desiderio insoddisfatto di essere amato sempre in ogni singolo momento della propria esistenza. LA MANCANZA DEVE ESSERE COLMATA DALL’AMORE. Antoine (l’alter ego di Truffaut) non amerà mai le donne, ma sarà innamorato solamente dalla loro immagine. Pessoa infatti afferma: “Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo”. Non sarà mai convinto pienamente del proprio amore, poiché è incapace di amare una donna. Quando l’uomo è innamorato sogna la perfezione e si illude di averla sfiorata con la propria partner. In realtà non è mai così. Io faccio sempre l’esempio dei templi Aztechi che non puntavano alla perfezione, solo per la paura di non competere con la grandezza di Dio. Gli operai lasciavano sempre un angolo incompiuto, affinché il tempio fosse imperfetto. Ecco l’amore è così, prima pensiamo di aver toccato il cielo con un dito, poi scopriamo dopo l’infatuazione l’effettiva imperfezione del nostro partner, esplorando l’angolo oscuro.
È famosa la frase pronunciata da Antoine in “Non drammatizziamo è solo questione di corna”, quando dopo aver tradito la moglie Christine egli dice con una battuta di tipo felliniano: “Tu sei la mia sorellina, tu sei mia figlia, tu sei mia madre…”; Christine risponde: “Avrei voluto essere anche tua moglie”. Questi cinque film rappresentano la formazione o disgregazione di un personaggio dall’infanzia ai trent’anni. Fitzgerald diceva “la vita intera è un processo di demolizione” e aveva ragione. Poiché un personaggio in fuga non riesce a convivere con se stesso e con gli altri, avendo il terrore di amare e di essere amato.
Con Jean Vigo si ha la mancanza di una figura paterna effettiva, fino ad arrivare a “mitizzarla” a sua volta. Miguel Almereyda era una anarchico scomodo, ha cercato di diventare chiunque nella sua vita, tutto tranne che un padre. Il piccolo Jean è macchiato dalla colpa di essere il figlio di un rivoluzionario, che non conoscerà mai. Morto il padre, la madre non avendo i mezzi per mantenerlo lo affidò a Gabriel Aubès, il marito della nonna paterna. In altre parole il signor Aubès non era neanche suo nonno, ma fu l’unico che si occuperà di lui. Vigo sarà tormentato sempre dall’idea dell’abbandono della madre per tutta la vita. Infatti nel suo diario scriveva: “Penso che io non sia mai stato amato da mia madre, per questo sono stato abbandonato”. Successivamente passerà da un Collegio francese all’altro, nascondendo anche la sua identità, questo lo turberà profondamente per sempre. Il corto “Zero in Condotta” rappresenta l’esorcizzazione di un’infanzia: triste, malinconica, difficile e nostalgica. Voleva avere al di là del Collegio anche lui una famiglia normale, come tutti. Inoltre, sarà tormentato dall’idea della morte in tutto il corso della sua esistenza; il padre è morto in circostanze misteriose, ucciso da alcuni cospiratori. Molti pensano che sia stato soffocato con dei lacci delle scarpe, facendo pressione con la spalliera del letto. Questa mancanza affettiva paterna verrà cercata spesso in qualunque uomo, pur di riempire il ricordo. Possiamo ritrovare una figura del padre nel personaggio di “père Jules” dell’Atalante in tutta la sua polimorfica potenzialità espressiva. Personaggio malinconico, ricco di esperienze, estremo viaggiatore, si occuperà di Jean quando Juliette scapperà dalla chiatta e non riuscirà più a vivere per la tristezza. Sarà père Jules ad andare a riprendere Juliette per riportarla sull’Atalante.
Ciò che ci deve maggiormente far riflettere è che anche qui nel capolavoro di Vigo la concezione dell’amore viene idealizzato all’interno di un’ immagine. Mi riferisco per esempio alla sequenza in cui i due sposi separati spazialmente – lei in una stanza d’albergo sulla terraferma e lui nella cabina della chiatta che scorre sull’acqua si cercano a colpi di dissolvenze incrociate. Lo sposo riuscirà a superare la solitudine immergendosi nell’acqua del fiume per rivedere la donna amata. Ed ecco che c’è un connubio di immagini, sensazioni ed idee, che nascono dalla spinta di Jean di cercare l’immagine sensuale ed erotica di Juliette. Gettandosi nel fiume inconsciamente aumenterà il suo spirito narcisistico, guardando la sua immagine riflessa.
Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. (Pessoa).