7 Novembre – non solo Dante – ALTRI INFER(N)I – Teofilo Folengo (il “Baldus”)

7 Novembre – non solo Dante – ALTRI INFER(N)I – Teofilo Folengo (il “Baldus”)

Rincorrendo i temi di una “letteratura” che abbia trattato “l’aldilà”, in quest’anno nel quale ricorre il settimo centenario dalla morte di Dante, ci siamo imbattuti in uno dei protagonisti della letteratura “buffa”, bizzarra e “satirica” per meglio definirla, che ebbe tra i suoi protagonisti Ariosto e Rabelais per menzionarne solo alcuni. Ma oggi qui vogliamo ricordare uno dei capostipiti di un genere un po’ particolare, a torto considerato “minore”.

Gerolamo Folengo, detto Teofilo e noto con tanti altri pseudonimi (vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Teofilo_Folengo), è noto ai cultori della letteratura come promotore dell’ uso della lingua latina “maccheronica”, cioè quella forma mista di latino e volgare che ha poi avuto vari altri seguaci, non solo in Italia (vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Latino_maccheronico).

La sua opera più importante è stata il “Baldus”, uno dei maggiori poemi del Cinquecento, pubblicato nel 1517. E’ la sua “opera prima” ed è caratterizzata da un latino intriso di un volgare dialettale, collegato agli ambienti in cui Folengo era cresciuta, in quel di Mantova.

Nella seconda redazione del poema (se ne contano ben quattro) sono stati aggiunti altri otto capitoli nel corso dei quali Baldo, che è uno squinternato manigoldo popolano che ne fa di cotte e di crude, si spinge fino all’aldilà e si scontra con i diavoli ed assiste ad una baruffa violenta tra Caronte ed un gigante, che spinge il nocchiero delle anime nel profondo della cavità infernale.

Per avere un’idea del linguaggio maccheronico e di “Baldus” riporto qui un brano dove c’è proprio la descrizione di Caronte

Dante nel III canto scrive: Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: “Guai a voi, anime prave! …”

Folengo scrive:


Talia dum stabant una parlare barones Ecce venit sbraiando Charon, chiamatque bravazzus: “Papa Satan, o papa Satan, beth, gimel, aleppe. Cra cra, tif taf noc, sgne flut, canatauta, riogna”. Canutam mentozzus habet sine pectine barbam, quae bigolum distesa coprit, tangitque ginocchios. Non habet in calva solettum fronte peluzzum, ac si cum rasa testa, penitusque pelata, vellet in aspect populi mazzare gatuzzam, Strazzolenta sibi carnes schiavina covertat, quam “saltibarcam” chiozotta canaia domandat. Navigat in fretta super orlum navis adunchae, stansque pede in sponda paret cascare deorsum, nec cascare tamen metuit quia praticus ille est.

Ast ubi nos fortuna locum deduxit ad istum, nos, inquam, medios longa stracchedine mortos, affuit ecce Charon, praesentis nauta riverae, qui tenet officium curvo transferre batello damnatas animas et ademptas morte secunda. Ergo rogabamus si nos trascendere vellet, sponentes illi causam pietatis, amoris et fidei, quam nos patri debere tenemur. Ille ribaldonus, crestosus vecchius, et omni fraude sat impressus, velut omnis nauta catatur, promisit nos velle quidem passare delaium, sed non insemmam, dicens quod transiet unus post alium, fietque duplex vogatio nostra.

Sed Charon, aspecto Baldo sociisque, cridabat: «Quae vos in patres nostras ventura guidavit? Ola, quibus dico? si barcam scandere vultis, ponite corpoream somam carnisque valisam. Una mihi cura est animas transferre solutas, non altramenter fluvium passabitis istum». Baldus ait: «Taceas, taceas, scornute diavol, ad caput inchinum nisi vis andare sotacquam. Nonne hic Meschinum varcasti corpore ficcum? nec mihi commumem poteris concedere passum? Cui dico? dico ne tibi, parone bugiarde? Huc accosta ratem nobis, huc volge timonem. Quo premis in laium? in quaium dico, maruffe».