Abito a Prato nel Centro-Nord della Toscana, pochi chilometri da Firenze (da casa mia vedo la Cupola del Brunelleschi ed il Campanile di Giotto), ma il “mare” è lontano. Me lo ricorda di tanto in tanto il mio amico Luigi un partenopeo doc: “Peppì, a Prato c’è un solo difetto: nun ce stà ‘o mare”. Ma, ho provato anche a dirglielo inutilmente qualche volta, quando tira il vento da ovest ne sento il profumo. Sarà un’immaginazione, un’illusione come la Fata Morgana ma io, solo io però, qualche volta colgo nell’aria un qualcosa che mi fa sentire una dolce fragranza. Il mare comunque mi manca (non è questo il momento di raccontarne il perché) e quando mi capita di tornare ad occuparmene lo faccio ben volentieri. E’ dunque anche questo il motivo per cui ho accolto con entusiasmo l’occasione che mi è venuta dal partecipare all’organizzazione “a latere” del “Festival della Letteratura nei Campi Flegrei – Libri di mare libri di terra”. Avrei potuto, mi sono detto, leggere e respirare racconti, romanzi, poesie ed altro in cui il tema della terra si mescolava con quello del mare e viceversa. Noi meridionali siamo naturalmente – e per diversi brutti e buoni motivi – viaggiatori ed io stesso lo sono, anche adesso che sono in pensione e vado e vengo fra Prato e Pozzuoli. Ed il mare è anche un “porto” al quale approdano e da cui salpano viaggiatrici e viaggiatori. Il libro che ho letto di recente porta la parola nel suo titolo, “Il mare non ha mai viaggiato”. E’ composto da 20 racconti suddivisi in tre parti (nove nella prima, nove nella seconda, due nella terza), scritti da Giuseppina De Rienzo, poetessa e scrittrice già affermata. Il libro è stato edito nel 2014 dall’Editore Manni nella collana PRETESTI curata da Anna Grazia D’Orio. Il titolo e le epigrafi che precedono tutti i racconti sono tratti da “Mille e una greguerìas” di Ramòn Gomez de la Serna; sono degli “aforismi” fulminanti che segnano il percorso che l’autrice partenopea ha voluto indicare ai lettori. Gli stessi racconti, anche se alcuni si distendono in una narrazione ampia e densamente sviluppata, si avvalgono di una struttura sintetica e vanno diritto al cuore dei problemi lasciando molto spazio all’intelligenza del fruitore. Come ne “La cavalletta” in cui Daria è alla perenne ricerca di se stessa e di un “senso” all’esistenza monotona nella quale si è andata a ficcare. Altra donna, Paola, protagonista de “La proposta”, ritrova un amiconemico da sempre indeciso, spaventato da scelte importanti per entrambi, ma ancora una volta incapace di affrontare la “vita” ed i sentimenti. In “Due donne” Michela fa i conti con “la forza di un disagio” che si porta dietro da anni con sua madre. Paradossale e costruito con una sorta di surrealismo partenopeo è la vicenda narrata in “Cataclisma sul lungomare”, storia di un corteo nuziale alle prese con il “traffico” sul lungomare di Napoli. Ed è dello stesso tipo il racconto “Il voto” nel quale emerge l’amara ironia intorno alla funzionalità degli “uffici pubblici” in una giornata “elettorale”. Così nel racconto “Il tradimento” dove esplodono le contraddizioni di un popolo, quello napoletano, da sempre considerato creativo che, tuttavia, non riserva alla “poesia” la giusta attenzione. Surreali sono anche “Il dio Nilo” e “Gennaro bis”, anche se “forse” noi napoletani viviamo immersi nel nostro Surrealismo, mettendo perennemente in contrasto i sogni e la realtà. Gli ultimi due racconti si muovono fra realtà, “Senza chador: nuda allo specchio”, e fantasia mescolata alla realtà, “Adèla la rustica”. Sono entrambi ambientati a Procida. Nel primo si parla di una scrittrice iraniana, Farkhondeh Aqaee, che davvero è stata nel 2001 a Procida (non sono, mentre scrivo, in grado di verificare se vi è stata più a lungo o vi risiede ancora); nel secondo il personaggio “umano” è un componente dei NAP (Nuclei Armati Proletari che negli anni Settanta si macchiarono di vari crimini come rapine e sequestri) che, una volta uscito dal carcere, decide di ritirarsi nell’isola di Procida. E’, come il primo ed il penultimo, anche questo un racconto che parla di “mare” (il titolo è riferito ad un “gabbiano” che accompagna le giornate dell’ex terrorista); nel primo racconto la protagonista è Concetta, “La capobarca” che come tante donne è costretta a “tirare la carretta” della vita in un mare sempre più avaro di soddisfazioni. La lettura dei racconti della Di Rienzo ripropone all’attenzione proprio la capacità delle donne ad assumere decisioni e scelte fondamentali. La scrittura è caratterizzata da una forma creativa, evocativa ed a volte primitiva; si tratta certamente di straordinari “esercizi di stile” come quelli dei “match d’improvvisazione teatrale” che sortiscono dei veri e propri capolavori. Cercherò di leggere anche altre opere di Giuseppina De Rienzo non appena ne avrò l’occasione.