La sfida 2
Alle 9.45, in perfetto orario, la nave si staccò dalla banchina. Il viaggio durava all’incirca 45 minuti; dopo essere uscita dal porto di Pozzuoli girava a sinistra e proseguiva mantenendo sulla destra la riva di Baia e di Bacoli fino a doppiare il Capo Miseno dove, virando a destra e mantenendosi a distanza dalla costa di Miliscola e del Monte di Procida, avrebbe puntato verso l’Isola di Procida.
Un percorso semplice semplice, ma quel giorno non fu così.
Non appena usciti dal porto, superato il Faro, ci si accorse che il mare non era più così tranquillo come sembrava. La nave, una delle più grandi fra quelle che circolavano su quella linea, cominciò a beccheggiare di fronte ad onde larghe ed enormi che la colpivano lateralmente. Il capitano decise di spostare la prua in direzione delle onde per poterle affrontare; il rollio commisto al beccheggio creava una combinazione maligna che in un primo tempo, ricordando alcune delle attrazioni dei Luna Park, appariva piacevole ai giovani passeggeri che scherzavano fra loro mimando gli ubriachi lasciandosi andare da una parte all’altra del ponte godendosela e ridacchiando. La nave si allargò dal Capo Miseno e si inserì verso il canale di Procida affrontando onde altissime che la portavano nella parte più bassa del ventre impedendo ai passeggeri di vedere la terra e poi la sollevavano sulle loro creste per farle ridiscendere vertiginosamente.
I giovani amici di Alberto cominciarono a spaventarsi e più di uno di loro dovette liberarsi della colazione; lo stesso Alberto era confuso e fortemente preoccupato per i suoi compagni, e qualcuno si spinse anche ad offenderlo. Il mare si calmò soltanto all’ingresso del porticciolo di Procida protetto dalla scogliera. Il gruppo, un po’ malconcio, raccattò le sue borse, dove erano state riposte le tute, le magliette ed i pantaloncini della squadra, e si preparò a scendere dalla scaletta che era stata calata sulla banchina di Procida. Si era di fronte all’imponente palazzo Merlato del ‘600 e ad una serie di abitazioni dal vario colore mediterraneo, ma la traversata aveva messo ciascuno di cattivo umore e poi tutti erano arrivati a Procida in tempi migliori. Alberto aveva lanciato già lo sguardo dall’alto della nave per cercare qualcuno dei suoi “isolani” e non ne aveva visto alcuno. Si era fermato in uno dei bar della Marina Grande ed aveva, utilizzando un gettone, telefonato a casa di Valerio, l’allenatore della squadra locale. Rispose sorprendendosi del fatto che loro fossero arrivati; chi vive circondato dal mare conosce i suoi segreti e le previsioni non erano positive: il mare andava ancor più ad agitarsi ed il rischio dell’interruzione del servizio marittimo nelle ore successive era molto elevato. Ma, visto che c’erano, disse che poiché avevano confermato il loro allenamento pomeridiano, non ci sarebbe stato alcun problema per la “sfida”, a patto però che si evitasse il gioco duro.
Si fermarono tutti a Marina Grande rifocillandosi con tè caldo al Bar del Porto; e poi si avviarono verso il piccolo autobus che era arrivato, essendo stato avvisato da Valerio. Il biglietto lo si faceva direttamente a bordo e l’autista sapeva anche dove lasciarli scendere poco prima di giungere al capolinea che era la Marina Chiaiolella. Riconobbe Alberto ed anche lui, l’autista, che si chiamava Gennaro, lo rimproverò di non aver consultato le previsioni marittime; sarebbe bastata una telefonata alla Capitaneria del Porto, anche quella di Pozzuoli. Alberto allargò le braccia per giustificarsi così come poteva e chiese a Gennaro di indicargli una trattoria alla buona per il pranzo. Erano soltanto le 11; potevano mangiare un primo ed un po’ di frutta prima di andare a giocare. L’appuntamento per la “sfida” era alle 14.30 per avviare alle 15.00 e chiudere entro le 17.00 per poter poi ripartire per Pozzuoli alle 18.00.
la sfida – fine parte 2